La crisi è reale ma l'Italia può uscirne più forte
Riforme condivise nell'interesse del Paese, fondamentale il federalismo. Intervista di Carlo Fusi.
Il meno che si può dire è che nel Palazzo quella definizione secca ritagliata per Fini e D'Alema: «due statisti», ha fatto colpo. Giudizio peraltro espresso in un intervento fatto alla Camera per illustrare la manovra economica che Montecitorio voterà la prossima settimana. E'
stato un discorso durato un'ora, ascoltato in silenzio e con rispetto dall'aula, e alla fine del quale in molti si sono congratulati con lui. Anche dai banchi di sinistra. Magari un altro al posto suo potrebbe mettere punto qui e rimuginare con qualche soddisfazione su quei refoli bipartisan. Tremonti no, non è così. Chi lo conosce sa che non è il facile applauso ciò ricerca: meglio, molto meglio la ruvidezza delle cose concrete, che fanno sostanza e, nel suo caso, azione di governo.
«Quel giudizio - spiega - altro non è che una verità. Una verità che si verificherà a partire da settembre, nella stagione e nella strategia delle rifanne che si aprirà dopo l'estate. Fini e D'Alema hanno capito lo spirito del tempo che stiamo vivendo, hanno compreso l'urgenza, la necessità reale, non retorica,
delle riforme».
Già ministro, ma in quel discorso non ha citato il suo amico Umberto Bossi. Non lo considera uno statista?
«Non ne ho parlato perché era presupposto. In ogni caso non mi avrebbe capito, anzi mi avrebbe rimbrottato se lo avessi definito come uno statista. Bossi è qualcosa di diverso, è un politico: è l'essenza della politica. E' un rivoluzionario saggio. Nell'Ottocento tipi così si descrivevano sui libri come uomini "con il fuoco nel cervello". Adesso ha in più la saggezza nel cuore, e cambierà in meglio il nostro Paese».
Però anche Berlusconi è assente dalla sua short list. Neanche lui è uno statista?
«Berlusconi è diverso da tutto e da tutti. E' di più, è sopra, è oltre. E' una figura politica, oltre che umana, straordinaria. Non solo in Italia; anche all'estero. E credo di sapere quello che dico. E' una persona di cui si sa già, mentre è ancora qui tra noi, che entrerà nei libri di storia. E' stato ed è un'avanguardia della politica. Finito il Novecento, cadute le ideologie con i loro apparati, Berlusconi incarna una delle forme nuove e possibili della democrazia. Assai di più e meglio della tecnocrazia, ovvero dell'anti-politica, della tecnocrazia come si è presentata al principio di questo secolo, cioè variante o replica post-moderna dei ceti nobiliari e proprietari dell'Ottocento e del loro voto censitario. Berlusconi ha rotto e rompe questi schemi presentandosi come la figura eroica ed eponima del leader popolare, post-ideologico. Con un suo proprio fortissimo apparato di valori individuali e libertari, tradotti nella fortissima capacità di organizzare una macchina politica e di applicarla: il caso dei rifiuti a Napoli ed il suo straordinario successo parlano da soli. La "cifra" dominante di Berlusconi è nel suo rapporto diretto diretto perché non mediato dall'ideologia - ma comunque democratico con le masse popolari. Le masse non sono in rapporto passivo con Berlusconi nel senso che lo subiscono: al contrario sono in rapporto attivo con lui perchè lo votano. E non per magia mediatica. Non è che Berlusconi ha i media. Meglio: non è tanto rilevante che egli abbia una parte dei media. Sono tutti i media che magneticamente vanno da Berlusconi per diritto o per storto, per giudizio o per pregiudizio. E l'effetto finale è quello di un voto popolare che non solo si ripete da 14 anni ma che si manifesta con forza via via crescente».
Giudizio, diciamo così, alquanto impegnativo. Vorrei sapere come la mette con Veltroni che dice che il berlusconismo è mito...
«Di Veltroni apprezzo più la generosità delle passioni, che comunque è un valore politico, che la profondità delle analisi. Comunque non condivido questa sua valutazione sulla fenomenologia politica di Silvio Berlusconi. Credo di più a quella che ho illustrato poc'anzi».
Va bene. Ma com'è che allora sui giornali si insinua di una sua crescente distanza con Berluscoui e perfino con Gianni Letta?
«Conosco Silvio Berlusconi e Gianni Letta più o meno dal principio degli anni '80. E da pari data loro conoscono me. Il rapporto politico e soprattutto - ed è l'elemento che conta di più - quello personale, non è più debole ma più forte di prima».
Lasciamo stare la maggioranza, ministro. Parliamo della sinistra. In una recente intervista, D'Alema, tra le altre cose, accenna ad una crisi della sinistra. Condivide?
«Condivido. Per mio conto una analisi critica sulla traiettoria della sinistra post-moderna l'ho fatta nel mio libro "La paura e la speranza". Non è solo un libro sulla globalizzazione: dentro c'è anche una parte dedicata ai meccanismi ideologici e politici. In estrema sintesi è proprio usando il linguaggio ideologico del laburismo, c'è scritto che l'errore ultimo - non l'ultimo degli errori - della sinistra sia stato pensare che la sua funzione non fosse più nel support people ma nel support business. Per questa via, l'errore è stato nell'indebolire lo Stato rispetto al mercato con il risultato di non supportare più né il people nè il business».
Però per D'Alema esiste anche una crisi della destra...
