Giulio Tremonti



Rassegna Stampa

- Secolo d'Italia

Tacete economisti, avete sbagliato tutte le previsioni

Nessuno ha previsto dove poteva arrivare la crisi finanziaria scoppiata l'estate scorsa negli Usa. I problemi strutturali richiedono risposte non tecniche ma politiche. Intervista di Aldo Di Lello.

A rimanere spiazzati sono stati innanzi tutto i neo-liberisti di sinistra. Il libro di Giulio Tremonti La paura e la speranza (Mondadori ed. pp. 111) li ha costretti a rivedere un po’ il loro entusiastico accoglimento delle idee globaliste. Forse devono aggiornare le loro analisi sulle dinamiche storiche del nostro tempo. Fanno pensare a quella famosa scena di Hecce Bombo di Nanni Moretti, quando il gruppo di amici si accorge di aver confuso il senso del movimento del sole. Vanno al mare per ammirare il sorgere all’alba. E si accorgono che l’astro è invece spuntato alle loro spalle, dall’orizzonte della terra. C’è chi risponde rabbiosamente, come Linda Lanzillotta in un violento articolo pubblicato l’altro giorno da il Riformista. Ma ci sono anche i «tremontisti di sinistra», come lo stesso quotidiano, nuovamente diretto da Antonio Polito, titolava giorni fa. Infine c’è il solito Giavazzi...

Rimane però incontestabile quanto ha rilevato una settimana fa Angelo Panebanco sul Corriere della Sera. «Quella innescata da Giulio Tremonti su protezionismo e globalizzazione, con le reazioni polemiche che ha suscitato, è, almeno fino ad ora, l’unica discussione politico-culturale degna di questo nome della campagna elettorale». Rimane anche il fatto che solo un vero liberale può capire che il liberalismo non è un’ideologia ma un principio di buon senso. E che quindi, a criticare l’assolutezza del mercato, non si fa peccato. Ma vediamo cosa ne pensa lo stesso Tremonti.

Il suo libro ha suscitato un notevole dibattito e, a detta di molti, ha anche elevato il tono della campagna elettorale. Si è tratta di un effetto voluto? «Il mio libro non ha né uno scopo commerciale, perché diritti d’autore andranno in beneficienza, né uno scopo elettorale, dal momento che è stato scritto nell’autunno del 2007, quando nessuno poteva prevedere quello che poi è avvenuto. In ogni caso, non parla dell’Italia ma dell’Europa».

Rimane il fatto che i giornali di questi giorni sono pieni di interventi pro o contro le sue tesi. «L’uscita del volume ha incontrato due vettori di forza. Il primo è stato l’intensificarsi della crisi finanziaria ed economica internazionale. La globalizzazione sta presentando il conto in temrini di carovita, impennata del prezzo del petrolio e dell’oro, squilibri ambientali e tensioni geopolitiche. In questi giorni è stato presentato il rapporto dell’Ue che conferma questo quadro difficile».

L’altro vettore di forza? «Il fatto che sia entrato nel meccanismo elettorale».

Come risponde ai suoi critici, soprattutto di sinistra? «Dico che hanno messo in campo un meccanismo mentale tipicamente comunista. Questo meccanismo funziona così: invento una cosa e te la attribuisco. Poi la demonizzo e quindi ti demonizzo. Demonizzandoti, mi santifico. Debbo dire che lo stesso meccanismo ha contagiato anche altri. Anche altri che non sono mai stati comunisti lanciano false accuse».

E la cosa inventata è la tesi del protezionismo... «Infatti. Hanno guardato al mio libro dal buco della serratura. E mi hanno accusato perché non hanno argomenti propri. Il mio discorso è l’esatto opposto del protezionismo. Con questo termine si intende chi propugna l’uscita dal mercato o la sua riduzione. Invece il mio è un libro sul mercato e per il mercato. Il problema che mi sono posto è quello di riportare il mercato in condizioni di equilibrio. Si tratta solo di proteggere la produzione europea con strumenti temporanei per combattere la concorrenza sleale e asimmetrica. E questo è perfettamente compatibile con i princìpi del liberalismo.

E già. Così fanno gli Stati Uniti, che pure sono la patria della libertà economica. Basta seguire Barack Obama e Hillary Clinton nella campagna per la nomination dei democratici... «È quello che propongo: l’Europa faccia come l’America».

Insomma, molti “liberisti” di sinistra hanno fatto finta di non capire. «A questo proposito le vorrei citare un piccolo fatto divertente. Se lei va sul sito del ministero per il Commercio con l’Estero, vedrà che in questi giorni il ministro Bonino canta vittoria. E sa per cosa?»

Per cosa? «Per aver proposto e ottenuto dall’Ue l’introduzione dei dazi sui compressori».

Alla faccia della coerenza mercatista. «L’unico protezionismo accettabile è quello contro la stupidità e l’ipocrisia».

■ È stupefacente che degli ex comunisti si mettano a impartire lezioni di liberalismo. «La loro è un’idea artificiale di mercato. Se sei un vero liberale pensi che il mercato stesso debba avere delle regole. Se invece sei post-comunista e un mercatista, pensi al contrario che il mercato sia la regola di tutto».

Ma a cosa corrisponde esattamente questo termine, mercatismo, che lei ha lanciato nel dibattito? «È la nuova ideologia».

