Giulio Tremonti



Rassegna Stampa

- Il Mattino

Sud, al via la Banca. E Palazzo Chigi avrà la regia del Piano

Pronto il disegno di legge per il credito. Tocca al capo del Governo il compito di coordinare le politiche di sviluppo e non c'è il rischio di creare un nuovo carrozzone pubblico. Intervista di Antonio Troise.

E' vero che in politica non esiste copyright. Eppure, Giulio Tremonti, ministro dell'Economia, è stato il primo a rilanciare la questione meridionale come questione nazionale. Per questo condivide totalmente il documento elaborato dai gruppi parlamentari Pds che sarà discusso oggi a Napoli a Palazzo Reale. Un convegno dove è in programma anche il suo intervento. Nell'intervista al "Mattino" ribadisce il concetto, lo sviluppa in base all'analisi della situazione italiana e meridionale in particolare. Poi annuncia che nei prossimi giorni presenterà al Consiglio dei ministri il disegno di legge per la banca del Sud e per il credito nel Meridione.

Ministro, anche Trichet ha riconosciuto che l'economia italiana può crescere di più rispetto agli altri paesi. Fra l'altro sono arrivati giudizi positivi da molti osservatori e istituti internazionali. Il partito dei "catastrofisti" ha sbagliato le previsioni?
"Il nostro Paese è entrato nella 'normalità' europea e - per ora - è finito il 'Caso Italia'. Attesi per il peggio data la colossal dimensione del debito pubblico italiano - il terzo del mondo senza che l'Italia abbia la terza economia del mondo - in realtà abbiamo tenuto. Ed è così che i numeri italiani sono entrati nella normalità europea. Entrare nell'ordinarietà dei grandi numeri europei in un periodo non ordinario perché marcato dalla crisi è stato, di per sé, un po' straordinario".

Ora cosa succederà?
"Il futuro non sarà la proiezione automatica del passato, la crisi ha fatto emergere che la maggiore crescita di molti paesi rispetto all'Italia non era prodotto da buona politica ma da cattiva finanza: dalle carte di credito, dalle centrali finanziarie, dalle bolle immobiliari. Una crescita artificiale e drogata. La storia dei rapporti fra gli altri Paesi e il nostro ricorda quella di Achille e della tartaruga: l'Italia cresceva di meno ma aveva e ha la seconda manifattura d'Europa dopo la Germania. I cattivi maestri del "declinismo" ci hanno insegnato che la nostra manifattura era il male rispetto alla finanza. E che perdevamo quote di mercato. Esattamente l'opposto: ancora nell'autunno dell'anno scorso, prima che esplodesse la crisi, non perdevamo ma aumentavamo le nostre quote sul mercato mondiale. La crisi, con la caduta del commercio mondiale, ci ha colpito su un punto di forza e non di debolezza. Ma la manifattura resta e, come insegna la crisi, la ricchezza non si produce a mezzo debito ma a mezzo lavoro. Se le statistiche nazionali ci portano in un'area di normalità c'è, però, un elemento di anormalità".

Quale?
"L'Italia è un paese duale. E' un po' come la storia dei Polli di Trilussa: ce ne sono due, ma uno ne mangia uno e mezzo e l'altro solo mezzo. Questo non vuol dire che le statistiche italiane siano sbagliate. Anzi, sono giuste. Ma vanno lette considerando i differenziali che contengono al loro interno. La forza economica del Centro-Nord, con i suoi 40 milioni di abitanti, un blocco grande come un medio paese europeo tipo Spagna o Polonia, è superiore alla media europea. Ci sono dentro aree che competono tranquillamente con la Baviera o l'Ile de France. L'altra parte, che comprende 20 milioni di abitanti, più o meno come Portogallo e Grecia messi insieme, presente, invece, numeri sbilanciati verso il basso. Nelle statistiche ci sono medie che sono medie e invece medie che sono la somma di numeri che stanno insieme, gli uni molto sopra, e gli altri troppo sotto la media stessa. E' vero che la somma la fa il totale. Ma un conto è la somma di numeri più o meno uguali, un conto la somma di numeri troppo diversi. La strategia, allora, non può essere la stessa per tutto il paese. Bisogna concentrarsi sul Sud".

Che cosa bisogna fare?
"Il Sud è una questione nazionale. Ma negli ultimi venti anni è mancata sul Sud una visione nazionale e unitaria. C'è stata una deriva regionale. Il Mezzogiorno non è la somma algebrica delle regioni meridionali. E' qualcosa di più e di diverso. Invece, nell'architettura politica, o ci sono soggetti troppo nazionali o troppo regionali. Ci sono due troppi di troppo".

Vuol dire che le Regioni hanno sbagliato strategia?
"Un fiume enorme di denaro è stato destinato a una miriade di opere non collocate in una logica strategica nazionale. I governi locali, ragionando prevalentemente ciascuno per sé, hanno fatto più micro che macro-opere. Più fontane e pavimentazioni che opere pubbliche di unificazione nazionale".

