Giulio Tremonti



Rassegna Stampa

- Corriere della Sera

Un modello americano per le fondazioni bancarie

Il ministro Tremonti: per gli enti meno finanza e più attività non profit E mette sotto accusa «medaglie» e lauti compensi degli amministratori «I fondi pensione sono il vero snodo per le privatizzazioni. Usare il Tfr per il loro decollo»

«Le Fondazioni? Sono apparse molto più attente agli equilibri bancari, finanziari e assicurativi che alle loro finalità istituzionali di utilità sociale. Più alle Generali che alle ricerche sul morbo di Alzheimer. Un' anomalìa tutta italiana che va superata. Eliminando gli intrecci tra mercato e non profit...». Eccolo il disegno della riforma delle Fondazioni tracciato dal ministro dell' Economia, Giulio Tremonti. Primo passo: «Le Fondazioni fuori dalle banche, che vanno sul mercato». Secondo passo: «Le Fondazioni si mettono a fare il loro mestiere. Ma con un controllo democratico». E spiega: «L' assetto attuale contiene un assurdo: le banche, essenza del capitalismo, possedute dalle Fondazioni, essenza della moralità. Con un effetto d' ibridazione paradossale». Effetto: «Il non profit? È più profit che non» C' è però il sospetto che la politica rientri dalla finestra, visto che a Regioni, Comuni e Province spetterà nominare il 70% dei consiglieri? «Non la politica, ma la democrazia. Adesso quello che abbiamo è un mecenatismo saltuario, erratico. Diciamo pure octroyée, di elargizione "graziosa". Quello che abbiamo in mente, invece è, nelle modalità operative, il modello americano. Le Fondazioni scelgono pochi settori (tre, n.d.r.) sui quali puntare (dal volontariato, alla sanità, ai beni culturali, n.d.r.) e lì investono. Senza distrazioni». Eppure la società civile protesta di essere stata messa in disparte per lasciar posto ai partiti. «Descritta così la società civile è un' astrazione materializzata da un nome. Sicuramente con finalità nobili, ma la realtà è che le Fondazioni ora finanziano la società civile, che a sua volta le elegge. Un connubio-conflitto d' interessi che rende opaco e inefficiente l' intero sistema: opacità che arriva fino ai compensi degli amministratori. Sa che ricevono "medaglie" di presenza, le chiamano proprio così, di migliaia di euro anche per poche ore dedicate a una riunione. Più della Fiat». Il sospetto è che la lottizzazione riprenderà vigore. «Valgono le parole di Churchill, la democrazia è un sistema pessimo, ma non ne conosco di migliori. Forse la campagna di sensibilizzazione dell' Acri, l' associazione delle Fondazioni, sarebbe dovuta partire dai compensi dei consiglieri». Sta dicendo che con le nuove regole, se i consiglieri, nominati dagli enti locali, sbaglieranno, andranno a casa? «Esatto. Gli enti locali, a differenza della società civile, rispondono periodicamente agli elettori. Con trasparenza. Addio autoreferenzialità». Una riforma, la sua che quindi completa il percorso Amato-Dini-Ciampi? «Finora siamo rimasti in una fase perennemente transitoria, tanto è vero che le Fondazioni sono ancora nelle banche. E che l' Unione europea ha persino ironizzato sulla "foresta pietrificata" del credito che non siamo riusciti ancora a diboscare. Una specie di manomorta. Che noi vogliamo sostituire con Fondazioni operative come quelle Usa». Dove però le Fondazioni sono nate per contratto, non per legge... «Concordo, ma questa differenza, insuperabile, finisce qua. Noi non abbiamo inventato nulla: persino l' elenco delle aree di intervento, dall' arte alla ricerca, l' abbiamo preso dagli Usa». Puntate a un modello come quello della Ford? «Esatto. La Fondazione Ford non ha un' azione della casa automobilistica ma centinaia di ricercatori come dipendenti, qui invece c' è soprattutto personale distaccato dalle banche. Risultato: sono molto holding e poco fondazioni. I loro interventi sono troppo saltuari e frammentati». È anche vero che la riforma è stata