Giulio Tremonti



Rassegna Stampa

- Il Messaggero

Walter sia conseguente, mandi a casa il Prof

La "Teoria del patimento" sembra fatta apposta per descrivere Prodi, la maggioranza e il governo. Intervista di Claudio Rizza.

Giulio Tremonti recita versi, ispirandosi a Gimbattista Marino, poeta barocco della fine del ‘500. Ma se potessimo paragonarlo ad un genere, lo incaselleremmo nel Pessimismo Cosmico di leopardiana natura. La “Teoria del patimento” sembra fatta apposta per descrivere Prodi, la maggioranza e il governo, al quale Tremonti, manco a dirlo, augura una fine rapida. L’ultima sortita di Veltroni la giudica di fatto inutile, come la stessa legge elettorale: a nulla servirà andare da soli, sperando nel 40% come fa il Pd: il centrodestra sarà comunque più forte, più coeso, più vincente. Il dialogo con Berlusconi? Un laconico “fa bene” è il massimo dell’incoraggiamento al leader del Pd. E il referendum si materializza sempre più.

Onorevole Tremonti, che effetto le fa l’uscita di Veltroni?

È del poeta il fin la meraviglia/ parlo dell’eccellente non del goffo/ chi non sa far stupir vada alla striglia.

Chi è il poeta?

È la 33° fischiata di Marino, un frammento del manifesto della poetica barocca. Un tipo di poesia, quella barocca, affatto particolare: insolita e stupefacente, peregrina o meravigliosa, piena di acutezze, in una parola artificiosa.

È questo il suo giudizio?

Vedremo dopo cosa ha da intendersi nella tradizione politica italiana, e per la verità nella sua parte dominante, per barocco.

Passiamo alla prosa. Cosa intende?

La prima reazione: è solo una svolta tattica? O è una coraggiosa linea strategica? In italiano: è una furbata o una pensata? È espediente scenico, un pezzo da Truman Show o una riflessione politica seria.

Dica.

Veltroni ha dimostrato spesso di essere coraggioso. Assumiamo dunque per ipotesi di lavoro che sia una riflessione seria, sofferta, profonda. L’ultima linea consuntiva del bilancio sulle esperienza di governo fatte a sinistra. Per portare questa ipotesi dal virtuale al reale, c’è solo un test alternativo. Delle due l’una: se la riflessione è davvero profonda e convinta non c’è ragione per proseguire l’esperienza del governo Prodi. Il governo delle diversità a sinistra, che su queste diversità si fonda (si fa per dire). Se la via giusta è quella nuova dell’identità determinisa e governista del Partito democratico non c’è ragione per annunciarla nel 2008 e per metterla in campo nel 2011. Se è nell’interesse del Paese governare per identità politiche forti, non si vede come nel frattempo si possa tirare avanti governando per diversità distruttive. Poi c’è un corollario.

Quale?

La stessa esperienza identitaria dovrebbe essere fatta subito anche nel Comune di Roma. Infine una cartina di tornasole: la reazione da parte dell’altra sinistra antagonista e non governista. Accetterà di trasformare la sua esperienza di governa in una a termine? Delle due l’una: se l’ipotesi di Veltroni è solo barocca, nel senso poetico di Marino, allora non cambia niente; o può essere l’opposto, e allora cambia tutto, si apre e da subito una nuova e intensa fase politica.

Come cambia?

L’ipotesi di Veltroni ha poco senso se proiettata sul 2011, ma ha molto senso se mirata ad organizzare e traguardare elezioni politiche anticipate. Ma prima bisogna fare un discorso serio, un discorso sul potere.

Cioè?

Per mezzo secolo in Europa i sistemi politici sono sati mirati a limitare il potere dei governi. Ora è l’opposto, il problema non è ridurre ma aumentare il potere dei governi. I popoli domandano sempre più, i governi rispondono sempre meno. La globalizzazione impone trasformazioni straordinarie, i governi ordinari hanno difficoltà crescenti a farle.

E dunque?

Nel blocco continentale europeo – l’Inghilterra e la Spagna per ora sono casi a sé – è in essere una fortissima tendenza alla concentrazione del potere, in orizzontale o in verticale.

Qual è quella orizzontale?

La grande coalizione. Ne ho scritto dal 2004 e dal 2005 si è estesa a Germania, Austria, Lussemburgo, Olanda e probabilmente al Belgio.

Quella verticale?

È l’esperimento in atto in Francia. Una grande vittoria elettorale e la forza presidenziale sono considerate necessarie ma non ancora sufficienti: per questo la destra fa l’overture a sinistra, acquisendone pezzi. Perchè un conto è vincere le elezioni un conto è vincer il governo.

E in Italia come siamo messi?

Da noi non c’è stata la concentrazione orizzontale, nonostante l’overture di Berlusconi. Ma neanche quella verticale: con il governo Prodi stiamo vivendo l’esperienza opposta, quella della dissoluzione del potere.

Per questo Veltroni punta sulla legge elettorale.

La legge elettorale non è la bacchetta magica. La crisi del governo della sinistra non è causata da una cattiva legge elettorale, né è vero che una buona legge elettorale risolverebbe da sola tutti i problemi.

Forse Veltroni punta al 40% per avere col referendum il premio che lo porta al 55%.

Non credo che il Pd sia al 40% in base ai dati disponibili va verso il 25-26%. Supponendo che vada al 40%, non andrebbe comunque da nessuna parte. La realtà la fa la realtà.

A destra avete gli stessi difetti, o no?

Dalla nostra parte ci sono insieme la forza dei numeri e una grande coesione di base. A sinistra i numeri sono molto più piccoli e la proposta di Veltroni lo codifica. Le nostre divisione non sono alla base ma al vertice, e non sono di merito ma di metodo. E perciò facilmente superabili.

Veltroni insiste nella necessità di confronto con Berlusconi.

Fa bene.