No al federalismo giudiziario
La nozione di "interessa nazionale" è essenzialmente politica, metagiuridica, quindi problematica da utilizzare come nozione di tipo costituzionale.
Ministro Tremonti, sulla riforma del Titolo V si è riacceso un dibattito molto aspro, dibattito che a tratti sembra dimenticare le radici storiche, politiche e giuridiche della materia. Qual' è il suo parere al riguardo?
"Noi abbiamo tre testi costituzionali: il testo del '48, il testo del Titolo V e il testo che va ora in Aula. Il testo del '48 è stato un testo oggettivamente buono per quei tempi, un testo avanzato: non federalista, ma neppure centralista. Aveva nell'insieme una cifra politica fortemente autonomista e conteneva in sé il nucleo della devoluzione. Infatti, nell'economia politica di quel testo il catalogo delle competenze regionali non era chiuso, ma aperto attraverso una formula straordinariamente flessibile: "Altre competenze potranno essere aggiunte da leggi costituzionali". Con leggi costituzionali non di riforma, si noti, ma all'opposto di applicazione della Costituzione. Per questo abbiamo sostenuto, contro il pregiudizio centralista, che la devoluzione non era fuori, ma all'opposto, già dentro la carta costituzionale".
Questo, ministro Tremonti, riguardo il testo...del '48. Poi, dopo cinquant'anni, si arrivò alla riforma del Titolo V e alla riscrittura di una parte fondamentale della Costituzione...
"Sì, dopo mezzo secolo di centralismo reale, che è stato di fatto l'opposto della Costituzione formale, è venuto il Titolo V, la riscrittura di una parte fondamentale della Carta Costituzionale, l'integrale riformulazione di un intero titolo della Costituzione. Una riforma di straordinaria rilevanza, per due ragioni politiche. Perchè, con logica "maggioritaria", si è cambiata non una norma specifica, un segmento della struttura costituzionale, ma un intero blocco costituzionale. Con effetti estesi all'architettura delle competenze ai rapporti internazionali, alla struttura del bilancio pubblico. Materia, questa, che è costituzionale par excellence, come avrebbe detto, come anzi direbbero, i semprevivi giuristi dell'ancien regime. In ogni caso, si tende sempre a "dimenticare" che la riforma del Titolo V è stata votata con soli quattro voti di differenza, in campagna elettorale, come se si trattasse di uno spot".
Qual'è l'altra ragione politica di rilevanza del Titolo V?
"Nel Titolo V c'è poi una componente positiva. Con il Titolo V fa infatti irruzione nella Costituzione lo spirito federalista. In questi termini, che sono i termini di un passaggio storico, il Titolo V è stato uno straordinario successo, personale e politico, di Umberto Bossi e della Lega. Su quella riforma si ebbe certo il voto di una sinistra puramente "machiavellica". Ma certamente sul Titolo V è la sinistra che "va incontro" a Bossi. Detto questo va certamente aggiunto che nel Titolo V ci sia anche un aparte fortemente negativa. Se, analizzando il testo, si passa infatti dalla forma alla sostanza, si verifica che si tratta di un federalismo a sovranità limitata. Il metodo applicato, il metodo delle competenze concorrenti e confuse, confuse perchè concorrenti, è un metodo che ha la forma del federalismo, ma la sostanza del centralismo. Nel Titolo V le Regioni non hanno infatti competenze esclusive e dunque competenze politiche proprie, originarie: hanno solo competenze concorrenti e perciò derivate e secondarie. Ne è derivata una sovranità limitata, esercitabile solo nella forma dell'attivismo giudiziario. Per verificarlo, una prova empirica chiarissima: nel 2000 ci sono stati 14 ricorsi regionali alla Corte Costituzionale, nel 2002 ben 92. La curva giudiziaria si è impennata in modo esponenziale".
Quindi un federalismo da tribunale, da giudici...
"Esattamente. Il Titolo V non è federalismo politico. é federalismo dei giudici. Lo spirito del Titolo V è "tutto cambi, perchè niente cambi". Rispetto al testo del '48 si tratta di un mercato regresso. é un federlaismo giudiziario: le Regioni non hanno il potere di fare le leggi ma di fare i ricorsi. L'unico modo per farsi valere".
Arriviamo quindi al testo approvato per l'Aula, ministro Tremonti...
"A mio parere l'architettura costituzionale è corretta perchè basata sulla divisione tra due domini di potere, tra due serie di competenze entrambe esclusive: da una parte, le competenze esclusive dello Stato, dall'altra parte le competenze esclusive delle Regioni. é un salto di qualità, perchè le competenze "federali" o sono esclusive o non sono. é un salto di qualità, perchè le competenze esclusive crescono, rispetto alle competenze oggetto iniziale di devoluzione: 3 + 13 = 16".
