Tremonti e il fantasma di un’Europa che sterza verso l’estrema destra
Tra le fiamme del Maghreb Giulio Tremonti scorge il «terzo mostro del videogame», quel terribile gioco prodotto dalla globalizzazione che prima ha innescato la crisi finanziaria negli Stati Uniti, poi ha colpito i debiti sovrani in Europa, e ora sta scardinando il sistema nell'Africa mediterranea. Agli occhi del ministro dell'Economia «il mostro è sempre io stesso, ha cambiato solo forma, e come temevo diventa sempre più pericoloso».
Il «vecchio mondo» a cui si riferisce Tremonti è quello dell'ordine intemazionale gestito prima dalla ferrea legge dei blocchi contrapposti, poi dal «gendarme americano». Oggi però non è più così: «Gli Stati Uniti non ci sono, l'Europa men che meno».
E il fatto che molte nazioni del Vecchio Continente sembrino volersi rifugiare nel proprio particulare, incuranti dei problemi del vicino, è per Tremonti la testimonianza di come non sia stata ancora compresa fino in fondo la «nuova e drammatica emergenza». Perchè oggi la Libia non si affaccia più soltanto sul Mediterraneo, Tripoli confina anche con Stoccolma e l'Aja, se è vero che «dinnanzi a questo caos persino il sistema democratico europeo potrebbe entrare in tensione. Per reazione potrebbe esserci una sterzata verso l'estrema destra». Sconfitto, il mostro riappare.
«Nel videogame siamo saliti di livello», che andrà studiato per poterlo poi affrontare. Sono molti gli aspetti da analizzare nella crisi del Maghreb, e tanti gli interrogativi che al momento non hanno risposta. Un conto è l'innesco, «la speculazione sui prodotti alimentari che ha provocato le rivolte», altra cosa è capire ad esempio «il ruolo dei social network» nella crisi che ha spazzato via in poche settimane i regimi di Tunisia ed Egitto, e che ora ha messo in ginocchio quello libico: «Sarebbe importante sapere se dietro questi giovani «in Rete« c'è o meno qualcuno, ed eventualmente chi. Perchè delle due l'una: o sono stati così bravi da produrre il rovesciamento del sistema, oppure sono stati tanto ingenui da farsi strumento...».
Nelle rivolte Tremonti per ora non vede una «regia religiosa o anti-occidentale», proprio i timori espressi tre giorni fa da Silvio Berlusconi, preoccupato che «il dopo» in Africa prenda una piega antioccidentale e una «deriva fondamentalista islamica». D'altronde, solo la sera prima il Cavaliere aveva parlato al telefono con Gheddafi per indurlo alla ragione, e al termine del colloquio aveva riferito ai propri ministri che il Colonnello «ce l'ha con gli americani»: «Lui dice che hanno sempre combinato disastri, e dice che la Libia potrebbe finire come l'Afghanistan o peggio ancora l'Iran».
Il titolare di via XX settembre sfugge all'argomento, si limita a constatare che «comunque» l'insurrezione nel Maghreb destabilizza il quadro internazionale e avrà pesanti ripercussioni economiche, di portata simile a quelle che si determinarono «ai tempi della guerra del Kippur». Il terzo livello del videogame ruota attorno al conflitto per le materie prime, alla lotta per l'approvvigionamento delle risorse energetiche che insieme ai processi politici sta scardinando il sistema. Per abbattere il «mostro» è secondo Tremonti necessario quindi «recuperare la stabilità», come accadde dopo il crollo di Lehman Brothers negli Stati Uniti e la crisi economica della Grecia. Senza la stabilità infatti si affaccerebbero scenari inquietanti che sono stati evocati durante il seminario a porte chiuse organizzato dall'Aspen mercoledì scorso, e a cui hanno preso parte rappresentanti di organizzazioni mondiali legate alle Nazioni Unite, dirigenti di istituti di credito internazionali, esponenti di centri di ricerca e manager di multinazionali dell'energia.
Durante la riunione, a cui partecipava anche Tremonti, sono stati presentati alcuni dati per ora grezzi sugli effetti che le rivolte nell'Africa mediterranea potrebbero provocare sul sistema nazionale e più in generale su quello europeo. Per il petrolio e per il gas le preoccupazioni non sono dettate tanto dal picco attuale della crisi. In base agli studi, per esempio, l'Italia sarebbe in grado di compensare «per qualche mese» l'azzeramento di forniture dalla Libia e all'occorrenza anche dall'Algeria.
Ma solo «per qualche mese», appunto, e non oltre settembre. è quella la dead-line da non oltrepassare, perchè se la fase critica si dovesse protrarre, allora andrebbe messo nel conto il rischio di una fiammata inflattiva ipotizzata tra il 3 e il 4% che andrebbe a impattare su una crescita ancora anemica del prodotto interno lordo. E' la stagnazione quindi il mostro che sta al quarto livello del videogame, almeno la sua ombra che si scorge negli scenari più pessimisti, dato che il problema non è dato dall'«emergenza», ma dalla eventuale «tendenza».
Certo, gli analisti hanno sottolineato come i fattori di instabilità sono sempre stati all'ordine del giorno nei Paesi produttori di energia. Così come il prezzo del petrolio ha avuto ciclicamente forti oscillazioni, dai 40 ai 140 dollari al barile. In questi casi i mercati hanno saputo assorbire i picchi delle crisi, a patto che non fossero prolungate. E la «guerra del Kippur» evocata da Tremonti ricorda l'era dello choc petrolifero, un cambio epocale di sistema che portò per reazione all'«accordo del Plaza», alla nascita del «G5».
La rivolta del Maghreb ha già provocato un rialzo nel prezzo dell'oro nero, e le proiezioni fatte all'Aspen arrivano a ipotizzare un picco intorno ai 100-110 dollari al barile. Nulla rispetto a quanto accadde negli anni Settanta. Ma la prospettiva rispetto al passato è che il costo al barile non scenda più sotto la soglia degli 80 dollari. Sarebbe forse l'ultimo dei problemi per un Occidente chiamato a saper gestire (e pagare) i costi della democrazia nel Continente Nero. Il guaio secondo Tremonti è che «il mostro» del videogame non da tregua: «La crisi aveva commentato durante l'ultimo meeting a cui ha partecipato evidenzia come un sistema in chiaro-scuro. In chiaro c'è ora l'assetto bancario europeo. In scuro c'è il Mediterraneo».