Giulio Tremonti



Rassegna Stampa

- Corriere della Sera

E' importante che il Pd perda bene, così potrà partire la stagione di riforme

Il Pd è avviato a perdere. Perché ha ispirato le scelte sbagliate del governo Prodi. Perché se va da solo non avrà i voti, ma se si allea non sarà in grado di governare. Perché è un'anomalia europea una forza di sinistra dall'anima non socialista. Ma per il bene del Paese, il Pd non deve perdere male né dissolversi né darsi a un'opposizione sterile. Perché dopo il voto servirà una «stagione di riforme», ma anche un'«efficace azione di governo». Servirà una «dialettica politica sana».

E forse, se la situazione lo richiederà, qualcosa di più. È questa l'analisi di Giulio Tremonti, vice presidente di Forza Italia, alla vigilia di una campagna elettorale che si annuncia molto diversa dalle altre. Onorevole Tremonti, in poche settimane lo scenario politico è cambiato completamente, su entrambi i fronti. E il la sembra averlo dato Veltroni con la sua scelta di andare da solo. «Veramente la "Walter version", la "versione di Walter", ricorda tanto la versione del pentito che ti spiega: "Siccome ho fatto la cosa sbagliata, allora sono l'unico che può fare la cosa giusta, siccome ho fatto il governo sbagliato con i comunisti, adesso posso fare il governo giusto con i liberisti". Ma se è bene riconoscere l'errore, non è automatico che questo ti porti a fare bene, ad avere anzi il monopolio del bene». Però la rottura con il passato per il Pd è innegabile. «Come il fatto che la legge elettorale era solo l'alibi del pentito! In realtà sono due le cose che il Pd non ha capito. Che il governo Prodi non è imploso tanto perché, essendo in troppi, litigavano tra loro, quanto perché hanno litigato con gli italiani. E che la causa del disastro non è stata esterna, ma interna al Pd stesso. Una causa che vive e sopravvive addirittura nella parte "migliore" della sua cultura politica, che emerge dal fallimento di un metodo di governo che si pensava e si pensa ancora il migliore».

A cosa si riferisce? «Il disastro di Prodi, ma anche del Pd, inizia, e non per colpa dei comunisti & C., nell'autunno del 2006 con il "Risanamento" dei conti pubblici, e finisce nell'inverno del 2007 con il "Rinascimento" di Napoli. La crisi fiscale del governo Prodi è stata causata dal meglio della sinistra degli "illuminati", che sono riusciti a combinare un errore tecnico con un errore politico: hanno annunciato il disastro quando non c'era un disastro, riuscendo a produrre proprio un disastro. Come il dottor Stranamore, hanno usato a sproposito l'atomica fiscale. A tutt'oggi non c'è traccia di discontinuità rispetto a questa cultura». Però oggi inizia un'altra storia, e Veltroni dice che si candida a vincere. «Il tavolo della politica italiana poggia su quattro gambe. La prima: per vincere il governo ci vuole la maggioranza dei voti; la seconda: il voto degli italiani è molto attivo nella sua partecipazione elettorale, ma molto conservativo nei suoi orientamenti; la terza: in mezzo secolo, le grandi differenze le hanno fatte solo due "A": alleanze e astensioni; la quarta, il voto italiano è storicamente orientato a destra, la sinistra al governo non è la regola ma l'eccezione». Messa così, si potrebbe evitare la fatica di andare a votare, tanto è tutto scritto... «Beh, la formula tecnica per vincere tanto le elezioni quanto il governo è molto semplice: devi avere più voti possibile, con meno differenze possibile. Il Popolo della Libertà è così, il Pd non è così».

Del Pdl veramente Veltroni ha un'altra opinione: definisce un «maquillage» la fusione tra Fi e An, e in effetti si può dubitare di un partito unico che nasce in poche ore... «Si sta verificando quello che tante volte ho detto al Corriere: più della sovrastruttura, conta la struttura. Noi abbiamo un popolo unito da valori, ideali, interessi comuni, e ci basta andare in giro per strada per verificarlo. Abbiamo un'esperienza di governo comune durata una legislatura, un leader alla fine indiscusso, un programma comune. La realtà la fa la realtà». Eppure la sfida si sente nell'aria: forse perché comunque il Pd rappresenta qualcosa di nuovo in uno scenario che cambia? «Alla fine tutto si schematizza nel confronto tra due parti a sinistra e una parte a destra. E' un processo positivo, perché è un processo di modernizzazione europea, visto che in tutta Europa si confrontano blocchi politici simili a quelli che si stanno formando in Italia. Ma il centrodestra è entrato in Europa, alla fine di un processo iniziato nel 2004, il Pd non esattamente: colpisce la sua diversità rispetto allo schema europeo, una diversità che perpetua l'anomalia, il "particularismo" italiano».

E quale sarebbe? «Che in Europa non c'è un Pd: ci sono popolari e socialisti, mentre il partito di Veltroni tutto è tranne che socialista. Il cambiamento c'è stato, ma dal comunismo all'eurocomunismo, dall'ulivismo al democratismo, dalla democrazia di massa a quella di opinione, per arrivare alla democrazia dell'immagine. Mancano le idee e le "ragioni del socialismo", c'è più forma che sostanza, più cronaca che storia. E sta arrivando un tempo di ferro, che non si sfida con l'estetica politica». Sarà un tempo difficile anche per voi, se vincerete. Come pensate di affrontarlo, in che rapporti con l'eventuale opposizione? «Una cosa mi sembra sicura, spero, ed è lo sviluppo delle riforme costituzionali. Ma è anche vero che la gente non mangia pane e riforme. Serve altro: un'efficace azione di governo. E per svilupparla è essenziale una dialettica politica sana». Lei è stato il primo in Europa ad evocare la grande coalizione come passaggio essenziale per sciogliere i nodi cruciali: potrebbe essere questo il momento per arrivarci? «Al tempo! Naturalmente tutto dipende dalla "intensità" della nostra probabile vittoria e dalla "qualità" della probabile sconfitta del Pd. È essenziale, e nell'interesse del Paese, che comunque il Pd tenga. Che non si attivi un processo di frazionismo e divisionismo, che non prevalga l'egoismo di chi essendo stato il miglior perdente, si preoccupa più dell'egemonia interna che del bene dell'Italia». Vi serve un Pd abbastanza forte da dialogare con voi? «Sì, è essenziale che non continui a prevalere il fascino maligno dei salotti, che tutto non precipiti nella soluzione più facile: quella di un'opposizione sterile e nichilista».