Giulio Tremonti



Rassegna Stampa

- Corriere della Sera

Se ne esce solo con il ritorno al pubblico

Servono nuove regole, politiche keynesiane e una morale del lavoro. Intervista di Aldo Cazzullo.

ROMA  - «Non è la fine del mondo, ma la fine di un mondo. Un mondo drogato, truccato, tarato dalla folle vertigine della finanza. Nella storia, ogni volta che si scopre un nuovo mondo, viene fuori una crisi finanziaria. La scoperta geografica dell' America generò crisi finanziarie a catena; la più famosa, il fallimento di John Law, mandò in bancarotta la Francia, costituendo un presupposto della Rivoluzione. Certo, la storia non si ripete mai per identità perfette: nell' Antico Regime fu la scoperta geografica dell' America a scatenare la follia finanziaria; ora è stata la follia finanziaria a determinare la scoperta economica dell' Asia. Tutto si riporta dunque ai tempi e ai metodi della globalizzazione; che è stata fatta di colpo solo perché è stata fatta a debito». Ministro Tremonti, nel novembre del 2007 lei parlò con il Corriere di «rischio ' 29» per l' America. Cos' è accaduto, e cosa crede che accadrà? «È una storia che si sviluppa per cicli brevi: tre volte cinque. Tanti sono gli anni che passano dall' 89, quando cade il Muro, al ' 94, quando con il Wto viene stabilito il nuovo ordine politico-mercantile del mondo. Poi viene il 2001». L' 11 settembre? «No. Il cerchio si chiude l' 11 dicembre, quando l' Asia entra nel Wto. Dopo, il mondo non sarebbe più stato lo stesso. Parallelamente, sempre in quell' autunno, negli Usa l' erogazione dei mutui ipotecari viene spinta al massimo. È così che, con geometrica perfezione, viene dato il colpo di manovella alla globalizzazione. La formula basica è: l' Asia produttrice di merci a basso costo; l' America compratrice a debito. Subprime, vehicle, conduit, asset-backed commercial papers, collateralized debt obligations, derivatives, monolines, hedge funds: tutti punti inscritti in un unico cerchio magico. Che ora si è spezzato. Finisce l' illusione che il profitto possa essere tratto da titoli di debito di cui non si conosce l' origine e da titoli di proprietà che non esistono in concreto, come nella realtà virtuale di un videogame». Queste cose le abbiamo lette in La paura e la speranza. Ma com' è possibile che l' illusione sia durata tanto? «La paura e la speranza viene dopo Rischi fatali, che viene dopo Il fantasma della povertà. È dal ' 95 che vedo nella globalizzazione le cause e gli effetti della crisi in atto. Non è il tempo per fare un processo politico ai politici che hanno portato alla crisi, né un processo tecnico ai tecnici. La maestria si è rivelata follia. Alan Greenspan era considerato un maestro. Ora c' è da chiedersi se dopo Bin Laden non sia l' uomo che abbia fatto più male all' America». Bin Laden? «Comunque, nel tempo presente è più utile capire cosa è successo e cosa sta succedendo. È evidente che quello che si sta manifestando è un "male". Non è il fallimento di una banca, ma il fallimento di un sistema. Fino a pochi giorni fa, davvero in pochi erano disposti a prendere atto dell' intensità e della drammaticità della crisi. Se neghi l' esistenza del male, non trovi la cura. Alle radici del male c' è la dissociazione tra finanza e regole: la globalizzazione ha internazionalizzato la finanza, la finanza ha finanziato la globalizzazione. La finanza si è progressivamente staccata dalla giurisdizione nazionale d' origine. Le regole restavano locali mentre la finanza diventava internazionale, trasferendosi in un suo proprio regno fatto di anarchia e anomia». Colpa della mancanza di regole e di controllori? «È nell' aprirsi di questo buco che si manifesta il fallimento dei meccanismi di sorveglianza e di vigilanza. Alla vertigine finanziaria corrisponde l' apatia dei regolatori. All' egoismo vorace degli speculatori la non complice ma stupida ignavia dei regolatori. Nel 2004, "invitato" a Washington per illustrare con il caso Parmalat la nuova legge italiana sul risparmio, feci notare che Parmalat era stato un caso negativo ma comunque folkloristico e domestico, e che invece il loro sistema aveva, pur se sofisticata, la forma di una global Parmalat. Ebbi l' impressione che questa mia nota fosse considerata una stravaganza. Adesso il sistema sta crollando esattamente come sono crollate le piramidi albanesi. Nessuno se l' aspettava, ma la meccanica di crisi era implicita nel sistema stesso. Le finanziarie venivano costruite con meccanismi contrattuali basati sulle