Giulio Tremonti



Rassegna Stampa

- Il Foglio

Grande Crisi, Nuova Europa

Ampi stralci del discorso di Giulio Tremonti tenuto lo scorso 19 aprile al Parlamento europeo, nell'ambito di un'audizione all'assemblea di Bruxelles. "Il manifesto politico del superministro rilegge i trattati, fa il contropelo alla finanza, boccia il nucleare"

E’ per me un onore parlare in una Commissione che nella sua storia ricorda il sogno di Altiero Spinelli e l'impegno politico appassionato di tanti altri. In una Commissione che nel suo nome ("Affari Costituzionali") indica il superamento tra ciò che è solo un trattato internazionale e ciò che già costituisce una Costituzione.

1. L'esercizio che vorrei fare qui oggi con voi è un esercizio non usuale. Un esercizio di "stress-test" sui Trattati di Unione. Devo prima spiegare la ragione "I Trattati europei furono concepiti nell'età della certezza e della stabilità. Oggi siamo nell'età dell'incertezza e dell'instabilità" Nell'impostare l'esercizio è necessario porre un caveat e stare sotto una condizione: che l'interpretazione e l'applicazione dei Trattati sia fatta - e può essere fatta - nello "spirito del tempo" che viviamo. Del resto, nel dominio  giuridico, l'interpretazione non è mai fissa, è sempre in divenire. L'interpretazione attuale del diritto romano è certo diversa da quella che ne facevano i romani. E per la verità è così non solo nel dominio giuridico. Ad esempio, l'interpretazione che si faceva dell'opera di Rembrandt, al tempo di Rembrandt, era certo diversa da quella che noi ora ne facciamo.

2. Per cominciare va notato che, come nei matrimoni, così nei trattati ci si impegna tanto per la buona, quanto per la cattiva sorte. Ebbene nei Trattati di Unione, per riflesso e/o per proiezione dell'età in cui questi sono stati scritti, è evidente che l'enfasi è stata posta soprattutto sulla buona sorte. Lo spirito fondante dei Trattati è, in specie, uno spirito positivo e progressivo. Per verificarlo basta leggerli dall'incipit, a partire dai primi articoli: libertà, democrazia, uguaglianza, dignità umana, diritti della persona, benessere, sviluppo sostenibile, economia sociale di mercato, fine delle divisioni, progresso futuro parallelo, etc. Certo, come per tutti i matrimoni, così anche nei Trattati c'è pure la cattiva sorte, c'è l'evento negativo. Un tipo di evento questo che è sintetizzato e stilizzato in una formula standard: "Calamità naturali o causate dall'uomo". Una formula che viene poi articolata con parole più specifiche: rischio politico, aggressione armata, guerra, conflitto, squilibrio economico. Ma tutte parole che, a partire dal linguaggio, esprimono e tipizzano una casistica specifica e tra l'altro, anche nel linguaggio, una casistica piuttosto convenzionale.
In sintesi, nei Trattati di Unione, per quando e per come sono stati scritti, non c'è par condicio tra bene e male: il bene è la regola, il male l'eccezione.

3. In questi ultimi tre anni si è per contro sviluppata una impressionante cascata di fenomeni nuovi e negativi, nella forma di tre fatti che contengono in sé e producono una alta e non positiva intensità fenomenica e politica: la crisi economica, la rivoluzione geopolitica, la catastrofe atomica.
Uso pour cause parole antiche: dove crisi è discontinuità, cambio di paradigma; rivoluzione è rotazione dei termini di riferimento; catastrofe è rovesciamento dei piani. E' per questo che in caso di male, in un tempo in cui la cifra del male pare essere crescente, si deve provare ad andare oltre la lettera dei Trattati di Unione, per vedere se a questa nuova e diversa altezza di tempo i Trattati possono comunque funzionare. Per farli funzionare serve e va fatta - come premesso - una interpretazione più o meno fortemente evolutiva e/o espansiva.

