Giulio Tremonti



Rassegna Stampa

- Il Sole 24 Ore

Il garantismo è interesse del Fisco

L’intervento del direttore del Secit, Salvatore Tutino, pubblicato sul Sole-24 Ore del 10 ottobre, rappresenta una presa di posizione intelligente ed equilibrata, sui cui formulo comunque due rilievi essenziali.

È vero che nel corso degli ultimi anni è stata operata una colossale inversione del flusso dei dati fiscali: (i) non più il contribuente che porta i dati al fisco; (ii) ma il fisco che va a prendersi i dati presso il contribuente. (Per inciso, va notato che la scelta di inversione di flusso così operata non è stata fatta nell’interesse del contribuente ma, all’opposto, nell’interesse del fisco stesso, che diversamente sarebbe stato sommerso, funzionalmente e fiscalmente, da una massa crescente di dati e documenti). È anche vero che, nel nuovo scenario, è corretta la scelta di riorganizzare e rafforzare la ragione e la posizione del fisco. Tuttavia, non pare che gli argomenti di economia giuridica motivati dall’inversione dei flussi informativi siano sufficienti per invertire anche l’ordine dei principi di etica giuridica. Il diritto alla difesa del cittadino contribuente è, e deve, infatti restare prevalente. Ciò perché, nell’interesse del fisco stesso, in uno Stato di diritto, il prelievo fiscale non è legittimato dalla forza, ma solo dal consenso. Il problema è dunque quello di trovare un punto di equilibrio tra opposte ed entrambe valide ragioni. In questi termini, si tratta evidentemente di un problema politico. Sul piano politico, in una logica empirica intermedia, si può anche scegliere l’ordine delle preclusioni amministrative. Ed è appunto quello che il legislatore ha cominciato a fare, in sede di discussione parlamentare, incrementando gli effetti di preclusione amministrativa, ma escludendo la produzione di preclusione processuoale. Del resto, anche le “vecchie” norme preclusive, citate nell’articolo di Tutino, sono state correttamente interpretate dalla giurisprudenza in un senso che ora si direbbe “garantista”. Secondo la giurisprudenza, queste norme devono infatti essere interpretate nel senso che: «postulano un comportamento cosciente e volontario» del contribuente che dolosoamente e fraudolentemente rifiuta documentazione obbligatoria, non collabora, eccetera (così, ad esempio: Corte di cassazione, Sezione I, civ. 17 gennaio 1995, n. 490).
Escludendosi per contro, dal catalogo delle cause di preclusioni, il semplice caso fortuito, la forza maggiore, eccetera. È in specie ragionevole assumere che sia proprio questo tipo di interpretazione, non «fiscale» ma appunto «garantista», che ha salvato quelle «vecchie» norme da possibili e fondate eccezioni di illegittimità costituzionale. Infine, se è vero (è vero) che il problema della gestione dei dati è cruciale, lo è tanto per il fisco quanto per il contribuente. Cosa succede se non è il contribuente a «smarrire» i documenti, ipotesi questa assai frequente? Quale forma di «par condicio» si è disposti a prevedere in questa ipotesi? Vale simmetricamente la presunzione che il contribuente ha pagato, che è in regola, eccetera?
 

Il problema di una eventuale condanna dal fisco alle spese è, per suo conto, un problema superabile. Infatti:
a) non avendo il fisco l’onere di procurarsi la prova positiva dei fatti favorevoli al contribuente (ad esempio, non avendo il fisco l’onere di provare l’effettiva esistenza di un onere deducibile);
b) avendo piuttosto il fisco dovere di emettere comunque l’atto di imposizione (seguendo l’esempio: avendo il fisco l’obbligo di assumere un onere deducibile non ancora provato sia allo stato degli atti fiscalmente irrilevante);
c) ne deriva che l’atto emesso su questi specifici e limitati presupposti è comunque un atto a ogni effetto valido;
d) se poi in sede contenziosa il contribuente somministra (rectius: se viene ammesso a somministrare) la prova (non somministrata a monte, in sede amministrativa) dell’esistenza dei fatti a sé favorevoli, la vicenda processuale che ne deriva è quella «paradossale» dell’annullamento di un atto valido.
Valido in ordine ai suoi presupposti originari, di cui solo in giudizio soprovviene l’insussistenza, ciò configurandosi come titolo fisiologico per il suo annullamento. In questi termini, il fatto che all’inizio fosse originariamente valido a norma di legge, e che sia annullato solo per un fatto sopravvenuto, pare causa sufficiente per escludere in radice la sussistenza di un titolo di condanna alle spese. Se questo ordine logico di argomento non fosse ritenuto sufficiente, niente impedisce comunque di formalizzarlo e consolidarlo in una norma «ad hoc».