Giulio Tremonti



Rassegna Stampa

- Panorama

Sarò il mastino antispeculatori

Il ministro dell'Economia all'attacco degli affaristi senza scrupoli che "con le materie prime vogliono rifarsi delle perdite stellari subite con la crisi delle borse". La ricetta, in tre punti, prevede anche che l'Europa inviti i governi a dire ai cittadini di ridurre il proprio tenore di vita.

Giulio Tremonti divide (et impera). Mentre l’Italia fa ancora i girotondi, l’Europa discute sull’analisi impietosa del ministro dell’Economia su globalizzazione e mercato. Un’analisi che ha lasciato il segno sull’agenda politica di Bruxelles. Il quotidiano tedesco Handelsblatt qualche giorno fa lo descriveva come il “mastino” antispeculatori, trofeo ambito in un paese che ha lanciato la metafora biblica delle “locuste” del capitalismo finanziario.

Ministro Tremonti, anche Benedetto XVI ha puntato l’indice contro gli speculatori. Che succede?

Si legga la Genesi. Tutte le cose impostanti hanno inizio da una parola. La parola speculazione, che ha un altissimo valore semantico, politico e soprattutto etico. È una parola che è stata usata poco negli anni e sarà usata moltissimo nei prossimi. La speculazione è la peste del Ventunesimo secolo.

Molti giustificano quello che sta accadendo sui mercati come qualcosa di ineluttabile.

Siamo di fronte a un male necessario del capitalismo che diventa un male e basta e distrugge il capitalismo stesso, quando da eccezione diventa regola, quando passa dal marginale al fondamentale. In questo momento nei mercati ci sono più contratti speculativi che barili di petrolio.

Non è un fenomeno nuovo, nella storia c’è anche la speculazione sui tulipani...

La speculazione c’è sempre stata, non solo nel campo finanziario, ma anche in quello delle materie prime, le cosiddette “commodity” (petrolio, grano, metalli... ndr). Da secoli fa parte dei mercati. Da Venezia ai clipper, alla navigazione a lunga distanza, quando si speculava sul valore delle merci “in arrivo”.

E allora dov’è il problema?

Un adagio inglese dice che per muovere i solidi ci vogliono i liquidi. L’errore sta nel fattoche non i liquidi a muovere i solidi, ma i liquidi a sostituire, in una dimensione illusoria, virtuale e immaginifica, i solidi stessi. È il caso degenerativo in cui una parte diventa il tutto e si moltiplica in modo esponenziale.

Si sta gonfiando la terza bolla?

Dirò una cosa che tutti, o quasi, sanno, ma nessuno dice: è sempre la stessa bolla. Quella della new economy si è trasformata nella bolla della subprime economy e ora nella bolla speculativa su petrolio e sul cibo.

La borse è speculazione. Non dovrebbe forse basarsi su questo?

Finché la speculazione è finanziaria (finanza su finanza) l’impatto è contenuto in un comparto chiuso. Ma questa volta la speculazione ha scelto il campo d’azione sbagliato.

Perché?

Le materie prime sono un campo di elevata pericolosità sociale. Si capisce la “ragione” degli speculatori: tentanto di rifarsi delle perdite stellari subite con la crisi del comparto finanziario.

I futurologi hanno disegnato uno scenario chiamato “skyrocket”, con il prezzo del petrolio alle stelle ed effetti sociali devastanti. Cosa accade?

Alla base di tutto ci sono i fondamentali, la domanda di energia e di cibo che viene dall’Asia. E non sono certo io a ignorare questo fenomeno. Nel mio libro La paura e la speranza segnalo che nel 1990 la domanda di energia dei paesi asiatici era al 18 per cento del globale, nel 2030 balzerà a 36, di cui il 22 per cento della sola Cina, che insieme all’India raddoppierà il suo fabbisogno di energia. Nel 2050 il prodotto interno lordo della Cina sarà di 48 trilioni di dollari, maggiore di quello degli Stati Uniti (37 trilioni di dollari) e doppio rispetto a quello europeo (18 trilioni di dollari).

Fin qui siamo nel meccanismo della domanda e dell’offerta. Ma i conti per alcuni sembrano non tornare.

Siamo nella logica della “long durée”. Ma su questo processo di lunga durata si inserisce un fenomeno nuovo ed esterno: la curva dei prezzi s’impenna improvvisamente per intensità; dimensione e velocità non trovano spiegazione nei fondamentali.

Le bolle speculative stanno scoppiando in maniera ravvicinata. È un caso?

È giusto porsi la domanda sul meccanismo causale di questo fenomeno. Si può dare una risposta medioevale: “post hoc ergo propter hoc” (dopo di questo, quindi per questo). Oppure si può dare una risposta più moderna e razionale, alla Isaac Newton: causa-effetto. In ogni caso l’impennata dei prezzi è troppo a ridosso della crisi finanziaria per escludere a priori che ci sia un legame fra le perdite accumulate sul mercato finanziario e il tentativo di rifarsi speculando sul mercato delle commodity.