4. Sviluppo qui in sintesi la conclusione dello "stress-test" che ho annunciata all'inizio, nei termini che seguono:
a) nel caso della crisi economica la base letterale in essere nei Trattati di Unione è stata (è) appena sufficiente per l'interpretazione-applicazione piuttosto ampia càe.invece è stata fattale messa, in atto, per gestire la crisi;
b) nel caso della rivoluzione geopolitica, in atto dall'Atlantico verso l'Asia, via Mediterraneo-Nord Africa - la base letterale dei Trattati di Unione è nel suo insieme più che sufficiente. Non così però la sua attuazione, perché sul campo l'Unione europea può essere finora definita come "missing in non action";
e) nel caso della catastrofe atomica una formula letterale c'è nei Trattati di Unione, pur se molto generale. Ma è la strumentazione che è ancora tutta da definire. Nei termini che seguono, più analiticamente.

5. La "crisi economica"
Dal lato dell'Europa, la crisi si è sviluppata e/o manifestata in due fasi.
Prima fase. La causa prima della crisi si è manifestata nella finanza d'oltreoceano ed il suo effetto primo è stato, con la caduta della fiducia, la caduta del commercio mondiale. La crisi ha di riflesso spinto, come nel resto del mondo, molti governi europei a fare crescenti deficit/debiti pubblici, tanto per garantire i diritti sociali, a partire da quelli propri del WelfareState, quanto per "stimolare" l'economia.
Seconda fase. Qualche tempo dopo si è manifestata in Europa la caduta di molte grandi strutture bancario-finanziarie. Dato il carattere "sistemico" considerato proprio di queste strutture, i successivi interventi pubblici di salvataggio operati da molti governi europei hanno causato un ulteriore incremento dei deficit/debiti pubblici.
Dal lato dei Trattati di Unione, si possono notare tre punti essenziali che sono stati (sono) rilevanti nella gestione di queste fasi:
a) a monte è totalmente mancato quanto pure era previsto nei Trattati di Unione come campo di attività proprio della vigilanza: "La vigilanza prudenziale su enti creditizi e concernente la stabilità del sistema finanziario". Non è mancata tanto e/o solo la vigilanza specifica nazionale, questa di competenza delle singole banche centrali nazionali. E' mancata nel suo insieme la sorveglianza macroeconomica sulla finanza privata: ci si è occupati dell'inflazione, intesa come "basket of goods"; ci si, è occupati dei deficit/debiti pubblici (che in realtà con la crisi si sono rivelati non la malattia, ma semmai - forse - la medicina), si è invece totalmente ignorata la finanza privata, quella che era e/o sarebbe stata la causa reale di instabilità sistemica. Come poi si è appunto verificato. Ed è questa la Ragione per cui ora si prevede un fortissimo rafforzamento della vigilanza anche su questo fondamentale quadrante;
b) nella lettera di Trattati di Unione l'evento crisi era ed è previsto con riferimento solo a particolari eventi ("gravi difficoltà nell'approvvigionamento di determinati prodotti in particolare nel settore energetico"), o con riferimento solo a singoli Stati:

  • "gravi turbamenti della vita economica di uno Stato membri";
  • "qualora uno Stato membro si trovi in difficoltà o sia seriamente minacciato da gravi difficoltà naturali o circostanze eccezionali che sfuggono al suo controllo".