Nicola Rossi, del Pd, sostiene che sono aumentati i fondi per il Sud ma è aumentato anche il divario.
"Nicola Rossi ha ragione e lo ha scritto con grandissima onestà intellettuale. Se c'è una cosa che non è mancata sono i finanziamenti pubblici, se c'è una cosa che c'è stata è il cattivo uso di questi finanziamenti. C'è stato un eccesso di dispersione e non una concentrazione strategica, mentre i grandi fondi pubblici servono soprattutto per le grandi opere pubbliche. E' mancato, insomma, un progetto unitario. Un esempio: l'unificazione tedesca, il più colossale progetto di integrazione e sviluppo dell'Europa moderna è passata attraverso grandi opere pubbliche e non ha preso la forma dispersiva dei micro-progetti territoriali. Lo Stato non può essere sostituito da
un Comune che fa una fontana, con tutto l'apprezzamento per le fontane. E gli effetti sono evidenti. Come è possibile che i collegamenti ferroviari da Roma verso il Nord si fanno in due ore e quando si va verso il Sud i tempi raddoppiano? E' chiaro che qualcosa non funziona. Lo Stato non ha fatto lo Stato. Dagli anni '90 ad oggi, la nuova politica meridionale ha assorbito un'enorme quantità di capitali e ha prodotto un minimo beneficio pubblico. Andare avanti così non unisce ma gradualmente divide il paese".

Come se ne esce?
"Bisogna portare la questione meridionale a livello nazionale. Il sud non può essere la somma dei micro-progetti o dei micro-medio soggetti territoriali. Non è un caso che la grande esperienza della Cassa per il Mezzogiorno, che aveva una visione nazionale, si è rotta quando sono state "inventate" le Regioni. Ed è cominciata una deriva dal centro verso la periferia. Così ha preso forma l'opposto del giusto: la periferia è diventata il centro di sé stessa disperdendo la questione meridionale in una puntiforme e irrazionale politica locale".

Il federalismo, però, non va proprio in questa direzione?
"Finora, soprattutto nel Sud, c'è stato un federalismo assimetrico che ha avuto i difetti senza i pregi del federalismo. E ha alimentato la dinamica della corruzione. Anzi, considerando questo fenomeno, i polli di Trilussa ai quali facevo riferimento non sono due ma tre, perché c'è anche quello che ha alimentato la criminalità, la malavita".

Non c'è un altro problema? Bene o male, fino al seconda governo Prodi, c'era una certa concentrazione istituzionale. Poi è stato smontato tutto per dinamiche interne di potere. Non sarebbe meglio riportare tutto a come era prima?
"A me sembra giusto che la funzione di coordinamento a Palazzo Chigi. Anche nella meccanica delle competenze, come si sono moltiplicati i centri a livelli di regioni, così si è smontato a livello centrale creando l'effetto di una paradossale scomposizione".

Davvero rimpiange la Cassa per il Mezzogiorno?
"Ho usato quella della Cassa per il Mezzogiorno come un'immagine provocatoria. Oggi può essere l'Agenzia a Palazzo Chigi o l'Istituto per lo sviluppo del Meridione. L'essenzialeè capire che un comitato di ministri funziona per coordinare fino a quando ci sono i fondi europei. Ma quando finiscono, ci vuole un organo più tecnico e meno politico capace di andare alla Bei o sui mercati finanziari per raccogliere i capitali necessari per lo sviluppo del meridione".

Quando partirà la banca del Sud?
"Nei prossimi giorni sarà presentato il disegno di legge, concordato e affinato in modo che possa cominciare a svilupparsi. Il  Sud è l'unica macro-regione d'Europa che non ha una banca propria. Non credo che questo sia irrilevante o che già fanno tutto e bene le banche del Nord. Se oggi, con la crisi, esiste un problema di credito nel Nord, figuriamoci nel Sud...".

Non c'è il rischio di creare una banca pubblica?
"E' un non problema perché costituire una banca pubblica è vietato dall'Europa. Ma questo non vuol dire che non ci sia una responsabilità pubblica nel mettere insieme attorno a un tavolo i soggetti che possono realizzare il progetto".

Se ho ben capito, si vogliono mettere in rete gli istituti di credito cooperativo. Non è lo schema che ha generato Crédit Agricole in Francia?
"Quella è un'esperienza straordinaria. La storia non si ripete per analogie. Ma la meccanica del territorio è quella giusta. La raccolta la faranno le banche di credito cooperativo. Quelle che ci sono e le nuove. Noi favoriremo in tutti i modi legittimi questo processo. In questa banca non si parlerà inglese".

Quali i tempi per il nuovo istituto?
"Per fare le banche del Sud ci sono voluti secoli. Per distruggerle sono bastati vent'anni. Per ricostruirle ci vorrà del tempo. Ma c'è sempre un giorno in cui si riparte".