Giulio Tremonti



Rassegna Stampa

- Il Giornale

Sui conti pubblici vietato abbassare la guardia

Abbiamo un sentiero di rientro, che ci deve portare al pareggio di bilancio nel 2014.

Qualche settimana fa, Giulio Tremonti è salito tra i “peones” del Pdl nella piccionaia della Camera, lassù nei banchi della prima fila in alto, e ci ha raccontato l’ultima sui carabinieri. Eccola: al maresciallo è affidata l’ispezioine segreta di un casinò. Dà l’ordine ai suoi uomini e si raccomanda: non dobbiamo farci riconoscere, andiamo tutti in borghese... Ma è lui stesso a tradirsi davanti alla roulette. Quando il croupier gil chiede: “Ha puntato?”, risponde: “No maresciallo!”. Risate generali, compresi quelli che non hanno capito. Anche il professore ha compreso che la barzelletta può essere un modo simpatico per dare un “look” diverso al proprio stereotipo di uomo austero e rigoroso. E per cercare di sdrammarizzare una situazione che non è non certo facile per l’Italia, ma neppure sul piano personale. Infatti, come se non bastassero le critiche di alcuni colleghi di governo che l’avevano considerato peggio di Quintino Sella nella politica della lesina (e, in verità, è un merito...), il nuovo “divin Giulio”, suo malgrado, è enrato in quella specie di tritacarne mediatico che è la “telenovela” sul vero delfino di Berlusconi. Dopo i tanti voli pindarici dei giornali sull’investitura prossima ventura del Guardasigilli Angelino Alfano - concesso, ma ancora tutto da dimostrare, che Silvia abbia davvero intenzione di lasciare —, è dovuto intervenire lo stesso premier per smentire, prima, contrasti con il suo ministro più importante e, poi, per indicarlo serio pretendente alla propria eredità politica. Anche se Tremonti ha già superato “quota sessanta” (ma non li dimostra affatto) e l’amico Bossi preferisce, per ora, non bruciare la candidatura del professore (sempre presente alla cena leghista “degli ossi” a Calalzo).


Se gli chiedi un parere sul tema della successione, lui si limita a rilevare che it problema non è “chi” prenderà il posto di Silvio, troppo carismatico per essere facilmente rimpiazzato, ma “cosa” lo sostituirà. E, insomma, piuttosto sbrigativo sull’argomento, cosi come considera già archiviate le tensioni con alcuni colleghi sui soldi da scucire: si limita a definire “estemporanee” le critiche (in primis, Giancarlo Galan, da poco subentrato a  Bondi al ministero della Cultura)di coloro che gli rimproveravano il “braccio corto” quando si tratta di aprire i cordoni della borsa. Se glissa volentieri sui temi personali, il superministro si dilunga sugli scenari prossimi venturi: i problemi economici che sono il vero nodo del Paese da sciogliere entro il 2014. L’obiettivo – supportato dagli ispettori del Fmi che hanno promosso l‘Italia agli esami di primavera, ma messo sotto i raggi X dall’agenzia dl rating Standard & Poor’s che ha tagilato l’outlook dell’ltalia, da stabile a negativo, confermando, invece, il giudizio sul debito a lungo termine - è quello di raggiungere, fra tre anni, un sostanziale pareggio di bilancio, come previsto dal programma di stabilità europea, messo a punto in aprile.


