Giulio Tremonti



Rassegna Stampa

- La Padania

Che disastro senza federalismo

No al referendum, la politica abbia la forza di riuscire a scrivere la legge elettorale. La Lega? Ha una forte identità, ma deve stare con il centrodestra. Intervista di Matteo Mauri.

È contrario all’idea che non sia il Parlamento a legiferare sulla legge fondamentale, affidandosi quindi all’antipolitica. Il vicepresidente dalla Camera Giulio Tremonti racconta a la Padania come, in ogni caso, non è la legge elettorale lo strumento per risolvere i problemi del Paese, che al contrario, ha bisogno di una forza straordinaria per governare fenomeni straordinari.

Presidente Tremonti, oggi la Consulta si esprime sul referendum sulla legge elettorale: come cambieranno gli scenari politici? “Credo che, sulla base dei materiali giuridici, francamente sia difficile dal punto di vista tecnico una pronuncia di inammisibilità. Non entro nel merito delle valutazioni che darà la Corte, mi limito a notare che un eventuale pronunciamento contrario all’ammisibilità aumenterebbe il catalogo delle istituzioni pubbliche non godono di simpatia e fiducia dei cittadini. La partita è stata aperta in modo chiaro e va giocata a carte scoperte”.

Quindi lei è favorevole al referendum? “Assolutamente no. Io sono fortemente contrario ad un referendum sulla legge elettorale. Penso che il referendum aprirebbe nel Paese una lunghissima ed estenuante campagna di antipolitica”.

Che peraltro è già iniziata da tempo. “Certo. Ma se la politica non è in grado di fare da sola la legge fondamentale, costitutiva della politica stssa, allora è giusto chiedersi a cosa serva la politica. Dunque credo che fare la legge elettorale sia un nostro dovere, in assoluto. In senso relativo, fare la legge elettorale servirebbe anche per bttere le forza dell’antipolitica che con alterna fortuna si sono manifestate in questo ultimo anno”.

Ma ‘quale’ legge elettorale deve fare la politica? “Nel 1999, dunque nove anni fa, in occasione di un altro referendum elettorale, in una fase in cui dominava l’ideologia del maggioritario, visto un po’ da tutti come metafora positiva della politica, con Giuliano Urbani abbiamo presentato appunto una proposta di legge che si basava su questi elementi: base proporzionale, vincolo di coalizione (con indicazione del premier e programma), sanzioni antiribaltone (quei partiti che si fossero resi protagonisti di ribaltoni avrebbero perso immediatamente i finanziamenti pubblici e a partire dalla tornata successiva anche il simbolo elettorale)”.

E lo sbarramento regionale? “L’ipotesi di uno sbarramento che consideri la concentrazione regionale è assolutamente legittima, come è in Germania per la Baviera.  Un conto è avere meno del 5% nazionale, altro è avere più del 15% in enormi blocchi di regioni”.

Qual era la ragione della proposta? “La fondamentale e crescente necessità di allineare e aggiornare il sistema di governo nell’età della competizione e della globalizzazione. La tendenza dominante nel ’99 era diversa, era tutta ‘Italia su Italia’, era molto domestica. Quella proposta andava oltre questo campo ristretto, guardando le trasformazioni in atto”.

Sempre proiettato in avanti, rispetto ai tempi, un po’ come il suo amico Umberto Bossi. Ma tornando all’oggi, quale legge elettorale necessita il Paese? “Grazie per il complimento. Tornando alla legge elettorale, ritengo ancora possibile che un accordo tra le forza politiche più vive, attive e responsabili del Paese non sia diverso da quanto avevamo immaginato nel ‘99”.

Rivendica una primizia? “In politica non esiste il diritto d’autore. Credevo allora e credo oggi, che quella scritta nel ’99 possa essere giudicata una buona proposta per il Paese. E questo basta e avanza”.

Questo impianto però presuppone una volontà di dialogo reale tra maggioranza e opposizione. “Oggettivamente abbiamo alle spalle un lungo anno di discussione, di alternative, di alti e bassi. La discussione può essere un contributo alla maturazione dei problemi. Sotto la pressione di scadenze e circostanze, è probabile che si trovi l’accordo, il fatto che ci siano state discussioni a monte non esclude poi la conclusione a valle. E comunque speriamo che sia vera la formula motus infine velociur”.

Però la legge elettorale. “La legge elettorale è importante ma non sufficiente. È la bacchetta giusta, ma non la bacchetta magica. Non credo che i problemi che ha questa maggioranza siano causati dalla legge elettorale, e che siano superabili solo per una legge nuova. Le racconto una storia”.

Prego. “Ricordo che nei Consigli dei ministri europei, nella mia esperienza di Governo quando un collega partiva per la campagna elettorale, gli facevamo gli auguri. Nessuno è più tornato”.

Perdevano tutti? “Negli ultimi anni in Europa occidentale il pendolo della politica non è più andato da destra a sinistra o viceversa, ma in una direzione sola: contro i governi in carica. Escluso il Governo Berlusconi, che ha pareggiato!”.

