Giulio Tremonti



Rassegna Stampa

- Il Sole 24 Ore

Tremonti: "Suicida evitare il patto Ue"

Con l'Europa chiusa in un orizzonte economico, regole più dure. Costituzione: è stato un errore pensare che fosse la continuazione dell'euro.

Con un’Europa ormai concentrata solo sull'«economicismo di Maastricht» e non più proiettata su un orizzonte politico ambizioso, è suicida tentare di eludere gli impegni presi con Bruxelles sul risanamento dei conti e sulle riforme, pensioni in testa. Giulio Tremonti, vicepresidente di Forza Italia, prevede molti rischi nella nuova dialettica verso la Ue messa in campo dal Governo e che, già da lunedì, avrà un primo test a Bruxelles.

Il Governo vuole convincere la Ue che non è sostenibile oggi il taglio dello 0,5% di deficit. Che ne pensa? «Partiamo dall'inizio. In principio era il Castello. Il Castello dell'Europa di Maastricht, quella economica, che aveva puntato tutto sulla moneta unica. Poi al Castello si è aggiunto il Cantiere per la costruzione, dopo quella economica, dell'Europa politica. Con la caduta della Costituzione europea il cantiere è stato chiuso. L'Inno alla gioia scritto da Schiller, adattato da Beethoven, adottato come inno dal Consiglio d'Europa rischia di essere sostituito dall'Incompiuta di Schubert. Quello che non è stato influisce comunque su quello che resta. Diverso sarebbe con la politica a tenere la scena. Più ancora di ciò che è stato finora, per i prossimi dieci anni sarà invece l'economia a prevalere».

Un'incompiuta è meglio di un requiem. «Concordo. Non sento e non voglio sentire il requiem. La costruzione europea è un processo storico che si sviluppa nella lunga durata. Una stasi di dieci anni è, in questi termini, un tempo breve. Piuttosto la fine della "costituzione" porta con sè la fine del pensiero unico, dogmatico ed arrogante che ha dominato l'ultimo decennio.

Eppure, dopo il successo della moneta, il sogno della Costituzione era più che realistico. «Il fine è giusto i mezzi sbagliati. Sono stati fatti due errori. Uno di metodo e uno di merito. Metodo: l'errore è stato pensare che la Costituzione fosse la continuazione, con altri mezzi, della moneta. L'euro è una cosa importante ma la Costituzione è un cosa diversa. Ma c'è stato un altro errore ed è più grave: l'aver fatto partire questo processo politico dalla parte sbagliata. Da sempre le costituzioni sono fatte da due parti: i principi, l'organizzazione. I suoi principi costituzionali l'Europa li ha già: la grande carta di valori degli anni '50, la costituzionalizzazione nazionale dei valori europei e, simmetricamente; la creazione in Europa di un "patrimonio costituzionale comune" su cui la Corte europea già dice splendidamente il suo diritto. La scelta sbagliata è stata quella di scrivere di nuovo tutta questa parte. Un atto arrogante, fatto con tecnica insufficiente. Inspiegabile è stato forse il tentativo obliquo di aggiornare i valori eterni, banalizzandoli con l'introduzione dei diritti di terza generazione: dal relativismo della famiglia orizzontale allargata al laburismo sindacale».

Quale sarebbe stata allora la scelta giusta? «Invece di tentare di scrivere la parte che già c'era potevano concentrarsi sulla parte che ancora non c'era o era insufficiente: quella sull'organizzazione della macchina istituzionale curopa. Google. Basta andare sul sito della Commissione europa per vedere che l'attività è ormai ridotta alla burocrazia dei "punti A", alla manutenzione, a soft law e green papers. In attesa del Trattato che verrà — probabilmente a Lisbona — possiamo constatare la vittoria del metodo intergovernativo sul metodo comunitario. Soprattutto la caduta dei simboli federali: la costituzione decostituzionalizzata, inno e bandiere europei restano degli optional, l'unanimità cacciata dalla porta rientra dalla finestra delle minoranze di blocco. A fronte c'è la nuova figura presidenziale espressione dei governi — e, perciò, non legittimata dal Parlamento europeo — che affianca, riducendola, la presidenza della Commissione».

