Walter è un venditore di unguenti
Il veltronismo è populismo in salsa leggera. E' un pensiero debole, relativismo, sincretismo. E nel leggere il suo programma si vede chiaramente la convinzione di perdere. Non bada ai bisogni reali: il suo impegno è promettere ciò che la gente desidera. Ma sbaglia i conti, se vince torna Visco.
Caro Tremonti, Walter Veltroni incalza ogni giorno con trovate nuove. Ieri ha proposto miglioramenti fino a 400 euro a tutti i pensionati a basso reddito. Praticamente, tutti o quasi. È un fuoco di fila, il suo. Che ne dice? «I continui “in crescendo” di Veltroni danno la più efficace rappresentazione di che cosa è davvero il veltronismo. Il veltronismo è pensiero debole, populismo leggero. È relativismo, sincretismo, il mettere insieme questo e quell’altro. Nel veltronismo non è vero ciò che è vero, e non è falso ciò che è falso. È vero solo ciò che pensa sia utile alla propria propaganda. La vecchia sinistra parlava di bisogni. E per questo teorizzava la democrazia permanente, la democrazia dei sindacati universali e dei comitati territoriali, in sintesi la “democrazia del ‘68”. Tutto ciò che è entrato in crisi, perché quella è diventata la democrazia che non decide. La nuova sinistra supera quella frontiera, non parla più di bisogni. Parla di desideri. Veltroni, in questo, è un campione. Per Veltroni non è necessario garantire qualcosa spiegandone la soluzione, è sufficiente evocarla e prometterla. Che diventa la via maestra al riformismo gratuito».
Per Veltroni in passato ha funzionato, la consumata abilità di seduzione dei desideri. Funzionerà anche sui pensionati? «Ma questa volta anche Veltroni ha commesso un errore. A furia di girare le piazze con l’attitudine di un venditore di unguenti miracolosi, buoni per gli animali come per gli umani e la società nel suo complesso, l’errore è venuto per forza».
Quale? «Le coperture finanziarie. Che mancano, alla raffica di promesse annunciate da Veltroni. Coperture che o non ci sono del tutto, oppure sono “nascoste”, perché significa che la copertura verrà con nuove tasse. È il film che abbiamo già visto con Prodi, nel 2006. Si annuncia oggi come promessa, ma si legge tassa domani. Voti oggi, ma paghi domani. Come con Prodi. La grande incompiuta di Prodi è la tassa sui conti e sui depositi bancari, sui Bot e sui Cct. Quell’incompiuta resta dietro l’angolo, se vince Veltroni».
Però Veltroni ha ripulito le liste di un bel po’ di vecchi tromboni. A cominciare proprio da Prodi, Visco e tanti altri. «Cominciamo col dire che il 70% delle posizioni sicure nelle liste del Pd appartiene alla nomenklatura del partito. Lei dice “piazza pulita”. Io osservo che hanno sbianchettato Prodi. Ma non è che Prodi abbia lasciato la politica. È stato il contrario. È la politica che ha lasciato Prodi. E Prodi accetta la damnatio memoriae come il protagonista di una purga staliniana. In rigoroso e disciplinato silenzio. L’altro aspetto delle liste di Veltroni è il grande buco del governo. Veltroni ha annunciato settimane fa che avrebbe presentato la squadra di governo, ma non l’ha fatto. Continua a presentare i suoi finti decreti o simil decreti che approverebbe nel suo primo Consiglio dei ministri, se vincesse. Ma continua a non dirci chi sarebbero, i ministri che dovrebbero vararli».
Veltroni non ha ancora detto neanche chi è il suo ministro dell’Economia. «Già. Mi lasci dire una cosa. L’ambiente accademico, come lei sa, è sempre superinformato. E in quell’ambiente ci si dice sicuri che il ministro dell’Economia di Veltroni sarebbe sicuramente un “tecnico”. Un tecnico non candidato alle politiche, e che sarebbe appunto compensato con il posto per lui più naturale, al governo. Mi sento di sciogliere l’enigma. Il tecnico è il professor Vincenzo Visco».
Non ci credo. È uno scoop, il suo. «Mi dia retta. Finora sono stati in silenzio, nel circolo veltroniano. Può darsi che indichino in extremis un nome fasullo. Ma non prima di aver dato un rassicurante e confermativo colpo di telefono al tecnico non candidato, che sarebbe con certezza il nuovo – si fa per dire – ministro delle tasse. Anche con Veltroni».