Per un certo verso è evidente che la logica iniziale e basica dei Trattati di Unione era una logica ex ante, mirata a fare il mercato comune e per questo era una logica che partiva dagli Stati ancora considerati "as single". La crisi è invece arrivata, dopo due decenni, su di un mercato ormai già fatto, già aggregato e consolidato nel suo insieme. Era dunque logico, nella gestione della crisi, superare la lettera di Trattati, che prevedevano certo l'evento crisi, ma appunto come crisi in un singolo Stato. Era logico valutare e gestire la crisi nella sua dimensione reale generale.
Valutare e gestire l'impatto di una crisi sistemica di mercato sul mercato;
c) in questo scenario, la gestione della crisi ha necessariamente invertito, se pure temporaneamente, il nostro paradigma convenzionale. E ciò è stato tanto a livello macro, quanto a livello micro. Ante crisi, a livello macro c'era il vincolo di finanza pubblica e a livello micro c'era il divieto di aiuti di Stato. Post crisi è stato (pro tempore) rimosso il vincolo di finanza pubblica ed a livello micro è stato (prò tempore) rimosso il divieto di aiuti di Stato.
Se in tutto ciò c'è stata na culpa, probabilmente è stata per ora una felix culpa! Per il futuro, vedremo!

6. La "rivoluzione geopolitica"
Innescata dalla speculazione finanziaria sul prezzo del cibo, prezzo che per i poveri non ha effetto di "carovita" ma tout court effetto di vita, una vasta catena di rivoluzioni si sta stendendo dall'Atlantico verso l'Asia, passando dalla sponda meridionale del Mediterraneo, agganciando il Nord Africa.
Alla base, con effetto di motore, c'è stato un mix di fattori eterogenei: masse di giovani istruiti, masse di giovani donne, uso tecnopolitico dei media moderni, reazione contro regimi dispotico-cleptocratici, eccesso di disuguaglianze (questo il fattore di potenziale maggiore rilevanza politica critica anche in Asia).
Con una vasta catena di effetti di rischio collaterale.
In caso di successiva "delusione democratica" (perché la democrazia non è una commodity che si esporta come McDonald's), si può produrre un effetto di continua instabilità.
La caduta dei flussi turistici dall'Europa verso l'altra sponda del Mediterraneo può spingere verso l'integralismo (finora quasi assente) una frazione della parte così colpita della popolazione.
Un rischio di crac finanziario può essere determinato dal ritiro dalle piazze finanziarie occidentali dei capitali propri dei fondi sovrani, da impiegare al servizio di nuove rivoluzioni vincenti contro gli "antichi regimi".
Infine, correndo sui binari dell'incertezza sul futuro e della paura dell'esterno, può arrivare in Europa, dal lato estremo della destra, una crisi della democrazia e di riflesso una crisi dell'architettura politica propria dell'Unione Europea.
Ciò che pare irrazionale, nell'atteggiamento delle masse, non può infatti più essere trattato con l'astratta sufficienza propria del più convenzionale politically correct. Alla critica si deve sommare l'autocritica. La miopia va corretta con le lenti della lungimiranza. La storia si è rimessa in moto. Un buon libro da leggere, e sempre attuale, può essere la Bibbia.
Nei Trattati di Unione il linguaggio è ampio, adeguato rispetto alla rivoluzione geopolitica in atto. Non si parla infatti solo di persone, ma del moto del collettivo e delle masse.
E' l'azione dell'Europa che, sul campo, è finora quasi del tutto mancata. E non solo sul campo, a partire dal livello superiore dell'Onu.

7. La "catastrofe atomica"
Quello di Fukushima non è un incidente, è qualcosa di più e di diverso: è appunto una catastrofe. Catastrofe nel senso greco della parola (καταστροφή, propriamente "rivolgimento, rovesciamento"). Un fatto che estende la sua portata oltre confini territoriali specifici, che penetra a fondo nell'immateriale dei Sentimenti; un fatto che si estende nel tempo e qui nella dimensione della longue durée.
Ciò premesso, un quesito, per cominciare: il Trattato Euratom, formalmente ancora in vigore, è davvero ancora in vigore?
Per contro, nei Trattati di Unione non pare presente la parola nucleare. Ci sono certo i princìpi di Prevenzione, di precauzione. C'è il principio "chi inquina, paga". Ma tutto ciò pare riferito ad altri e pure importantissimi fenomeni naturali, comunque diversi da quelli connessi al nucleare.
Sembra che siamo davanti a un caso di Dumas ("tutti per uno, uno per tutti"), ma all'incontrario! Con benefici attuali locali, a fronte di malefici potenziali generali.
In particolare non c'è ancora, pare, un preciso e corretto calcolo economico dei costi-benefici del nucleare, del suo impatto sul pil dei singoli Stati calcolato al netto dei costi e rischi attuali e soprattutto futuri. Non c'è un convincente calcolo del suo reale e necessario costo assicurativo.
Questo è certo il momento per ripensare la questione della sicurezza-responsabilità comune europea. Ma potrebbe e/o dovrebbe essere questa anche e soprattutto una chance storica per l'Europa, per investire in energie alternative, basando tra l'altro i necessari investimenti su emissioni di eurobond e orientandoli nell'area Mediterraneo-Nord Africa.