Quindi, ministro Tremonti, a suo giudizio il testo va bene così?
"Ripeto, il centro politico del testo è nella divisione "federale", tra i due domini o serie di competenze entrambi esclusivi. Ed è la scelta fondamentale giusta. Rispetto a questo, vedo solo due criticità principali, che tuttavia penso siano facilmente superabili. La prima è una estensione forse eccessiva del catalogo delle competenze statali. Faccio l'esempio della politica industriale. La divisione della politica industriale tra Stato e Regioni è una questione teoretica. Infatti la politica industriale la fa Bruxelles, direttamente sul mercato, non la fanno più gli Stati. Forse gli Stati fanno qualcosa con la politica dell'energia. Ma questa è già prevista come competenza esclusiva dello Stato. La seconda è quella che gravita attorno alla formula di "interesse nazionale". In Officina si è posta la questione, non solo della divisione tra le due serie o domini di competenze sclusive statali e regionali. Ma anche del raccordo, tra ciascuna specifica serie o dominio e la Costituzione, nel suo insieme. In Consiglio dei Ministri questo raccordo è stato identificato nella formula di "interesse nazionale". Può essere utile una riflessione a questo proposito. Ferma la fondamentale, costituzionale, esigenza di raccordare ciascun blocco di competenze esclusive con la Costituzione, si pone adesso il problema dell'adeguatezza, rispetto a questo fine, del mezzo ipotizzato. Cerco di essere più chiaro".
Prego...
"La nozione di "interesse nazionale" è una nozione essenzialmente politica, metagiuridica, dunque problematica da utilizzare come nozione di tipo costituzionale. Le nozioni costituzionali fanno normalmente riferimento ai valori ed alle regole che hanno portata generale universale mentre quella dell' interesse è per definizione una nozione che riguarda la particolarità e la materialità. Si parla sempre di interessi materiali mai di interessi "spirituali" o "valoriali". Il concetto di interesse nazionale rinvia ad aspetti pragmatici, spesso economici, la cui caratteristica è la variabilità nel tempo e nelle situazioni specifiche. La prova e converso è che non si parla mai dell' "interesse nazionale" di un Paese alla propria integrità territoriale, o alla propria indipendenza da un altro Paese. é dunque problematico prevedere che regole costituzionali, come quelle sulla definizione e sulla ripartizione delle competenze dello Stato e delle Regioni, siano gerarchicamente sottoposte ad una nozione non giuridica, più che costituzionale, essenzialmente politica, variabile nel tempo e con il contesto, com'è quella di "interesse nazionale". Ripeto, è giusto il fine di garanzia e coerenza, è forse perfettibile il mezzo".
Quali sarebbero i rischi, ministro Tremonti?
"Questo significherebbe subordinare il livello costituzionale al livello politico, con un'inversione della logica costituzionale. Da notare che lo stesso varrebbe, a contrariis, se si subordinassero le competenze dello Stato -nella loro definizione o nel loro esercizio- al soddisfacimento di un "interesse nazionale". Se si intruducesse questo concetto come criterio di attribuzione di competenza, non vi sarebbe alternativa possibile rispetto a questa antinomia. La Corte Costituzionale si trasformerebbe in organo politico, nello stsso momento in cui decide cosa sia davvero interesse nazionale. La Corte Costituzionale resterebbe nei limiti della giurisdizione ed allora la clausola della salvaguardia dell'interesse nazionale è vuota".
Quale può essere la soluzione, ministro?
"La soluzione possibile potrebbe essere quella di richiamare i valori della Costituzione a proposito dell'attivazione da parte delle Regioni delle competenze esclusive. La formula di garanzia costituzionale tipica potrebbe essere: "Le Regioni attivano le proprie competenze esclusive nel rispetto dei principi e dei valori della Costituzione". Questo significa che l'attivazione -ma anche l'esercizio- delle competenze esclusive da parte delle Regioni devono essere operate contemperando tutti i valori costituzionali, quali la libertà, solidarietà, indivisibilità della Repubblica ma anche valori espressi dall'attuale Titolo V come l'equiordinamento di Stato, Regioni, Provincie, Città metropolitane, Comuni. A questo punto il passaggio ulteriore, fondamentale, sarebbe quello di una Corte Costituzionale Federale. Dal punto di vista politico questa formula permetterebbe di evitare l'obiezione che la logica delle competenze esclusive da parte delle Regioni equivarrebbe ad uno scardinamento dell'attuale assetto unitario dello Stato. Per essere chiari, ciò che è negativo non è affatto l'unitarietà, è piuttosto il "centralismo".