Anche giornali non sfavorevoli a Veltroni dicono che la sua prima fase ascendente di campagna mostri la corda. Il recupero nei sondaggi sarebbe cessato. Affiora un certo affanno, ha scritto la Stampa. «Tutti osserviamo il loft della squadra veltroniana, e a proposito, avete notato che la balaustra della scala esterna del loft non è a norma? Se fosse un posto di lavoro, incorrerebbe nelle sanzioni degli ispettori. Ma evidentemente il loft non è considerato un posto di lavoro. Chi frequenta il loft deve avere abitudini a una vita pericolosa. Al di là delle battute, in materia di sondaggi e democrazia c’è chi afferma che il tempio vero stia a Londra. E chi lo dice non si riferisce a Westminster o White Hall, ma a High Street dove sono i maggiori bookmaker mondiali, le grandi agenzie di scommettitori come Bet Fair. In quei siti raccolgono le puntate su ogni tipo di gara al mondo, la tendenza pro Veltroni è in discesa, dopo qualche cenno di ripresa settimane fa che mai però ha scalfito il nostro vantaggio. Veltroni potrà sempre fare come il vecchio Pci, che a ridosso delle politiche scommetteva contro la sua vittoria. E così si ripagava in parte la campagna elettorale».
Ma che vecchio Pci... Veltroni è il nuovo e lei Tremonti è il vecchio, di ogni giorno il capo del Pd. Loro sono e coesi e hanno tagliato con la vecchia sinistra, voi restate divisi, ripete Veltroni. «Ah sì? Cominciamo dalla loro presunta coesione, allora. Prima ancora di cominciare hanno perso i pezzi e li stanno ancora perdendo. Pannella è passato dallo sciopero della sete a quello della fame, per via dei posti assegnati in lista ai radicali. Evidentemente non è stato convinto delle battute del loft, secondo cui le liste non sono come i tram con i posti prenotati. Per inciso vi chiedo: ma avete mai visto un tram con i posti prenotati? E sempre a proposito di unità e coesione. Di Pietro non solo aveva già smentito la presunta confluenza in un unico gruppo della sua Italia dei Valori con il Pd di Veltroni. Ieri in aggiunta ha detto “anche nel Pd Mani Pulite fa paura, perciò non mi vogliono ministro della giustizia”. I signori sì che se ne intendono... Aggiungo che uno dei passaggi più ripetuti in campagna elettorale da Veltroni è quando dice che non farà un governo con i ministri che dimostrano contro l’esecutivo, o lo minacciano. Vuol dire che non farebbe mai un governo con Di Pietro, perché da parte sua io ho contato 52 minacce contro il governo Prodi di cui è ministro, e quella di ieri è la conferma».
Non eluda. Veltroni è il nuovo e lei il vecchio. Che risponde? «Certo, Veltroni non è mai stato comunista! Quando si ambisce a un posto, di solito avanzandone richiesta bisogna allegare il curriculum. Veltroni invece vuole il posto ma non allega il curriculum. Saltando come peccatuccio veniale giovanile l’esperienza nella Fgci, ricordo che Veltroni ha scritto nel 1977 un libro intitolato “Il Pci e la questione giovanile”. E nel ’78 un altro libro, “A dieci anni dal ’68 – Intervista ad Achille Occhetto”. Niente male, per uno che non è mai stato comunista. Veltroni nel 1987 era comunque deputato del Partito Comunista Italiano. D’Alema almeno non nega di essere stato comunista, eppure anche lui talvolta si autodefinisce il capo del nuovo. È lo stesso D’Alema che nel 1958, a nove anni, tiene un discorso in divisa da pionere, al congresso del nazionale del Pci, alla presenza di Palmiro Togliatti. Al termine, lo presentano al “Migliore” come avanguardia dei giovani, promessa del futuro, modello per le nuove generazioni. Così piccolo, e già così all’avanguardia. Il Migliore, che consoceva gli orrori del comunismo, dicono che reagisse con imbarazzo. Si dice abbia detto: “Ma questo non è un bambino, questo è un nano”.
Veniamo all’economia. Che va male. Alcuni dicono che in campana elettorale né il Pd né il PdL la stiano contando giusta, che servirebbe più serietà, una operazione-verità. «Ci sono due differenze tra il programma di Veltroni e quello di Berlusconi. La prima è che Veltroni è convinto di perdere, Berlusconi di vincere. Ma in ogni caso non solo per cinismo, ma anche per insufficiente analisi della realtà, il programma di Veltroni teorizza il miracolo, in quello di Berlusconi invece c’è chiaramente scritta la parola crisi. È questo il grande crinale di serietà e di visione, oltre che di capacità di governo, tra i due schieramenti e i due programmi. Il nostro è un programma totalmente responsabile, gli impegni sono graduali e progressivi sull’arco dei cinque anni. È ragionevole che la crisi internazionale venga meno in 5 anni, e ciò aiuterà la più rapida fattibilità dei nostri impegni. Ma per come sono messe le cose oggi, con il tumulto dei mercati e l’economia che frena, Veltroni fa promesse e se per caso vince mette nuove tasse. Noi promettiamo di non aumenterle, perché deprimerebbero ancor più la vita e l’economia degli italiani».
È soddisfatto di come si è parlato del suo libro? “La paura e la speranza” è diventato un caso. Con molte polemiche. Lei passa per protezionista. «Si è parlato tantissimo del libro, ma non era e non è un libro elettorale. L’ho scritto nell’autunno del 2007 quando Prodi reggeva alle spallate, e tra l’altro nel libro non si parla d’Italia ma di Europa. Poi ha incrociato la campagna elettorale, e a questo punto era inevitabile che venissero anche polemiche. Non mi ha stupito che molte delle critiche si sviluppassero, come si dice in francese, con fantôme de paille, da incendiare perché con il fumo dei fantocci accesi si confonde meglio il confronto».
