Giulio Tremonti



Rassegna Stampa

- La Stampa

I conti sono al sicuro. E' l'ora delle riforme

La manovra per il ministro dell’Economia è un dossier già chiuso. Bruciando i tempi il governo ha infatti già varato ad agosto anziché a dicembre la correzione dei conti, non per un anno ma addirittura per tre come stanno facendo anche in Francia.

Decreto blindato, inemendabile, per «mettere in sicurezza il bilancio dello Stato» come ripete da settimane Giulio Tremonti. Perché «non si può avere il vincolo esterno dell’Europa, dei mercati, della crisi, e all’interno quella “autonomia” che pur in presenza dell’articolo 81 della Costituzione ha portato l’Italia da avere il terzo debito pubblico del mondo».

In questa logica la prossima legge Finanziaria sarà molto diversa dalle precedenti: pochi articoli e le tabelle coi saldi. La Finanziaria, dal rigore di bilancio alla agenda di Lisbona per l’Italia (piano per il nucleare, piano casa per i giovani, liberalizzazioni, ecc.) sta già tutta nel decreto che oggi riceve l’ultima fiducia. Di qui in avanti terreno sgombro. «Settembre - spiega il responsabile del Tesoro - per questo governo non si chiama più Finanziaria ma federalismo». Ovvero, «il» banco di prova per un intera classe politica. A cominciare dalla «sinistra governista».

Ministro, domenica su «la Stampa» Luca Ricolfi sosteneva che l’attuale classe politica è fatta di «anatre zoppe». Non ce la farà.
«Ricolfi ha conoscenze ornitologiche certamente superiori alle mie. Proverò tuttavia a formulare un’ipotesi scientifica alternativa: supponendo che il mondo politico possa essere diviso, suddiviso e classificato come il mondo delle anitre, possiamo identificarvi due famiglie. La prima è fatta dai politici che hanno determinato la dinamica politica».

Qualche esempio?
«Senza gerarchie, in ordini diversi, Berlusconi e Bossi». E la seconda famiglia quale sarebbe? «Quella dei politici-istituzione, che identificano la politica nelle istituzioni e l’istituzione nella politica: istituzione-Costituzione, istituzione-Parlamento, istituzione-governo, istituzione-partito. L’Italia è sempre stata un grande laboratorio politico e non è per caso ma pour cause che in Italia che convivono insieme le due specie».

La seconda però è più....«europea».
«Questo è vero ma solo in termini convenzionali. Non è vero nel vivo della storia e non è vero nel tempo presente: dappertutto in Europa si nota l’assenza o si chiede la presenza di leader popolari, di figure carismatiche. Quando si rileva che la politica in Europa non ha allure, non ha spirito, non ha leadership questo si vuol dire: che servono anche i capi carismatici, che servono i politici della “prima specie”».

Stando a Ricolfi Berlusconi e Bossi sarebbero però fuori gioco.
«E’ vero l’opposto. Berlusconi e Bossi, i politici della prima specie, vivono solo per le riforme. La sfida, la questione che pone Ricolfi, non mi pare tanto sulla capacità riformista della specie “prima” ma sulla concorrente e pur necessaria capacità riformista della specie “seconda”. Uno che se ne intendeva, avendo vissuto dall’interno la rivoluzione francese, il giurista Emmanuel Sieyès, sosteneva che le riforme si fanno solo per linee di rottura, con le rivoluzioni e con le guerre: “il potere costituito non sarà mai potere costituente”. La sfida che abbiamo è quella di rovesciare questo postulato, di dimostrare che anche il potere costituito può essere costituente. Per verificarlo non è necessario andare molto indietro nel tempo, è sufficiente partire dalla Bicamerale di D’Alema del ‘97».

Sono passati più di 10 anni e quei lavori finirono in nulla.
«In senso storico 10 anni sono un tempo breve. E quella Bicamerale non ha fallito, all’opposto ha iniziato il processo riformatore».

Al centrodestra non è andata meglio: il referendum del 2006 ha bocciato le vostre riforme...
«Vale lo stesso, perché le nostre riforme sono state riprese in forma costituente e condivisa nella “bozza Violante” e nei programmi elettorali tanto del Pdl quanto del Pd. Dunque non sono stati due fallimenti, ma due passaggi interni ad una dialettica che si sviluppa fisiologicamente nella sequenza tesi, antitesi sintesi. Dieci anni non sono il tempo sbagliato, sono il tempo giusto».