completata solo due anni fa. «Ma era arrivato il momento di fare un passo verso il mercato. Che abbiamo costruito con la nascita delle Sgr, le società di gestione del risparmio, alle quali le Fondazioni dovranno affidare per la gestione i loro pacchetti azionari». Ma in cambio gli avete dato una proroga dal 2003 al 2006 sulla privatizzazione delle banche. «È una semplice facoltà. E la Sgr è già mercato. È la prova che non abbiamo voluto fare alcun esproprio ma creare un' espressione neutrale, distinta dalle Fondazioni. Una gestione professionale dove la confusione tra mercato e non profit non ci sarà più». Ma con la nascita delle Sgr non c' è il rischio di creare tante scatole cinesi? «No. Il loro ruolo sarà trasparente e puramente gestionale. Ad esempio nominando e controllando il management delle banche. La distinzione sarà chiara: banche sul mercato, Fondazioni sul non profit». Finora soltanto la Compagnia di San Paolo ha creato una Sgr alla quale girerà la sua partecipazione nel San Paolo Imi. «È stato infatti uno egli esempi di cui abbiamo tenuto conto». Il rischio è che il sistema bancario alla fine venga controllato dalle Sgr, che non rispondono a nessuno e che alla fine si rischi l' instabilità. «E per quale motivo? In ogni caso le Fondazioni decidono della vendita o meno della partecipazione bancaria. Semmai il nostro è un passo ulteriore verso una gestione di mercato». Ammetterà che con i nuovi regolamenti ora all' esame del Consiglio di Stato le Fondazioni avranno margini di libertà molto più ristretti. «Diciamo che finora hanno goduto di un sistema speciale in tutto, dal trattamento fiscale ai criteri di nomina. Ma anche che alcuni enti hanno investito migliaia di miliardi in Lussemburgo o in Irlanda. Forse qualche criterio più stringente era necessario». Con la riforma le Fondazioni dovranno investire almeno il 10% del patrimonio nello sviluppo del territorio. Giocheranno il ruolo di tappabuchi del deficit? «Non abbiamo alcuna intenzione di fare man bassa della liquidità delle Fondazioni. Il bilancio pubblico non ne ha bisogno. Certo tra investire in azioni o sottoscrivere obbligazioni finalizzate alle opere pubbliche, quest' ultima scelta presenterà un doppio vantaggio: un investimento più conservativo e un contributo allo sviluppo». Le Fondazioni hanno già preannunciato battaglia su quella che considerano una violazione della loro natura privatistica. «Non abbiamo alcun timore. Siamo fiduciosi sul vaglio del Consiglio di Stato e della magistratura. E siamo convinti della costituzionalità della riforma». Che è passata come un blitz nella legge finanziaria... «Non credo si sia trattato di un blitz. Anzi, le dirò di più, se la sinistra avesse voluto fare ostruzionismo avrebbe potuto farlo. E questo non è accaduto» Sarà, ma ora le Fondazioni saranno meno libere di investire.... «Lo ripeto: non c' è alcuna rapina e alcuno scippo. La riforma punta a riorganizzare il patrimonio verso attività di utilità sociale e rendere più mirate le erogazioni». E magari fargli comprare qualche azione di società da privatizzare? «Non credo proprio. Il motore delle privatizzazioni è un altro». Qual è? «Se la riforma delle Fondazioni è strategica, quella dei fondi pensione è il vero passo verso un mercato finanziario strutturato. Saranno loro i nuovi protagonisti del mercato». Meno Inps e più azioni nel futuro previdenziale degli italiani? «Il capitalismo americano è basato sull' etica protestante, sulle deduzioni fiscali, sui fondi pensione e sulle public company. Il capitalismo italiano sull' Inps, sul tfr, ed è senza public company. Nessuno ha in mente di segare il primo pilastro, ma in società sempre più vecchie ma sempre più ricche può essere razionale creare un secondo pilastro. Appunto con i fondi pensione». Da dove si comincia? «Il primo passo sarà lo smobilizzo del tfr già maturato. È una priorità alla quale stiamo lavorando».