Come valuta il gioco fatto finora da Sarkozy per non costituzionalizzare la "concorrenza"? «Sarkozy l'ha presentata come espressione del primato della politica sulla burocrazia, sul dogmatismo della Commissione. Tra le élite si gioca sulla dialettica tra due idee di Europa, quella "corpo-ratist and hegelian" versus l'altra "anglasaxon". È un gioco che non spiega tutto. Il colbertismo francese ha segnato un punto. Ma la mappa dell'Europa prossima ventura (almeno per  10 anni) ha la forma di una grande area di libero scambio. Sul paesaggio l'architettura istituzionale è in ribasso. In realtà questo è proprio il trionfo del pensiero anglosassone, l'Europa-mercato in luogo dell'Europa-politica».

Dunque Maastricht si sente di più o di meno? «Le regole di Maastricht si sono formate e temperate nella meccanica di applicazione e di evoluzione del Patto di stabilità e crescita a partire dal 2002, con la coincidenza forte tra l'introduzione dell'euro e il contemporaneo ingresso in recessione dell'Europa continentale. È in questo contesto, insieme di novità e di complessità, che i Governi dei grandi Paesi hanno definito la loro comune politica economica».

Quale? «In estrema sintesi, la scelta di lasciare correre, entro certi limiti, i deficit annuali congiunturali e simmetricamente di concentrarsi sulle riforme strutturali».

Per quale ragione? «La convinzione che non sono i bilanci pubblici a fare l'economia ma è l'economia a fare i bilanci pubblici. Non puoi avere bilanci buoni se il ciclo economico è cattivo, in recessione correzioni forti non sono tanto impossibili, quanto negative perché la recessione crea a sua volta recessione. E, all'opposto, proprio in una fase economica negativa che evidenza le criticità, puoi e devi fare le grandi riforme strutturali. Se uno guarda alle politiche fatte dai grandi governi in questi 5 anni trova evidenza di tutto questo. L’80% del Pil europeo è andato sopra il 3% non per effetto di politiche di maggiore spesa pubblica, ma per effetto del ciclo economico negativo. Per contro in tutti i Paesi è partito un vasto ciclo di riforme strutturali estese dal lavoro al welfare. Ovviamente, dentro questo schema generale, ciascun governo ha sviluppato le sue politiche particolari».

E ha anche incontrato le sanzioni europee... «Le dirò tre cose essenziali: primo la dichiarazione di Prodi sulla stupidità del Patto, secondo l’ortodossia europea che spingeva per le sanzioni a ogni costo, altrimenti l’euro sarebbe crollato e con l’euro l'Europa sarebbe finita. Terzo: la mia posizione politica. Vale a dire: le sanzioni si applicano agli Stati che fanno scelte politiche intenzionalmente devianti non a quelli che vannosopra il 3%,solo perché subiscono il ciclo economico avverso. In questo caso basta e avanza la procedura di warning. La realtà mi ha dato ragione. L'euro non è crollato: lo spirito comunitario si è rafforzato; con il ciclo economico positivo i bilanci pubblici sono tornati in ordine: il Patto è stato Scritto con intelligenza. È stata un'azione politica dovuta anche soprattutto all'intelligenza politica di Almunia. Qual è si a ta la posizi-ne più europeista?».

Lunedì il Governo apre il negoziato sul conti con l'Eurogruppo. Che previsioni fa? «Il Governo italiano è fuori linea. Non solo non completa il risanamento ma smonta anche le riforme già fatte. Non riduce il deficit, che sul triennio 2006-2008 resta stabilmente tra il 2,4 e il 2 virgola qualcosa per cento. Per inciso, secondo lei, ci può essere un risanamento epocale con un deficit uguale? Non solo: il Governo non fa onore all'impegno preso perché rifiuta le riduzioni concordate all'interno della procedura di warning. In questi termini l'espressione "non metto la camicia di forza al mio Paese" è insieme sleale e suicida».

Ma anche voi quando eravate al Governo avete forzato il rapporto con la Ue. «Un conto e sortrarsi a restrizioni recessive, come é stato per tutti i Paesi nel periodo 2001-2005, un conto é rifiutarsi di farlo non per ragioni economiche nu per ragioni politiche, per salvate il Centro sinistra. Per essere chiari: la riscrittura intelligente del Patto dice che non devi fare restrizioni e correzioni se l'economia va male — perché faresti peggio – ma devi realizzarle con più forza se l'economia va bene. Proprio come è ora in Italia.

