Giulio Tremonti



Rassegna Stampa

- La Padania

Solo il territorio può battere la crisi

"E' solo il territorio che può battere la crisi". Ne è convinto il ministro dell'Economia, Giulio Tremonti, che in una intervista a 'La Padania' parla di crisi, di banche, di credito e di prefetti. Ma la questione è soprattutto politica: passa attraverso il territorio e il federalismo. "Altrimenti gli imprenditori non sanno con chi parlare e pensano che sia colpa del centro, i lavoratori pensano che sia colpa di Confindustria. Invece è sui territori che si risolvono le crisi. L'operazione degli osservatori è un'azione di prevenzione, presidio, mediazione, non di potere". Intervista di Stefania Piazzo.

È tutto chiaro. È sul territorio che "l'unione fa la forza". Lo pensa Bossi, lo condivide l'amico Giulio Tremonti.

Ministro, il tema del giorno per famiglie e imprese ruota tutto attorno alla crisi e al credito. Ci spiega qual è la sua strategia?
Questo è un caso in cui le parole si contano e si pesano. Al binomio credito-prefetti credo si debba aggiungere un altro più importante bionomio, il binomio territorio e crisi. È solo il territorio che può battere la crisi. Sono le strutture, non le sovrastrutture ad entrare in gioco.

Che dinamica c'è tra crisi e credito?
C'è sicuramente un rapporto circolare, reciproco di causa ed effetto. La crisi può portare ad una stretta sul credito, la stretta sul credito può aumentare la crisi. Le banche stringono sulle imprese, il imprese stringono sui lavoratori, il boomerang così fatto torna contro le banche stesse.

Ministro, come spiega il ruolo degli osservatori del credito?
La prima ragione degli osservatori economici è proprio questa, evitare quanto più possibile la stretta creditizia. Lo possono fare attorno ad un tavolo le imprese e i lavoratori, le Camere di commercio e le associazioni artigianali e commerciali. Può essere che il catalogo dei partecipanti possa e debba essere ancora più esteso. Ad esempio se un'impresa è in cirsi può essere ragionevole immaginare di ristrutturare un debito previdenziale o un debito fiscale. Ecco allora che può essere utile la presenza costruttiva dell'Inps o degli uffici fiscali. E questa è la prima ragione degli osservatori.

La missione delle prefetture è quindi chiara?
Sì, in questi termini il riolo delle prefetture non è un rapporto di potere, è una funzione di mediaizone diplomatica, di promozione, di servizio dell'economia e alla società e non di dominio sulla realtà e la società.

È la posizione di Bossi. Lei quindi la condivide?
Bossi la vede assolutamente giusta. Ma c'è una cosa in più, c'è una ragione seconda, e se vuole più profonda di questo strumento. Ed è questa: la crisi non si esaurisce nel credito, la crisi ha o può avere una portata molto più vasta. Per essere chiari la parola su cui dobbiamo concentrarci per misurare la temperatura della crisi non è tanto solo la parola credito, è la parola export.

Non è quindi solo un problema di domanda o di offerta di credito?
È questo ma è anche un problema più vasto di domanda e di offerta di merci e di servizi. La parte più dinamica del mondo si è basta sull'import-export che, come abbiamo sempre detto, è il lato mercantile della globalizzazione. Di questo ne abbiamo parlato tante volte e anche per primi proprio Umberto ed io.

Lo avete denunciato più di dieci anni fa, ministro!
Mi ricordo quando Bossi parlava di manifattura e di agricoltura, dieci anni fa. Confesso che all'inizio c'ho messo un po' di tempo a capirlo. Ma è la verità! Aveva ragione. La crisi è globale non solo perché ha una dimensione globale ma perché è causata dalla globalizzazione stessa, per come è stata fatta: troppo in fretta, troppo a debito e soprattutto troppo spinta. È l'eccesso di sponta che ha rotto il meccanismo. In un mondo che si è basato sull'export si è bloccato il motore dell'export e quindi si è bloccato un pezzo del mondo: il suo motore, un motore troppo spinto. Ma il fatto che sull'auto con il motore che si è prima lanciato e che poi si è piantato ci siamo noi senza averlo voluto, anzi, avendo in tutti modi lanciato prima l'allarme. Ma tant'è.