E come spiega questo fatto? “L’intensità straordinaria dei fenomeni che vengono dal mondo globale sull’Europa domina sulla forza ordinaria dei governi. Non basta più governare sotto una pressione che cresce al 51%, tanto meno il 50,00 qualcosa che ha Prodi. Non basta neanche un meccanismo forzato da una legge elettorale, che ti dà un premio di maggioranza, perché è una finzione”.

In che senso? “Se sei piccola simbolica maggioranza nel Paese non hai forza sufficiente neppure se la legge elettorale, dandoti un premio, ti fa diventare maggioranza in Parlamento. La realtà la fa la realtà. Le leggi elettorali premiali funzionavano in passato, in un mondo diverso, non bastano più da sole oggi. Una delle cose che non condivido della sinistra e del Pd in particolare  è l’eccesso di enfasi posta sulla legge elettorale. Che dovrebbe consentire di fare a meno del voto marginale. Fino ad un certo punto la semplificazione del sistema poltiica è corretta, troppe frammentazioni sono personali e strumentali”.

Se passa il referendum. “Con il 40% dei voti nel Paese e il 55% di seggi in Parlamento non vai comunque da nessuna parte. Il giorno dopo la realtà del Paese prevarrebbe sulla finzione elettorale. Quello che cerco di dire è che la forza dei problemi impone la forza delle maggioranze. Il Pd da solo se anche avesse il 40% non risponderebbe ai bisogni della gente, incasserebbe solo un premio”.

E il centrodestra come è messo dal punto di vista frammentazione? “Nel centrosinistra le segmentazioni sono tanto alla base quanto al vertice. Nel centrodestra la situazione è diversa, la base è unita, qualche divisione si trova solo al vertice. Gli sforzi che Bossi sta facendo sono diretti all’unione dei vertici”.

Questa forza della base può portare anche ad un partito più grande che contenga i partiti della Cdl? “È tutto in evoluzione. Ci sono diverse forme di agregazione. Ad esempio il rapporto con la Lega se si riuscisse a costruire sul modello bavarese sarebbe perfetto. Non è in gioco l’identità. Al contrario, ferme le identità, deve esserci unità d’azione. E torno a dire: la realtà la fa la realtà. E nella realtà politica ed economica del Paese c’è una base identitaria che è rappresentata dalla Lega”.

Ma lei vede la Lega ancorata al centrodestra? “Ho qualche difficoltà nel vedere la Lega nel centrosinistra. Negli anni ’90 sono infatti emersi a lato del Federalismo (che rimane la questione fondamentale, che sta prendendo credito anche presso forza che erano pre-giudizialmente contrarie come il sindacato) anche fattori che sono un dividente radicale con la sinistra: i valori, la visione della società basata sulal famiglia naturale o sulla famiglia orizzontale,la vita, l’immigrazione, l’ordine pubblico, le tasse... Sono fattori che dividono fortemente. Negli anni ’90 si poteva pensare  di fare il Federalismo anche col diavolo, oggi non è più possibile. Con la sinistra mi sembra che siano più le cose che dividono rispetto a quelle che uniscono”.

Nessuno accordo con la sinistra dunque? “Non si può escludere che anche la sinistra apra al Federalismo e si possa fareinsieme una riforma istituzionale, non necessariamente in questa legislatura”.

Il che non è successo con la riforma costituzionale della Cdl. “Resto convinto che la sinistra abbia perso una grande occasione: staccare la spina del referendum. Hanno proseguito la campagna elettorale delle politiche. Eppure fu proprio Bossi a dire: approviamo la nuova costituzione e poi la correggiamo insieme”.

Cambiamo argomento, Presidente: che idea s’è fatto dell’emergenza rifiuti di Napoli? “Quando i Savoia occuparono Napoli, la trasformarono in un giorno da capitale europea in prefettura. Il passaggio ha prodotto un enorme effetto distruttivo. In pochi giorni furono annichilite classi dirigenti, cultura, storia, con un effetto simile a una bomba al neutrone. Provi ad immaginare cosa succede ad una grande capitale se all’improvviso  la trasformi nella struttura amministrativa periferica di un regno che ha altrove e remoto il suo centro di comando. Allora le baionette di casa Savoia si imposero sulla ragione federalista di Carlo Cattaneo. È da allora che inizia la crisi civile di Napoli. Il furto delle identità non è stato compensato dalla finanza pubblica, intermediata da personale politico nazionale e dai suoi agenti locali. La crisi si è radicalizzata quando sul flusso dei finanziamenti pubblici è iniziata la malversazione pubblica, quando al furto storico dell’identità si è sovrapposto fino a diventare intollerabile il furto dei fondi pubblici, il loro dirottamento verso la malavita, e infine il furto della politica. Ma non è che con un furto di serie B (i soldi pubblici), si corregge un furto di serie A (l’identità). Forse la ragione stava dalla parte di Cattaneo e non delle baionette. L’identità rubata non può essere compensata dai finanziamenti pubblici”.

La soluzione? “Il Federalismo”.