8. Ma, nel finire, torniamo ai Trattati. Nel leggerli, nell'applicarli, non fermiamoci ad Hegel, alla dialettica tra potenza-impotenza del "dover essere"; facciamo appello a Kant, all'idea cosmopolitica dell'essere e dell'Europa.


Ora il ganzo Giulio per salvare l'Europa chiede più Europa
Roma. "La crisi economica, la rivoluzione geopolitica, la catastrofe atomica": è questa "l'impressionante cascata di fenomeni nuovi e negativi" degli ultimi tre anni che ha suggerito al ministro dell'Economia, Giulio Tremonti, di sottoporre a "stress test" i Trattati dell'Unione europea (Ue). L'occasione per svolgere la riflessione, di cui pubblichiamo ampi stralci, è stata un'audizione del responsabile del Tesoro, lo scorso 19 aprile, al Parlamento europeo. Proprio nelle ore in cui Tremonti si rivolgeva ai membri della Commissione affari costituzionali dell'assemblea di Bruxelles, l'Italia faceva i conti con un'ondata senza precedenti di sbarchi di immigrati dalle coste del nord Africa, e allo stesso tempo con le evidenti difficoltà dell'Ue ad assistere gli stati membri nella gestione dei flussi migratori.
Ma per salvare l'Europa dallo stallo attuale, Tremonti ha suggerito che vi è bisogno di "più Europa" piuttosto che di "meno Europa". Il ministro dell'Economia, do-pò aver reso all'inizio del suo discorso un omaggio ad Altiero Spinelli, politico federalista e padre fondatore dell'Europa politica, ha sostenuto infatti che abbandonare l'Ue non è un'opzione percorribile, anzi. Rispondendo a un parlamentare inglese che "auspicava più Europa e quindi una nuova convenzione - ha raccontato in seguito il ministro - ha risposto che era un'ipotesi da prendere in considerazione". "Una prospettiva di rafforzamento" dell'integrazione comunitaria, dunque, "esattamente l'opposto rispetto all'uscita dai trattati".
Il Vecchio continente tanto "missing in action” sul tema dell’immigrazione, secondo Tremonti. Di fronte alla crisi economica made in Usa, come specificato dal ministro da quest'altra parte dell'Atlantico "è mancata nel suo insieme la sorveglianza macroeconomica  sulla finanza privata", quella che era e/o sarebbe stata la causa reale di instabilità sistemica. Ed è questa la ragione per cui ora si prevede un fortissimo rafforzamento della vigilanza anche su questo fondamentale quadrante". Più Europa, infine, è la ricetta per rilanciare lo sviluppo del continente, in un momento in cui la crescita "non si fa con il deficit", per usare le parole del ministro. Tremonti è tornato quindi a sostenere la sua idea di istituire degli "Eurobond", ovvero titoli di debito sovranazionale che servano a finanziare infrastrutture o energie alternative. Una proposta lanciata già nel 2010 dalle colonne del Financial Times, guardacaso assieme a un europeista convinto come il lussemburghese Jean-Claude Juncker, presidente dell'Eurogruppo