L’accusa di protezionismo è un fantoccio di paglia? «Il libro è per il mercato, mentre il protezionismo è contro. Tanto è di paglia l’accusa rivoltami di protezionismo, che devo ricordare a tutti come gli Stati nazionali europei hanno devoluto la politica commerciale all’Europa nel Trattato di Roma, e l’Unione Europea a sua volta l’ha definita e inquadrata nell’ambito del Trattato Wto del 1994. Ciò esclude per definizione ogni iniziativa nazionale e ogni iniziativa protezionistica, in ambito commerciale. Come i miei critici sanno, o dovrebbero perfettamente sapere. Il libro dice semplicemente che dentro questo quadro istituzionale l’Europa deve fare come l’America. E la Bonino, che ha appena ottenuto a Bruxelles i dazi europei contro la concorrenza sleale asiatica sui compressori ad aria, è esattamente anche lei su questa linea. Chi, pur di polemizzare, paventa una cosa che non può esistere come il protezionismo nazionale, dimostra una ignoranza sesquipedale. Escludo che il presidente Napolitano non conosca i Trattati che vigono in materia di commercio internazionale. Escludo dunque un’ipotesi polemica che è impossibile istituzionalmente».
Non è che molti la criticano perché nel suo libro fa un grande elogio dei valori, ordine, autorità e via continuando? «Non credo. In realtà il fuoco di sbarramento è venuto dalla casta degli economisti. Oggi molti di loro scrivono sulla crisi finanziara, ma lo fanno il giorno dopo che si è verificata, non il giorno prima. Molti di loro la crisa non l’hanno prevista né capita, e la crisi li ha trasformati da un giorno all’altro in contadini a cui è stato maledetto il raccolto. Questa è la causa principale della loro reazione furiosa e invidiosa».
Eppure molti di loro invocano anche da noi l’esempio della Fed, ma a lei dicono che è contro il mercato. «Scrivevano inni ai derivati e demonizzavano ogni tipo di intervento pubblico, ma oggi sono costretti ad ammettere che la crisi della tecnofinanza ha raggiunto eccessi gravi. Con ciò negano se stessi. L’effetto è grottesco e ridicolo. Ma fuori dal cerchio ex magico degli economisti i riscontri sul libro sono quasi totalmente positivi. Anche da sinistra, e non solo dalla sinistra antagonista. Evidentemente in campagna elettorale una parte di questi riotrni è privata e non pubblica».
Rischia di passare un po’ troppo per pessimista, sulla crisi dei mercati. «Quella in corso non è la fine del capitalismo, è la fine della tecnofinanza. Per dirla con Goethe, non è la fine del mondo. È la fine di “un” mondo. E la sua fine segnerà il ritorno ai valori fondamentali del capitalismo. Inclusi i valori etici. Sarà un mondo nel quale il conto patrimoniale conterà come il conto economico e non viceversa. Un mondo nel quale si guarderà al conto economico in ragione d’anno e di più anni, non in ragione di trimestri e di stock options. È un mondo nel quale non avranno più spazio i bancari-statalisti degli ultimi anni».
Veltroni ha la questione settentrionale. Il Pd ha recuperato terreno, per lei? «La mia impressione è che nelle sue peregrinazioni al Nord Veltroni abbia attivato e galvanizzato solo gli elettori già suoi. Se pensi di prendere i voti del Nordest con Calearo hai un’idea buffa del Nordest, per non dire grottesca. La verifica si farà il giorno dopo le elezioni. Ma le iniziative del Pd per la ripresa di consensi in Nord e Nordest sono state improvvisate e contraddittorie. Il radicamento in quell’Italia non lo reinvesti a tavolino, dopo anni».
La Lega è in crescita nei sondaggi. Chi si aspettava che con Bossi acciaccato sparisse, deve rivedere i suoi conti. «Non ho mai conosciuto un esperto vero di Lega. Bisogna conoscerli sul serio, capire che cosa hanno fatto per anni. Quasi nessuno l’ha fatto».
Il caso Malpensa-Alitalia vi aiuta, nel Nord. O no? «Nel 2005, io ero appena tornato all’Economia, il Tesoro contrattò con Bruxelles l’ultimo grande aumento di capitale di Alitalia. Un aumento fatto sul mercato e con criteri di mercato, per quasi un miliardo di euro. Quel che ti facevano capire gli investitori è che siccome dopo pochi mesi avrebbe vinto la sinistra, l’aumento di capitale sarebbe andato a buon fine arrivando Prodi al timone, perché lui sì che sapeva governare e trattare con il sindacato. Dopo due anni osservo che il capitale di Alitalia è stato azzerato, e il piano industriale è stato cestinato. Noi eravamo dati come perdenti. Ma il vincitore ha manovrato malamente e opacamente, avvalorando la tesi che Prodi non fosse al secondo incarico di governo. Ma al terzo mandato di presidente dell’Iri».