«Francamente la vedo più come una eventualità che come una realtà. Ma credo che fuori dalla dialettica della doppia crisi, il senso e il valore di quello che ha detto D'Alema stia nella prospettiva di crisi generale; e nel generale, di crisi particolare dell'Italia che egli analizza con lucidità. Nel 1995 ho scritto "Il Fantasma e la povertà". Era appena partita la globalizzazione con l'accordo sul commercio mondiale sottoscritto nell'aprile del '94 a Marrakesh in Marocco, e nel libro c'era una "profezia": l'Occidente esporterà capitali in Asia alla ricerca dimano d'opera a basso costo. Esporterà capitali ma importerà povertà e i nostri lavoratori saranno stretti nella morsa tra salari parametrati su valori che scendono via via verso i livelli "orientali" e costo della vita che resta "occidentale". Quella profezia si sta avverando. Nell'ultimo sondaggio di Eurobarometro si legge che oltre il 60 per cento della popolazione europea ha paura della globalizzazione e sente arrivare la povertà. Il dramma è che la sentono arrivare anche i governi. Una volta si governava con il deficit pubblico; adesso anche i governi devono pagare il conto dei deficit passati e li devono ridurre. Vale per tutti ma soprattutto per l'Italia che negli anni ha accumulato il terzo debito pubblico del mondo senza essere la terza economia del mondo».
E in un quadro così pesante, quale deve essere la responsabilità della politica? E la sua, ministro?
«Per quanto mi riguarda, oggi la responsabilità prima della politica e del governo è concentrata sulla difesa del bilancio pubblico. E' anche per questo che abbiamo scelto di stabilizzarlo su tre anni e di chiuderlo prima dell'estate. Immagini cosa sarebbe stato restare per tutto l'autunno a "saldi aperti", con una manovra incompleta e aperta per tre mesi a tutte le sollecitazioni e pressioni. Ciò che abbiamo ben chiaro è che nelle crisi l'ultima istanza, la forza dominante da conservare a qualsiasi costo è quella del governo. Siamo in una fase storica in cui la forza della mano pubblica è destinata ad essere insieme prevalente e rassicurante. La fiducia e la sicurezza sulla forza dello Stato e sulla stabilità del bilancio pubblico marcano anche una svolta politica. E' sempre più chiaro che c'è più moralità in un macchinario prodotto dal duro lavoro fatto in un capannone piuttosto che in un derivato finanziario, C'è più moralità e forza generale nella serietà e stabilità dei conti pubblici che nella illusione finanziaria, nella demagogia, nel deficismo».
Già. Ma la sinistra non rinuncerà alle sue parole d'ordine: chiederà comunque al governo più soldi pubblici e buste paga più pesanti. Il suo è un no senza appello?
«Noi stiamo facendo tutto il possibile. Non ci sono teso retti. Crediamo nella saggezza profonda degli italiani, non crediamo perciò che compreranno "promesse usate". La sofferenza c'è, lo sappiamo e lo vediamo tutti. Ma non scenderebbe, anzi crescerebbe - e con essa l'ingiustizia - facendo più deficit».
Ministro, è noto che qualcuno le rimprovera accenti esageratamente pessimistici, tipo il riferimento al '29. Le chiedo: dove si ravvisa la forza del sistema Italia?
«Nella crisi generale, l'Italia rispetto agli altri Paesi ha elementi differenziali positivi di opportunità, di stabilità, di forza. Ed è bene cominciare a parlare anche di questi. Abbiamo un sistema bancario più forte e più stabile rispetto ad altri Stati: non è certo un caso se le due maggiori banche italiane sono salite in graduatoria fino ad essere tra le prime dieci del mondo. E' una cosa straordinaria. Comunque e soprattutto è nell'insieme che il nostro sistema bancario è più solido di altri sistemi. Il nostro sistema assicurativo è molto più solido di altri. Le famiglie italiane sono meno indebitate, per loro virtù storica, rispetto a quelle di altri Paesi».
Sì però tantissime sono in sofferenza per la crescita dei mutui: parte del risparmio svanisce lì...
«La mossa che abbiamo fatto sui mutui, con la rata fissataal 2006, prima della crisi, ha messo le famiglie al riparo dal continuo aumento del saggio di interesse. Non è stato un miracolo, ma un po' di ossigeno certo sì. E questo viene progressivamente ricnosciuto. Continuo nell'elenco dei punti di forza. Il sistema pensionistico italiano è comunque più affidabile di tanti altri: a differenza che in altri Paesi, il crollo delle Borse non ridurrà percontagio i livelli pensionistici. Poi c'è l'industria. Una sbagliata politica di privatizzazioni ha indebolito le nostre infrastrutture. Abbiamo fatto gli "spezzatini" in un Paese solo, mentre gli altri si consolidavano. Abbiamo fatto i "nocciolini" su cui si sono mossi i capitalisti senzà capitali ma con i debiti. Debiti fatti non per costruire cose nuove ma per comprare cose che c'erano già. E tuttavia la gran parte dell'industria italiana non è indebitata e si è ristrutturata; conserva le sue caratteristiche di dimensione ridotta ma si è mossa e si muove con forte vitalità».
Manca la politica. E' il nostro sistema politico l'anello debole della catena?
«No. Il sistema politico italiano si basa su di un governo percepito in Italia e all'estero comunque come forte e stabile. E la strategia delle rifanne condivise con l'opposizione potrà rafforzare non tanto il governo quanto soprattutto, e nell'interesse generale, il Paese».
Quando parla di riforme condivise con l'opposizione si riferisce al federalismo fiscale?
«Non solo. Macerto il federalismo fiscale è fondamentale. Ed è fondamentale che il capo dello Stato lo abbia definito "ineludibile"».