Giulio Tremonti



Rassegna Stampa

- Avvenire

Federalismo? I conti saranno condivisi

Prima delle scelte politiche vengono i numeri, che non sono di destra o di sinistra, federalisti o centralisti.

Il mercatismo è in crisi dopo le nazionalizzazioni bancarie americane, ma l’etica della responsabilità dovrà essere coltivata ancora a lungo: il ministro dell'economia Giulio Tremonti spiega in quest'intervista perchè il governo non ha ideologie e vuole fondare la riforma del federalismo fiscale su “numeri condivisi”.

 

Sono passati 118 giorni dalla fiducia, ma resta difficile descrivere il governo Berlusconi. Liberale? Liberista? Federalista? Statalista?

Vi dò una notizia: non abbiamo ideologie. Abbiamo idee, spero buone, ma nessuna  delle ideologie del ‘900 rappresenta un modello per noi. Non il fascismo nè il comunismo, bruciati nelle loro tragedie, non il socialismo, generosamente fallito nel paradosso di essere insufficiente per eccesso,  e neanche le ideologie terminali del vecchio secolo, il nullismo del ‘68 e il mercatismo. Con una specifica: rispetto al nullismo del ‘68 e al mercatismo non siamo lontani, ma contrari. La nostra posizione non è quella  della disapplicazione di queste due ideologie; è quella del contrasto. Contrastiamo il nullismo - se credi  a tutto finisce che non credi più a niente - e il mercatismo basato sull'idea della libertà sublime , la libertà dalle regole, la libertà che fabbrica ricchezza a mezzo debito. Per andare oltre il ‘68 stiamo agendo su due campi: il servizio pubblico e la scuola.

La “guerra ai fannulloni” rientra dunque in questa strategia  del contrasto?

Dietro quello slogan c'è una politica mirata a ristabilire l'etica della responsabilità dopo una lunga fase di permissivismo. Un altro dei mali del ‘68 è stato nella rottura del rapporto di autorità e responsabilità che legava insegnanti, scolari e famiglie. La nostra linea è: un maestro, un libro, un voto. Ci ispira una logica educativa: vogliamo restituire credibilltà e univocità di riferimento ai ragazzi. La scuola italiana era ed è al servizio delle famiglie, ma è diventata anche un ammortizzatore sociale; ha conservato, per fortuna, molti fondamentali positivi ma ha subito l'aggiunta di materiall eterogenei  - dalla cultura del ‘68 alla ricerca del consenso sociale e sindacale - che l'hanno trasformata più che in una macchina impruduttiva in un apparato distruttivo di quel patrimonio di tradizioni, valori e autorità che invece la scuola ha la funzione istituzionale e storica di trasmettere. Alla moltiplicazione degli insegnanti non ha fatto seguito un incremento del livello educativo e lo stesso si può dire per la parossistica produzione di libri di testo usa e getta , che le famiglie sono costrette a comprare ogni anno senza che ciò abbia riscontro in una reale esigenza didattica. Un conto sono i dottorati di ricerca che si trovano sulla frontiera della continua innovazione scientifica, un conto sono le scuole medie. Sempre al ‘68 dobbiamo la sparizione del voto di condotta ma soprattutto di profitto, che permetteva di stabilire un rapporto circolare di responsabilità . Sui voti non si ricorreva al Tar! Ora, il giudizio dovrà accompagnare il voto, ma per motivarlo, non sostituirlo.

Veniamo al mercatismo:  dopo i salvataggi di Bear Stearns e dei giganti dei mutui esiste ancora?

No. Resta il liberalismo ma è finito il mercatismo come teoria e prassi ideologica estrema. Dietro le nazionalizzazioni bancarie americane c'è che la finanza non è un fine in sé ma solo un mezzo. Il messaggio che emerge è che c'è più moralità in un prodotto industriale che in un prodotto finanziario. Quei disastri non sono il prodotto dell'economia di mercato ma della follia che ha posizionato l'economia “sotto” la finanza e “fuori” dai controlli pubblici: negli ultimi dieci anni, internazionalizzandosi, la finanza si è autocollocata in un dominio di irresponsabile anonia.

In questo scenario, qual è la linea del governo?

Nel tempo presente e in questo contesto, il nostro governo non applica astrazioni ideologiche - cosa si debba intendere per ortodossia liberista o no - ma segue una linea empirica: una volta ci accusano di esser liberisti, un'altra di esser statalisti, mentre noi applichiamo la regola basica delle economie liberali, market if possible, government if necessary. Per questo crediamo nell'economia sociale di mercato, che non è un'ideologia ma un metodo. Il metodo della ricerca continua di equllibri tra economia e società. Equilibri possibili, realizzabili...

Una politica a-ideologica non rischia derive relativistiche?

La nostra politica rompe gli schemi dogmatici nel dominio economico ma non è relativista in quello dei valori morali. Un conto sono i valori secondi dell'economia, un conto i valori primi della morale. I valori primi sono più importanti e i valori secondi funzionano soprattutto in presenza e non in assenza dei valori primi. Al Meeting  di Rimini ho richiamato perciò il motto Dio, Patria e Famiglia.

E’ merito dei valori primi se a Cernobbio ci è  parso più ottimista del solito?

L'Italia ha risentito meno di altri dell'ideologia mercatista e della finanziarizzazione dell’economia: oggi le pensioni italiane non dipendono dai corsi di borsa, la nostra  industria è rimasta fortemente manifatturiera e le famiglie non sono state prese dalla vertigine del consumo a debito. Quando, dopo la crisi, si ricalcnlerà il piI, emergerà la solidità dell'Italia, che non è cresciuta dentro la bolla della speculazione immobiliare e finanziaria.

Agli italiani che non speculano farebbe molto comodo il quoziente familiare. L'avete promesso in campagna elettorale: che  fine ha fatto?

L'italia ha il terzo debito del mondo ma non ha la terza economia del mondo e, lo dico senza spirito polemico, nei primi sei mesi dell'anno la ricchezza è scesa e il deficit è aumentato: fare il bene comune significa mettere in sicurezza il bilancio dello Stato e, dentro questa operazione, mettere in sicurezza il risparmio delle famiglie. Questo farebbe un padre di famiglia e questa logica di responsabilità abbiamo seguito con la Finanziaria. Ciò detto, cinque anni di legislatura sono un tempo sufficientemente lungo per confermare gli impegni presi.

Domani, il Consiglio dei ministri dovrebbe avviare l'esame sul federalismo fiscale, un'altra iniezione di responsabilità e autonomia nel corpo delio Stato, tuttavia non è chiaro se ci saranno i soldi necessari per realizzarla. Basta dire, come fa Maroni, che “di sicuro Tremonti li troverà”?

Prima di arrivare alle scelte politiche dobbiamo costruire una base di dati statistici condivisi da tutti, dati che abbiamo solo in parte e che per tante parti non sono ancora condivisi. Può sembrare un modo di procedere pignolo, ma prima vengono i numeri, poi le scelte, non il contrario. Non esistono numeri di destra e di sinistra, centralisti o federalisti. Andremo in Parlamento, lavoreremo sentendo i tecnici e creeremo prima di tutto questa base. Il testo di partenza è grussomodo quello già scritto dalle Regioni e i termini fondamentali di riferimento della  riforma sono quelli costituzionali, nessuno ha in mente di fare cose diverse.