Ministro, la politica è ora chiamata ad assumersi la responsabilità di salvaguardare il Paese, indicando la via d'uscita.
Capire a situazione è il principio per trovare una soluzione: bisogna combattere lo sfascismo e chi pensa nel torbido. Ci vuole chiarezza sulle cause della crisi e sulle effettive possibilità di intervenire per ridurla. La gente deve essere sicura che non promettiamo l'impossibile ma che facciamo il possibile con il cuore e con la mente. Per cominciare a trovare una soluzione e farsi coraggio bisogna guardarsi in faccia attorno ad un tavolo. Oltre agli interessi degli untori sfascisti del tanto peggio tanto meglio e alla miopia di quelli che vedono solo i propri interessi, ai banchieri che vedono nella loro banca il principio e la fine del mondo, si deve far pesare il senso di responsabilità di chi come Bossi e come me ha un dovere nei confronti di milioni di famiglie, di centinaia di migliaia di imprese.

Non è solo il credito dunque il problema cruciale?
Il credito è importante ma la crisi pone problemi più importanti. Certo lo è anche il credito, ma la prospettiva che dobbiamo considerare e non ignorare sono le diffiscoltà sul territorio. Si vis pacem para bellum. Se vuoi evitare che la crisi si intensifichi ti devi organizzare nel luogo giusto e nel modo giusto per ridurne quanto più possibile l'impatto. Ecco perché credianmo fondamentale la centralità basica del territorio. La nostra strategia anticrisi va oltre il problema delle banche e del credito. Considera anche il rapporto tra imprenditori e lavoratori. La nostra idea degli osservatori è quella dell'ammortizzatore sociale, del luogo dove avere il confronto primo tra difficoltà e opportunità in cui la gente si parla, in cui si cercano soluzioni comuni.

Lei intende gli osservatori come luogo di garanzia?
In questi termini più vasti gli osservatori sono il presidio fondamentale, un luogo per evitare il conflitto nel luogo  giusto nel posto giusto, ovvero sul territorio, per evitare che il conflitto non intercettato sul territorio esploda per linee verticali arrivando direttamente al centro.

Una visione per nulla centralista del problema.
Esiste infatti una dimensione federale nella gestione della crisi. La gestione della crisi fuori dal battibecco tra banchieri è una questione politica.

Lei sposta quindi il dibattito e soluzione dal centro al territorio?
È una proposta che rompe gli schemi nazionali tradizionali che prevedono il conflitto di classe alla base e la spaccatura al vertice. Ecco perché io credo che sia il territorio al primo posto dove non la divisione ma l'unione fa la forza. In questi termini l'idea è rivoluzionaria: da una parta perché "l'unione fa la forza" è un modo per fare sistema, dall'altro è per dimostrare che è il Federalismo, il territorio la sua espressione più viva produce le soluzioni. È un'operazione di pace sociale, di raggiungimento del bene comune.

Un centralista avrebbe capovolto i termini del problema...
Perché un centralista il primo posto dove ragione è il ministero, un federalista il primo posto dove ragione è il territorio. Allora perché lei mi chiederà le prefetture? PErché sono già sul territorio, perché hanno già una competenza sulle crisi industriali. Le prefetture perché la crisi non è solo una questione economica. Ci vogliono sicuramente le Camere di commercio, così come ci vuole il sindacato, le associazioni tra imprenditori. La stessa partita degli ammortizzatori sociali è organizzata in termini di devoluzione.

Lei insomma ribadisci che il piano è squisitamente politico?
La vera dimensione è politica, è una materia troppo importante per farla fare sia ai banchieri che hai prefetti, come pensa lo stesso Bossi. La questione è politica. Il territorio vuol dire insieme realtà e politica. È la politica, non i banchieri, a darci le risposte.

Territorio cuore del progetto di rinascita?
Sì, perché sul territorio si scambiano le idee, si conoscono le persone. Bisogna impedire che si scarichino le difficoltà con insostenibile leggerezza verso l'alto. In realtà bisogna guardarsi in faccia attorno ad un tavolo, per capire, gestire e risolvere la crisi. Altrimenti gli imprenditori non sanno con chi parlare e pensano che sia colpa del centro, i lavoratori pensano la colpa sia di Confindustria. Invece è sui territori che si risolvono le crisi. Questa è la grande verità. Questa è la devoluzione. La risposta parte dai capannoni, dalle imprese locali. Da quest'unione di forza sane parte il riscatto. Abbiamo il dovere di garantire il bene comune, stiamo attraversando una terra incognita ma faremo di tutto per evitare di lasciare indietro qualcuno. È questo il sentimento che abbiamo in comune Umberto ed io.