Sbaglia quindi chi ripete che le ideologie sono tramontate. «Si sbaglia. Il mercatismo è l’ideologia inventata per dominare il XXI secolo. Questa ideologia demonizza lo Stato e quasi tutto ciò che è pubblico. Ma oggi, con la crisi finanziaria globale, è costretta a contraddirsi».

■ In che senso contraddirsi? «Nel senso che accetta l’intervento della mano pubblica attraverso “iniezioni di liquidità” nel mercato finanziario, iniezioni operate sistematicamente, illimitatamente e permanentemente dalle Banche centrali. Cioè banche pubbliche».

Qualche zelante iperliberista (o mercatista) ha scritto fondi per attaccare, non solo il suo libro, ma anche il programma del Pdl. «Nel nostro programma c’è solo una riga dedicata alla riduzione delle regole da parte dell’Ue e alla necessità della protezione europea per la produzione italiana. Il tutto nel rispetto dei princìpi del Wto. Le polemiche intorno al mio libro hanno in questo senso dimostrato due problemi culturali fondamentali. Uno è l’ossificazione dell’establishment intellettuale italiano e l’altro è la bancarotta degli economisti. Non ce n’è uno che abbia capito in tempo la dinamica della crisi in atto. Mi viene in mente di parafrasare il grido che lanciò Carl Schmitt  nel tempo della sua prigionia: “Silete jureconsulti”».

Tacete giuristi. Ora questo invito va esteso agli economisti? “Silete economisti”? «Esattamente. Nessuno ha previsto dove poteva arrivare la crisi. Il nostro supertecnico dell’economia ha detto quest’estate, mentre esplodeva la bolla immobiliare e andavano in crisi gli hedge funds, ha detto che non si trattava altro che ti un “turbamento finanziario”».

Veniamo allora più dettagliatamente al suo libro: qual è la paura, qual è la speranza? «La paura è che la globalizzazione continui invariata la sua corsa. In questo caso l’Europa rischia di rimanere spiazzata. L’Europa, culla della storia, corre il pericolo di rimanere fuori dalla storia. Tra i nostri grandi limiti c’è innanzi tutto il declino demografico. Siamo meno e più vecchi».

In che modo? «Passando dai valori secondi (l’economia) ai valori primi (l’etica, la cultura, il dominio spirituale). All’Europa servono un demos e un ethos. È, se vuole, lo stesso problema delle radici giudaico-cristiane, che finora è stato trattato in modo fuorviante».

Perché fuorviante? «Perché si è ritenuto che lo scontro fosse tra Parigi, sede dei Lumi, e Roma, sede della spiritualità e della storia. Il vero scontro in realtà è fra Londra e Roma».

Londra? «Sì, Londra. Perché rappresenta l’Europa come semplice area di libero scambio. È un’idea mercantile del Continente. Nella visione giudaico-cristiana domina viceversa l’idea politica dell’Europa».

Traducendo questa visione in una concreta proposta politica? «Innanzi tutto c’è la necessità di dare una competenza legislativa al Parlamento europeo, che ora ha una competenza meramente consultiva. Bisogna trasformarlo in un vero e proprio parlamento».

Nel volume, tra le varie indicazioni, si parla anche dell’emissione di Eurobond. «Possiamo incassare il dividendo di Maastricht capitalizzando e sfruttando la straordinaria forza patrimoniale e la fiducia raccolta ed espressa dall’euro sui mercati finanziari. Ai limiti imposti sulle politiche di bilancio nazionali dal Trattato di unione monetaria può e deve corrispondere un piano europeo di investimenti pubblici e privati in settori strategici. Tali investimenti verrebbero appunto finanziati con gli Euro-bond. Gli Stati Uniti d’America partirono dal debito pubblico di Hamilton».

C’è un’emergenza europea, ma c’è anche una crisi globale  che viene dagli Usa. «Ad essere entrata in crisi è la struttura della globalizzazione di questi anni. In primo luogo la divisione del mondo tra Asia produttrice di merci a basso costo e l’america consumatrice a debito. L’effetto ricchezza per gli americani è avvenuto attraverso i valori immobiliari “dopati”».

E questo meccanismo è saltato... «I vecchi strumenti non funzionano più, a cominciare dalle continue immissioni di liquidità. È il meccanismo delle continue trasfusioni di sangue. È come stare sempre al pronto soccorso».

Occorre quindi aggredire i nodi strutturali. «Occorre contrapporre all’attuale disordine commerciale globale un nuovo ordine».

Serve una nuova Bretton Woods? «È così. Il nuovo grande accordo dovrebbe essere esteso dai cambi valutari alla difesa dell’ambiente, dalle clausole sociali e ambientali al ruolo di controllo sui mercati finanziari e di impulso all’economia che, in modo sempre più forte, i governi, singolarmente o insieme, possono e devono svolgere».

In conclusione, professor Tremonti, mi sembra di capire che lei non ha voluto scrivere un “semplice” libro di economia. E prendono un granchio coloro che pretendono di leggerlo solo in chiave italiana e solo obbedendo alla preoccupazioni della campagna elettorale. «Se la crisi è globale la risposta non può essere locale».

Che accade se la crisi ecnomica è anche strutturale? «Che la risposta deve essere politica».