Ora in agenda ci sono appunto le riforme costituzionali ed il federalismo, come si procede?
«Il Parlamento sta partendo dalla “bozza Violante”, con la riforma dei poteri del governo e del Parlamento, una riforma che è necessaria per rendere più forte ed efficace la governance dell’Italia. Il testo incontra ormai solo un limite nel passaggio al Senato, un limite non di tipo politico - destra e sinistra sono d’accordo - ma “identitario”: sarebbe proprio il Senato a dover votare sulla sua propria trasformazione in una Camera federale con funzioni e competenze diverse dalle attuali. Penso si possa confidare tutti sul senso di responsabilità di senatori eletti in base a programmi elettorali che, sia a destra che a sinistra, prevedevano proprio questo tipo di riforma».

Poi c’è il federalismo. Altro passaggio non da poco...
«Se la prima è un’ipotesi di “riforma” costituzionale, questa seconda è un’ipotesi di “attuazione” costituzionale: il federalismo fiscale è infatti presupposto dall’articolo 119 della Costituzione, e l’articolo 119 è fuori discussione. Compresa la garanzia di unità e di equilibrio rappresentata dai due fondi finanziari di perequazione e solidarietà. Per noi il federalismo è un modo di raddrizzare la pianta storta della finanza pubblica. Con gradualità e responsabilità».

E qui da dove si comincia?
«Questo è un caso in cui il discorso sul metodo è importante come quello sul merito. Metodo, per cominciare, significa costruire una base di dati statistici condivisi. E questa non è tecnica, è politica».

Dei numeri si può fare un uso politico.
«Questo è invece un caso in cui l’aggettivo cancella il sostantivo: i numeri sono numeri, e di numeri politici non ne esistono. Una base di numeri-numeri potrà essere costruita alla Camera usando i Servizi parlamentari, l’Istat, la Ragioneria dello Stato, le competenze e le conoscenze delle Regioni. Una volta costruita una base di dati condivisi la politica si svilupperà nella forma delle sue naturali opposizioni dialettiche ma utilizzando la base statistica e non al suo interno».

Tempi?
«Una sessione parlamentare settembre-dicembre contiene un arco temporale sufficiente tanto per mettere insieme una “data room” quanto per formulare su questa base le grandi scelte di principio. Scelte sulle quali sembrano per ora maggiori le convergenze delle divergenze. La mia impressione è che sul federalismo tra il disegno di legge del governo e quello dell’opposizione, entrambe ancora in bozza, ci sia una fortissima convergenza. E, se per noi il federalismo fiscale è un obiettivo fondamentale, non credo che dal lato della sinistra debba o possa valere la ragione speculare e contraria: siccome è bene per noi allora è bene per l’opposizione bloccarlo. Solo perché va bene a noi....non mi pare una grande dialettica politica».

Il Pd però quest’autunno vuole scendere in piazza...
«In piazza contro la globalizzazione? Dopo averla loro stessi scatenata? O contro la pioggia, che non dipende dal governo? Gli italiani sono saggi ed hanno appena dimostrato di esserlo in cabina elettorale. Non sono io a dover o poter scrivere l’agenda della sinistra, ma credo che dopo la rottura appena fatta dalla “sinistra antagonista”, che ora inizia una propria avventura politica autonoma, per la sinistra “governista” non ci sia alternativa diversa da quella riformista. Proprio quella sul federalismo fiscale potrà essere una occasione di discussione su temi reali, su temi vicini alla vita quotidiana degli italiani. Da questo punto di vista le architetture costituzionali generali possono anche sembrare metafisica. Diversamente le scelte sul federalismo fiscale, sulle cose tassate e sulle cose amministrate, sugli immobili, sulla sanità, sono quelle che interessano i cittadini in presa diretta».

Ma in concreto gli italiani cosa ci guadagnano: meno tasse, più efficienza, ospedali migliori?
«Non c’è chi ci guadagna e chi ci perde, ma tutti ci guadagnano. I livelli di assistenza per esempio saranno garantiti e non ridotti. Per inciso: in troppe parti del Mezzogiorno i livelli di assistenza sanitaria sono già drammaticamente bassi. Ma questo avviene non a causa della ridotta quantità dei fondi pubblici disponibili ma, all’opposto, a causa di una cattiva amministrazione che sempre più si identifica nella opacità con la illegalità. All’opposto il federalismo è trasparenza. Nel Mezzogiorno il federalismo fiscale non avrà tanto l’opposizione degli elettori quanto della malavita elettrice».