Giulio Tremonti



Rassegna Stampa

- Il Messaggero

Il mercato non basta, ora tocca alla mano pubblica

Una crisi già visibile dal 2006, è il fallimento del modello culturale che si è affermato in questi dieci anni. Nessuno di quelli che pontificano ha capito cosa stava succedendo. Intervista di Luca Cifoni.

Professor Tremonti, il Fondo monetario internazionale dice che ora la crisi finanziaria è seria e globale....
Siamo nel 2008. Io di questa crisi parlo dal 2006, e due anni prima, a Washington, avevo risposto a chi ci rimproverava Parmalat: "Voi siete global Parmalat". La politica è leadership, non è followship; è visione, non è retrovisione. Io credo di essere stato l'unico uomo politico in Europa a prevedere che questo paradigma della globalizzazione sarebbe andato in crisi. Non me ne rallegro, naturalmente. Non sono contro la globalizzazione, ma contro i tempi e i modi in cui è stata realizzata, dal 1994 al 2001. Sono per il mercato, non per qualcosa che ne è la caricatura o la forzatura.


E adesso cosa succederà?
Siamo alla fine di quel modello, della globalizzazione come l'abbiamo conosciuta. C'è una rottura traumatica. E il fallimento del modello mentale e culturale che si è affermato in questi dieci anni. La prova è nelle critiche che sono state rivolte al mio libro, che non è un libro di economia ma di filosofia, un libro sui valori spirituali. Era la proposta di fare del Parlamento europeo un vero Parlamento e non come è adesso solo una camera di consultazione; di creare un debito pubblico europeo per finanziare gli investimenti; in generale di ripartire dalle radici giudaico-cristiane: storia, tradizioni, identità, valori. Anche da un simbolo come l'alzabandiera nelle scuole tutte le mattine. Facciamolo con la bandiera europea o quelle nazionali o della Catalogna, ma facciamolo. Quelli che hanno criticato il mio libro sono così ottusi da vedere solo l'economia, e dentro l'economia sono così radicati nel pregiudizio da inventare contro di me accuse di protezionismo. Questa è la dimostrazione dello stato miserevole della nostra classe dirigente.


Chi ci mette, dentro questa classe dirigente?
Tra tutti gli economisti che scrivono e pontificano ce n'è qualcuno che ha saputo prevedere, almeno l'anno scorso, quel che sarebbe successo? Nessuno. Forse Bernanke prima di decidere l'intervento per Bear Steam avrebbe dovuto dare un colpo di telefono a Monti o a Giavazzi. E’ la bancarotta intellettuale di un ceto che ha dominato questi anni. Tutti quelli che hanno cantato la globalizzazione ora ne dovranno rispondere. Le classi dirigenti non hanno capito, non hanno ascoltato, convinti che la salvezza fosse solo nell'economia. E così si sono condanna-ti all'autorottamazione. Lei avrebbe fiducia in una classe politica che non vede il futuro, e vede il presente ancora come proiezione di un passato che si sta sbriciolando? Io no.

E lei che soluzioni vede possibili, a questo punto?
La soluzione è politica. Siamo passati da una crisi di liquidità a una crisi di solvibilità, e la prossima fase è il passaggio a una crisi sociale. Gli strumenti ordinari di gestione dell'economia non funzionano.

Quindi?
La crisi è globale e la soluzione può essere solo globale. La tecnica non basta, serve la politica. Nel 1944 a Bretton Woods Roosevelt stabilì le basi di un ordine economico mondiale: bisogna
ripartire da Bretton Woods. Dal nuovo disordine globale si può uscire solo con una nuova forma politica di ordine mondiale. Non è il compito dei tecnici, e il dovere della politica.


Che differenze vede tra Stati Uniti ed Europa?
Gli americani sono stati costretti ad andare per primi sulla strada degli interventi pubblici. Hanno applicato strumenti da new deal. Ma la stessa Banca d'Inghilterra ha appena fatto un salvataggio quello della Northern Rock, e anche la Germania, in modo più mascherato, sta intervenendo per i suoi istituti di credito.


Insomma, da una parte all'altra dell'oceano ora tocca alla mano pubblica.
Io credo certo nella mano invisibile del mercato, ma in questo momento è una mano così invisibile che non si vede proprio! Un vero liberale è convinto che dove non arriva la mano privata è giusto che intervenga quella pubblica. Solo chi vede la realtà esclusivamante dal buco della serratura della concorrenza può credere che il pensiero liberale si riduca esclusivamente nel mercatismo. Market if possible, government if necessary.