Sottolinea Tremonti:  «il traguardo è arrivare a un rapporto delio 0,2% tra debito e Prodotto interno lordo, partendo dal tetto del 3,9% di quest’anno e passando ai 2,7% nel 2012 e all’1,5% net 2013». Una meta non facile da raggiungere,considerando che sui mercati finanziari europei continuano a registrarsi i contraccolpi del pianto geco del 2010, quando un inervento troppo tardivo e lacunoso della Ue non ha bloccaco il dissesto finanziario di Atene, avviata verso una ristrutturazione del debito pubblico dagli esiti molto incerti. Un mezzo crac che coinvolge, insomma, tutto il vecchio continente: persino lo strumento degli eurobond, tanto caro a Giulio, rischia, così, di essere annullato. A chi gli fa notare se, per caso, anche lui non si senta vittima della sindrome del bilancio rigoroso, costi quel che costi, Tremonti rammenta un fatto incontrovertibile: “L’articolo 81 della Costituzione dispone che qualsiasi legge con esborsi finanziari debba indicare come far fronte alle spese, ma la norma non ha impedito, comunque, che I’Italia abbia raggiunto il terzo o quarto debito pubblico più elevato al mondo”. Una escalation inarrestabile, ma ora i partner europei, ricorda Tremonti, hanno sottoscritto un patto “che vincoli ciascun membro a rafforzare gli interventi nazionali in modo da mettere tutti i bilanci sotto tutela”. Nel contesto europeo, I’Italia “potrà cosi fare la sua parte e la prossima designazione di Mario Draghi al vertice della Bce servirà ad aumentare il ruolo del nostro Paese”.
È giunto, dunque, il momento di dire stop alle telefonate delle tante amministrazioni pubbliche che continuano a battere cassa. Resta un problema, che è la vera sfida del ministro deIl’Economia: come conciliare lo sviluppo con i vincoli di bilancio? Cioè come uscire dal tunnel della recessione con un piatto che piange come il venerdì di magro? Non c’è trippa per nessuno, gatti compresi. Eppure, il decreto di stabilità, licenziato dal governo all’inizio di maggio, cerca di conciliare i due obiettivi all’apparenza cosi inconciliabili. Facendo di necessità virtù, il Consiglio dei ministri ha, infatti, varato alcune misure che possono servire a rilanciare l’economia, a patto, ovviamente, che tutti facciano di più (tremontiana raccomandazione) per accelerare lo sviluppo: minori vincoli fiscali per imprese e famiglie, aiuti mirati alle aziende che assumono al Sud (che, in questo momento, è più che mai la pilla al pide dell’economia), disboscamento nella giungla delle imposte di favore, fase due del piano per l’edilizia (con l’eliminazione di quegli intoppi a livello regionale che, di fatto, avevano frenato la ripresa del mercato della casa). Il “mix” del professore basterà? È chiaro che la vera spallata, per rilanciare i consumi delle famiglie, sarebbe propiziata dal drastico taglio delle aliquote fiscali, come soilecitato anche da Berlusconi. Ma i tempi non sono ancora maturi proprio a causa di quel benedetti vincoli di bilancio, l’unica bussola, appunto, in grado di indicare la rotta alI’ltalia. Il superministro non vuole illudere nessuno: “Non possiamo abbassare la guardia sui conti pubblici. Abbiamo un sentiero di rientro e siamo obbligati a percorrerlo fino in fondo”. A quando. allora, la riduzione delle tasse? Intanto, nonostante i tempi grami, nessun colpo mancino come l’introduzione di una patrimoniale sulla casa, come prospettato da qualche leader della sinistra. E, poi, si arriverà per gradi anche ai tagli. “Intanto — dice — sono già stati ottenuti importanti risultati nella lotta all’evasione. In Italia e anche all’estero: fino a ieri, era comodo e sicuro depositare il bottino nei paradisi fiscali come in una caverna di All Babà”. Certo, tutto sarà più facile quando saremo vicini al famoso riequilibrio del debito. A quel punto, la ricetta di un ciclo virtuoso è già indicata. ”Il sistema fiscale dovrà essere modificato sulla base dei quattro principi-cardine: progressività, in funzione della capacicà contributiva delle famiglie e delle imprese; neutralità rispetto alle scelte dei contribuenti; solidarietà verso il reale bisogno delle famiglie; semplicità basata su alcuni punti generali”.


Speriamo, insomma, nel futuro. Tremonti - che, prima degli altri, aveva visto giusto sulle distorsioni del “dio mercato” con un azzeccato “best seller” - ha idee precise anche sulla recessione internazionale cominciata tre anni fa. E per spiegarsi, cita a memoria Winston Churchill: lo statista inglese, alla fine del proprio racconto sulla Seconda guerra mondiale, si domanda se il conflitto, che l’ha visto grande protagonista, non sia stato, piuttosto, il seguito di un’unica guerra, una nuova Guerra del Trent’anni (1915-1945), intervallata da un lungo armistizio. Anche il “divin Giulio” la pensa così: tra alti e bassi, tra tregue e spiragli di luce, la crisi continua. Speriamo solo che non sia un’altra Guerra dei Trent’anni...