Qual è la differenza?

Speculare sulla finanza ha impatto sociale ed economico relativamente minore e meno drammatico della speculazione sull’energia e sul cibo. Gli effetti di questo tipo di speculazione sono drammatici perché non erodono solo le basi dello sviluppo industriale, ma anche le strutture sociali, sulle quali hanno impatto regressivo. Nei paesi poveri causano le rivolte del pane, nei paesi meno poveri erodono le basi del welfare state, impoveriscono insieme i bilanci delle famiglie e i bilanci degli stati. Così cresce la domanda di giustizia e decresce la possibilità di risposta.

I recenti scandali finanziari, per esempio il caso Parmalat, hanno visto le banche scaricare sui risparmiatori le perdite. Sarà di nuovo così?

Un ulteriore rischio collaterale è che il meccanismo inserisca nuovi prodotti speculativi sulle commodity nel portafoglio dei risparmiatori. Così la terza bolla finirà per esplodere non solo nella vita dei cittadini (con il caroprezzi), non solo sui bilanci degli stati (con insostenibili spese per maggiori interessi sul debito pubblico), ma anche direttamente nel risparmio delle famiglie.

Si dice che il tema reale dell’Ecofin sia stato il seguente: l’Europa sta suggerendo ai governi di preparare le popolazioni all’ipotesi sempre più realistica di una riduzione del tenore di vita. È vero?

I governi europei stanno responsabilmente valutando questa indicazione. Certamente una soluzione si trova nella produzione e nel risparmio di energia, ma è una formula che presuppone tempi medio-lunghi. Nel durante e nel breve periodo servono anche risposte politiche.

Quali?

Per esempio l’incremento della tassazione sugli ex-profitti di regime che è nei programmi di molti governi europei e non solo europei. Dalla sovraimposizione petrolifera decisa in Egitto ai programmi politici dei democratici americani.

Qual è il ruolo di Palazzo Chi in questo dibattito?

Il contributo del governo italiano anche nel senso di aver aperto la questione della speculazione.

A questo punto si impone la domanda di Lenin: che fare?

Problemi nuovi non si risolvono con soluzioni vecchie. A problemi nuovi devono corrispondere soluzioni nuove.

Facciamo un elenco?

La prima ipotesi che abbiamo fatto (e non è nazionale ma generale) è incrementare i margini di deposito obbligatori sui contratti speculativi delle commodity. Ci hanno detto che la soluzione è tecnicamente sbalgiata. E invece basta andare su Google: vanno in questo senso due proposte di legge presante al Senato e al Congresso Usa. E ancora, su Google: la testimonianza resa al comitato della Homeland security del Senato Usa il 20 maggio scorso cita Michael W. Masters, investitore istituzionale della Masters Capital Management.

Andiamo avanti: altre soluzioni?

Quella avanzata il 7 luglio scorso, durante il vertice dell’Eurogruppo: applicare gli articoli 81 e 82 del trattato di Roma in materia antitrust. Ci hanno detto che non era tecnicamente realizzabile perché la speculazione non sarebbe Europa su Europa, ma dall’esterno sull’Europa e dunque fuori dal campo di applicazione del trattato. Peccato che tutta la prassi e la giurisprudenza antitrust siano state costruite negli scorsi decenni in base alla teoria degli effetti: se c’è un effetto distorsivo sul mercato, può essere contrastato anche se prodotto da soggeti esterni all’Europa.

Allude al caso Microsoft?

Ce ne sono decine.

Sembra una missione impossibile.

Ci è stato anche detto che è necessaria la prova della collusione speculativa. Peccato che il trattato di Roma parla anche di cartelli e di monopoli. Messa in questi termini, la questione non è solo sulla speculazione in senso stretto, diventa un problema di assetto complessivo del mercato.

È uno scenario in cui l’Europa è una fortezza chiusa ma espugnabile?

L’Europa applica le sue regole e costruisce al suo interno il mercato perfetto. Peccato che dall’esterno sull’Unione agiscano con forza crescente soggetti che non hanno caratteristiche di mercato.

Quali?

Si va dai fondi sovrani ai monopoli e dai duopoli ai cartelli.

Parafrasando il suo libro: per l’Europa c’è più paura che speranza?

Il futuro dell’Europa si gioca su una grande questione politica: se deve essere passiva o attiva. Se deve accettare o, essendo la più grande potenza economica del mondo, se debba reagire pur nel rispetto delle regole fondamentali.

Il presidente della Banca centrale europea, Jean-Claude Trichet, ha detto che è ora di imporre uno stop ai cartelli che alzano il prezzo del petrolio. Trichet è benvenuto a bordo?

In Europa non esiste il decreto legge. Il processo politico è lento e complesso. Include fasi di iniziativa e discussione, ma alla fine ha sempre dimostrato di sapersi sviluppare in termini costruttivi e positivi. “Le lac s’est dégelé”, il lago s’è disgelato.