Giulio Tremonti



Rassegna Stampa

- Corriere della Sera

Volontariato e nuovo Welfare Un otto per mille per il futuro

Una misura simile anche per la scienza, «disintermediando» il ruolo dello Stato

Perché non un altro «otto per mille»? Perché, oltre al primo, non si mette in campo un secondo «otto per mille», a favore del volontariato? E poi un terzo, a favore della ricerca scientifica? Sarebbe, partendo dal presente, un modo per andare incontro al futuro. Un modo insieme dolce e forte per sostenere le due sfide che fatalmente dobbiamo prepararci ad affrontare: la sfida demografica; la sfida scientifica. Non ci si può illudere: si deve cambiare. Non si può pensare di entrare nel futuro conservando invariati i vecchi meccanismi di governo, che da soli non reggeranno le nuove sfide e che da soli non saranno la soluzione, ma piuttosto il problema. Per cominciare a cambiare non serve molta fantasia. Basta non essere ciechi. Gli italiani che fanno volontariato sono già molti: più di 3 milioni. Sono milioni di nostri amici, fratelli, mariti, mogli, che volontariamente e gratuitamente fanno lavori spesso difficili, duri, sgradevoli e perciò sgraditi. Cosa vuol dire? Vuole dire tante cose. Tra l' altro, vuole dire che quanto lo Stato garantisce, in termini di orario di lavoro ridotto o di età di pensione anticipata, la società lo restituisce trasformando il «tempo libero» e l' «età di riposo» in forme intense di impegno civile. La generosità dello Stato sociale è dunque restituita da una parallela generosità della società. Vuole dire che nella vita c' è qualcosa più del freddo calcolo delle ore, dei coefficienti, dei parametri di conto: ci sono generosità e passione, responsabilità ed umanità. Tutto questo è il cosiddetto «terzo settore». Un settore che dà moltissimo e riceve pochissimo. Il primo settore (il privato) finanzia infatti il secondo settore (lo Stato) con grande sforzo: con la metà circa del suo prodotto. Il secondo settore riserva invece e trasferisce al «terzo settore» solo le briciole di quel che riceve. Dare così poco, date le enormi potenzialità del «terzo settore», è un errore. All' opposto, dare di più, attivare per esempio un nuovo «otto per mille» a favore del volontariato, non sarebbe un costo, ma un investimento. Non una spesa, ma un risparmio. In specie, per una società che in futuro sarà relativamente sempre più vecchia e sempre meno ricca, il volontariato è l' unica speranza per produrre, con costi limitati ma con effetti di ritorno invece quasi illimitati, la massa crescente di servizi sociali di cui abbiamo (avremo) sempre più bisogno, per quantità e per qualità. Servizi che lo Stato burocratico da solo non sarebbe capace di produrre o, comunque, di pagare. Perché, come macchina politica è già ora fin troppo grande e fin troppo costoso. La soluzione non è dunque e non può essere: più pubblico impiego nei servizi sociali e più tasse per pagarli, immaginando una illimitata impossibile imposizione fiscale. La soluzione è invece fuori dallo Stato, nel volontariato. Ispirata da quello che può sembrare un «pensiero laterale», la soluzione di estendere progressivamente il campo di applicazione dell' «otto per mille» (o di strumenti equivalenti, come deduzioni autogestite o voci di imposta con specifico scopo etico) può apparire «rivoluzionaria». Rivoluzionaria non tanto perché ibrida nuovo e vecchio, filantropia e sussidiarietà, quanto perché rompe il monopolio della politica, trasferendo quote di potere e di responsabilità dallo Stato alla società. Ad oggi, il disegno del circuito politico-finanziario è, in effetti, tutto centrale. Si assume infatti che tutto il sociale sia pubblico, che tutto il pubblico si finanzi via bilancio pubblico, che sul bilancio pubblico decida solo il Parlamento. E' così che la politica fa da decisore onnipotente ed unico su tutto: causali, titoli, livelli, destinatari della spesa pubblica. È tuttavia uno schema superato dalla realtà: non tutto il sociale - e sempre meno sarà in futuro - è infatti pubblico. Il circuito politico-finanziario non può dunque restare artificialmente tutto centrale. In parallelo alla realtà sociale, può essere disegnata una nuova architettura fiscale e perciò politica, disintermediando lo Stato, andando oltre il classico «no taxation without representation». Per una società che è sempre più matura e sempre più direttamente coinvolta nel sociale non è infatti più solo questione di controllo democratico sul livello della tassazione, ma anche questione di un suo crescente e più diretto coinvolgimento nelle scelte di destinazione e di gestione delle risorse pubbliche, fuori dal «calderone» del bilancio pubblico. Può essere un modo per conservare, in uno scenario in futuro sempre più complesso, imposizione fiscale e consenso democratico. Lo stesso meccanismo dell' «otto per mille» può essere poi ancora più esteso. Ad esempio, esteso alla ricerca scientifica, superando il monopolio «scientifico» finora proprio del dirigismo statale, favorendo e sostenendo invece l' iniziativa e l' impegno della società. Certo, si notava sopra, sono schemi che rompono l' «unicità» del bilancio pubblico e perciò erodono il monopolio della «politica». E' un male? No, è un bene. E' un pezzo del futuro a cui si deve guardare per credere.