Giulio Tremonti



Rassegna Stampa

- Libero Mercato

Tremonti: Quattro malattie dietro la crisi globale

Pubblichiamo la traduzione integrale dell’intervista concessa al quotidiano francese Les Echos dal ministro dell’Economia Giulio Tremonti. Effetti della globalizzazione, crisi mondiale, riforma dei sistemi di controllo del credito e della finanza: su questi temi l’intervista raccolta da Catherine Chatignoux, Gabriel Grésillon e Richard Hiault.

Eletto al parlamento italiano dal 1994, è uno dei caposcuola di Forza Italia, il partito di Silvio Berlusconi, Giulio Tremonti è stato nominato il 7 maggio 2008 ministro deII’Economia e della Finanze dopo la vittoria del partito di Berlusconi aile elezioni legislative. Un posto che aveva già occupato nel primo e nel secondo governo formato dal “Cavaliere”.
Avvocato di formazione, Tremonti è professore di diritto fiscale all’Università di Pavia e continua a guidare la sede italiana dell’Istituto Aspen.

Come spiega la crisi attuale?
Durante il decennio scorso la mondializzazione ha condotto a una degenerazione del capitalismo. L’economia mondiale oggi soffre diquattro malattie. La prima riguarda le banche: la loro missione storica è quella di raccogliere denaro e prestarlo, assumendosi i rischi che ciò comporta. Con l’avvento di quella che io
definirei la tecno-finanza, il credito è diventato un prodotto. Più si vende questo prodotto più si guadagna. E meno si è inclini ad accollarsi dei rischi. Ma questo non ha nulla a che vedere con il funzionamento di una banca sana. La seconda malattia è legata a questioni geografiche. La globalizzazione ha creato un unico mercato mondiale. Ma le giurisdizioni sono rimaste le più disparate. Sono numerosi gli ambiti in cui i regolamenti comuni ri mangono a un livello puramente teorico e nessuno li rispetta. La mondializzazione ha creato delle opportunità per aggirare queste giurisdizioni e vivere in un mondo senza regole.
Terza malattia: il capitalismo originale era basato su un’impresa ideale. Oggi il cuore del capitalismo mondiale, la sua componente più strategica, non è più nelle mani di queste imprese, ma in quelle dei fondi d’investimento.
Infine la compatibilità delle imprese poggiava una volta su due pilastri: il bilancio e il conto profitti e perdite. In questi ultimi tempi tutti si sono focalizzati sui risultati, dimenticando il valore patrimonale che si esprime nel bilancio di un’entità. Quest’ultima dimensione è essenziale in una prospettiva di lungo termine.
Si è imposta una logica puramente gestionale a danno degli imprenditori.
Ora, di fronte a questa crisi, ho la sensazione che ci troviamo come in un videogioco: ogni volta che abbattiamo un mostro, abbiamo la sensazione di aver vinto e allentiamo i nostri sforzi, ma u secondo mostro, più forte del primo, risorge. In questo stadio della crisi noi siamo arrivati al settimo mostro: dopo i “subprime” citerei il crollo del credito, il fallimento di alcune grandi istituzioni Íinanziarie, il crollo dei mercati finanziari. Senza dimenticare i derivati ii cui valore rappresenta dodici volte il Pil mondiale e che nessuno è in grado di censire con precisione.

Visto che quest’anno le tocca la presidenza del G8, che cosa prevede?
Dieci anni or sono il G7 rappresentava l’80% del Pil mondiale, era unificato sotto una unica moneta, il dollaro, e incarnava i valori dominanti di democrazia. Oggi ii G8 (il G7 più la Russia) pesa soltanto la metà del Pil mondiale.
E non è più rappresentativo del mondo in cui viviamo. Da un aitro lato il G20 non meglio.
Come si può giustiflcare l’assenza dell’Egitto e della Spagna da questo gruppo di Paesi? Ed è ugualmente difficile poter dire che l’Arabia Saudita rappresenta i’intero mondo arabo.
Dunque noi siamo aperti a qualunque soluzione di allargamento dei G8. Ma per noi è importante soprattutto fare progressi nel merito.
Il secolo scorso è stato fondato sullo standard dell’oro. Bisogna che questo secolo funzioni su uno standard giuridico. Stiamo lavorando a un progetto di documento da presentare in febbraio a Roma che esporrà questi valori giuridici di trasparenza.
Un altra proposta riguarda l’aiuto ai paesi poveri. Il sistema dell’aiuto pubblico allo sviluppo consiste nel prestare dei soldi pubblici ai governi africani. In un certo senso questo significa prendere dei soldi ai poveri dei Paesi ricchi per darli a dei ricchi dei Paesi poveri.
Capitali che finiscono spesso nei paradisi fiscali se non nell’industria degli armamenti.
Noi proponiamo piuttosto di ridurre l’iva su alcuni prodotti provenienti dai Paesi poveri in modo che questo vada a beneficio delle Ong in quei Paesi. Il nostro obiettivo è di introdurre nuove idee nel dibattito ma questo richiederà inevitabilmente del tempo prima che tutto cìò passa concretizzarsi.

Ritiene che l’Europa si presenterà unita di fronte al progetto di introdurre una riforma dei sistema finanziario internazionale?
La crisi è stata gestita nei passaggi critici dai singoli governi e non dalla Commissione europea. È il metodo intergovernativo ed è importante in termini politici perché i governi escono rinforzati da questa prova. La leadership del presidente Sarkozy è stata determinante. Io sono stato colpito, ascoltando il capo dello Stato francese e la cancelliera tedesca durante il convegno “Nuovo mondo, nuovo capitalismo”, organizzato la settimana scorsa a Parigi, per la loro impressionante comunanza di punti di vista. C’è una cultura comune in Europa. Parliamo tutti di economia sociale di mercato. Questo significa che sono le leggi che trasfeniscono i valori etici all’economia.

Jean-Claude Trichet ha proposto che la Bce assuma un ruolo più attivo nel sistema bancario e finanziario europeo. Che cosa ne pensa?
Penso che sia una buona idea. Un proverbio cinese dice che 100.000 aghi non fanno una spada. In altre parole, gli europei che si muovono entro un mercato unico, hanno bisogno di coordinamento per essere efficaci. Personalmente sono favorevole ad una supervisione unica per l’insieme delle istituzioni finanziarie. È impossibile pensare di funzionare con un solo mercato e ventisette autorità differenti. Ci sono delle resistenze ma cosi è assurdo.

Qual è la situazione dell’Italia di fronte alla crisi?
Innanzitutto non bisogna sotto-stimare l’economia italiana. Bisogna diffidare sempre deile statistithe sul Pil. Non soltanto non includono l’economia informale, ma, soprattutto, una buona parte delle nostre imprese è basata fuori dalle nostre frontiere. Le imprese italiane hanno spesso una holding in Lussemburgo, un marchio depositato in Olanda, una struttura commerciale in Svizzera o in Austria e degli investimenti in Europa centrale. Ma soltanto le imprese quotate consolidano tuno questo nel loro bilancio. Ne risulta che l’economia italiana è più forte di quanto il Pil lasci supporre.
L’altro punto positivo che vorrei far notare, è che le nostre banche hanno sofferto poco la crisi dei subprime. Sono rare quelle in cui si parla inglese! La loro esposizione ai titoli tossici è rimasta dunque estremamente limitata.
Oggi i nostri banchieri non reclamano che si vada in loro soccorso.