clausole cosiddette di default; all' enormità del rischio corrispondeva come meccanismo assicurativo la pervasiva generalità di queste clausole. È sufficiente il default dentro una piramide, anche su di un' operazione piccola per un piccolo importo, per scatenare via computer la meccanica esponenziale dei default. Come la nuova ricchezza finanziaria è stata "prodotta" con i computer, così si manifesta via computer la sua distruzione». Quale dev' essere la risposta secondo lei? «Se il male è stato l' assenza di regole, la cura può essere solo nella costruzione di regole. La sostanza del male è stata nei tempi e nel metodo della globalizzazione, fatta troppo di colpo e tutta a debito. Abbiamo le regole che non ci servono, ad esempio le regole suicide che costringono a scrivere i bilanci in modo che la crisi si moltiplica con la crisi stessa. Non abbiamo le regole che ci servono. Regole che vietino i contratti speculativi, i paradisi legali, gli strumenti atipici, i bilanci opachi. La crisi si supera ristabilendo la fiducia, e la fiducia può essere ristabilita solo su nuove regole». Il governatore Draghi se ne sta occupando nell' ambito del Financial Stability Forum, ma lei in passato è parso scettico. «Da che mondo è mondo, dal Monte Sinai in poi, le regole non salgono dal basso verso l' alto, ma scendono dall' alto verso il basso. Le regole non le fanno i regolatori; le fanno i governi. Ai regolatori puoi fare un' audizione; non puoi dare una delega. Alla base di una regola non basta un dispositivo; serve una sanzione. E la sanzione la può applicare solo la mano pubblica. Quando nel gennaio dell' anno prossimo inizierà il G-8 italiano, la nostra proposta non sarà solo quella di una nuova Bretton Woods, l' accordo del 1944 dei governi del mondo libero, ma anche la specifica elencazione di un catalogo di regole mirate a costruire un nuovo e più rigoroso e morale ambiente giuridico». È soltanto una questione di regole? «No. In Europa, come abbiamo visto nell' ultimo vertice Nizza, si sta accreditando l' idea che dalla crisi si esce soprattutto con grandi investimenti pubblici, o comunque con politiche basate sul disegno pubblico di grandi opere. Politiche keynesiane. Il ritorno alle regole accompagna il ritorno del pubblico. Sotto il dominio della morale, sarà il ritorno della manifattura. Il ritorno della morale del lavoro; e c' è più morale del lavoro in un prodotto industriale che in un prodotto finanziario. La finanza come mezzo e non come fine. L' idea che la ricchezza non si produce a mezzo debito; la ricchezza si produce a mezzo lavoro». È questa l' ideologia del governo? «Questo è un governo che non ha ideologie. Non è liberista, non è statalista. È un governo che ha una visione della realtà. Nessuna delle ideologie del Novecento funziona: non il comunismo e il fascismo, bruciati nelle loro tragedie; non il socialismo, generosamente e paradossalmente fallito nell' essere insufficiente per eccesso. Ma non avere grandi ideologie non ci impedisce di avversare le ultime ideologie marginali del Novecento: il nullismo del ' 68 e il mercatismo della globalizzazione». Questo sarebbero i «fannulloni» di Brunetta e il maestro unico della Gelmini? «Quella è una parte, non il tutto. Certo: maestro unico, libro unico, voto unico sono parte di un progetto che io sento e vivo e sintetizzo con Dio, patria e famiglia». Sull' Italia lei si dice ottimista. «Cerco di essere realista, non ottimista e non pessimista. La storia insegna che le crisi finiscono. La crisi finirà, e l' Italia ne uscirà più forte di prima e più forte di altri Paesi che si dicevano in pista per sorpassarci». Come fa a dirlo? «Perché l' industria italiana è manifatturiera e si è ristrutturata dopo l' euro. Perché il nostro sistema bancario è comunque più solido di altri: le nostre banche hanno sportelli e filiali; sono banche, non grattacieli presi in affitto. Le assicurazioni sono più o meno come le banche. Le pensioni italiane sono pubbliche: i pensionati italiani non mangeranno il Kitekat nelle roulotte perché Wall Street è andata male». E in America la paura chi premierà? «Non è facile fare previsioni. I candidati sono tutti e due persone straordinarie. Obama ha un programma più sociale, però McCain è un comandante in capo; e la paura può spingere verso la figura del comandante in capo». E Sarah Palin? «Viene dall' America profonda e parla all' America profonda, non all' élite sofisticata delle due coste. Che la tratta più o meno come fosse una leghista».