Giulio Tremonti



Rassegna Stampa

- Libero

Meno leggi, più mercato per sbloccare il Paese

La rivoluzione liberale: tutto è permesso se non ciò che è vietato. Per liberarsi dalla manomorta esercitata dalle burocrazie è essenziale una nuova politica legislativa: il sistema attuale, in Italia, è un sistema insufficiente in senso paradossale.

Per liberarsi dalla manomorta esercitata dalle burocrazie è essenziale una nuova politica legislativa. Il sistema che c'è adesso, in Italia, è un sistema insufficiente in senso paradossale, insufficiente per eccesso. E' così anche perché è un sistema essenzialmente restrittivo, basato sul principio: "Tutto è vietato tranne ciò che è concesso". Per rinnovarlo è essenziale spazzare via il sistema di vincoli, su cui si basa il potere feudale delle burocrazie. Una rivoluzione mirata a liberare l'economia della manomorta statale può basare la sua legislazione solo sul ribaltamento del rapporto tra legge e contratto e può avere un solo principio ispiratore: "Tutto è libero, tranne ciò che è vietato". Il campo dei divieti deve essere limitato all'ordine pubblico, inteso nel senso letterale del termine. [...] E' l'esatto opposto del sistema attuale, in cui è tutto vietato, tranne ciò che è graziosamente concesso da un regime che basa il suo potere proprio sulla facolttà di concedere ciò che si può fare e sul ricatto di irrogare sanzioni per le violazioni dei divieti di fare.


Quel che c'è adesso in Italia ha in specie i difetti, senza pregi, del "lassez-faire". Le imprese, in particolare, e i cittadini, in generale, sono costretti a operare in un mondo di regole assurde e, per di più, devono mantenere le burocrazie che le fanno e le gestiscono. [...] La coppia da mettere in gioco è: vecchio-nuovo. Vecchio è un sistema giuridico di fatto anarchico, a causa dell'eccesso di regole paralizzanti in esso contenute. Nuovo è, invece, un sistema che va rifatto. Se si vuole sostenere lo sviluppo, lo si deve ordinare, ma in base a un'intelaiatura di leggi semplici, chiare e, perciò, applicabili. [...]


Se la realtà si complica, la legislazione non la si può inseguire, aggiungendo a quelle reali le sue complessità formali artificiali. La crescente articolazione della realtà materiale richiede piuttosto un'inversione di tendenza: una nuova codificazione. Il diritto semplice non è un'utopia giuridica, è una necessità. Come è stata una necessità quella espressa nel principio illuministico della legge certa, chiara e semplice. A fianco dei codici, se necessarie, le leggi eccezionali o particolari devono e possono essere impostate come leggi-obiettivo: dato un oviettivo (ad esempio una grande opera pubblica) la legge, da un lato lo deve disciplinare in positivo, dall'altro lato deve disporre la disapplicazione automatica di ogni altra norma non compatibile con il raggiungimento dell'obiettivo fondamentale. Tutto il resto va lasciato alla libertà contrattuale privata. L'applicazione di questi criteri non equivale a meno legge, ma a meno leggi [...]


Un'area dove gli spazi devono essere aperti a una nuova legge è, ancora, quella della proprietà dei mezzi di produzione, che [...] è attualmente insufficiente, insieme per eccesso (nel caso delle imprese minime) e per difetto (nel caso delle grandi imprese e delle imprese pubbliche). Come il vero giudice dell'attività amministrativa è il popolo, così il vero giudice dell'attività produttiva è il mercato: il meccanismo capitalistico è complesso come un meccaniscmo a orologeria: privatizzazioni e mercato, concorrenza ed efficienza, sono parti necessarie dello stesso congegno. Manca in Italia il mercato capitalistico dei mezzi di produzione. E ciò porta a un'altracosa da fare: le privatizzazioni. Finora le privatizzazioni sono state finte o parziali. In molti casi, l'azienda pubblica è diventatauna spa, e cioè una società formalmente di diritto privato, ma la proprietà p rimasta pubblica. Ciò che cumula difetti di un tipo di struttura (pubblica) senza i vantaggi dell'altra (privata).


[...] Lo Stato deve cedere subito e in blocco tutte le sue partecipazioni in società per azioni. [...] Lo stesso ordine di considerazioni va infine esteso allo sconfinato patrimonio immobiliare dello Stato. La (finora) confusa discussione in corso sul federalismo può essere anticipata da un passaggio istantaneo, immediato e capace di trasmettere alla gente un segnale semplice e rivelatore. Da subito, il federalismo può prendere corpo fisico e visibile, ribaltando lo storico processo di centralizzazione patrimoniale che ha caratterizzato il nostro paese. Il demanio statale [...] va sdemanializzato. I castelli, i palazzi, le foreste, le terme, le spiagge ecc., tutti i beni immobili in mano statale devono tornare [...] ai Comuni dove si trovano fisicamente. Solo qui, infatti, e non da Roma, i beni possono essere gestiti e valorizzati, con efficienza, da parte delle comunità economiche locali (si pensi alle risorse turistiche) e sotto il controllo esercitato direttamente dai cittadini.