Certo che colpisce sentirla paladino europeo quando per anni è stato vissuto come il primo degli euroscettici. «Mi permetto di invitarla a rileggere quanto abbiamo detto finora sulle politiche fatte in Comune in Europa negli ultimi 5 anni. Le faccio notare che, in periodo elettorale, ho firmato una Finanziaria più europea che elettorale perché pensavo che fosse giusto mantenere gli impegni presi dal mio Paese.

Con Sarkozy In Europa l'Italia guadagna o perde? «Penso che Sarkozy farà un appello all'Eurogruppo in nome di una politica economica più forte. Penso che presenterà anche il caso francese, con l'ipotesi di un piccolo maggior deficit causato dalla sua riforma fiscale. Credo abbia buone chance: la Francia ha un debito pubblico intorno al 60% di Maasfficht,  è uscita dalla proccedura di warning, il maggior deficit causato da minori tasse + un caso previsto dal nuovo Patto. La posizione italiana é opposta: il debito pubblico é intorno al 105%; siamo nel pieno della procedura di infrazione; facciamo maggiore deficit non per ridurre le tasse ma per aumentare la spesa pubblica».

Visto il Dpef, che Finanziaria si aspetta? «Non solo il Governo Prodi pianifica la violazione degli impegni presi in Europa da lui stesso. Ma procede verso una Finanziaria che non garantisce neanche il super-deficit preteso. Fuori dal Dpef — e per così dire "on the top" — si trova una massa di maggiore spesa pubblica che si cifra quasi su 2 punti di Pil. Una maggiore spesa che non è ancora obbligatoria per legge, ma che sarà obbligatoria per le leggi della politica. Difficilmente potrà essere coperta con maggiori tasse, difficilmente con maggiori tagli. Dunque, con ogni probabilità, produrrà un extra deficit».

Pensioni. Lei chiede il rispetto della riforma Maroni, un patto che avete firmato sa-pendo che sarebbe stato una eredità da gestire nella legislatura successiva... «Ricordo bene la discussione in Eurogruppo. La ricordo perché credo di avervi conbtribuito sostanzialmente. Si diceva:serve il consenso democratico per le riforme. Un conto è stato nell’800 il “no taxation without rappresentation”, lo scambio contestuale tra sacrificio fiscale e rappresentanza elettorale: un conto è oggi la sfida di chiedere il consenso, non per dare qualcosa, ma per togliere, magari non diritti, ma aspettative, illusioni. È per questo che abbiamo fatto, ancora una volta, una scelta comune: una riforma, proprio perché la vuoi strutturale, non può essere attuale.  Se la vuoi strutturale e attuale hai le piazze piene e il Parlamento contro. Per avere tutto non hai niente.Un periodo di intermezzo, per consentire alla gente di riorganizzare il proprio progetto di vita, e per sdrammatizzare le conseguenze, è stata la scelta vincente. Le riforme per il futuro sono state fatte in tutta Europa: 2010 in Germania, 2008 in Francia, 2008 in Italia. In nessun Paese europeo l’abrogazione delle riforme è entrata nei programmi elettorali. Solo con Prodi, in Italia. Noi abbiamo fatto campagna mantenendo i 6o anni, Prodi ha fatto campagna promettendo i 57 anni. Ricordo il primo “Porta a porta” dopo le elezioni: a D'Alema segnalai il problema. La risposta fu: non si preoccupi, elimineremo lo scalone. Adesso D'Alema scopre che non può manrenere quell'impegno. Ma hapresoi voti. I 24 mila voti della vittoria sono matematicamente fatti dalla promessa sui 57 anni. D'Alema e Prodi sono come quelli che vanno al bar e dicono: «Da bere per tutti». E dopo la consumazione, alla domanda «chi paga?» rispondono: «Voi».

Si parla di un ruolo per Padoa-Schioppa al Fondo Monetario. Che ne pensa? «Perché no. È un uomo di larga e vissuta esperienza internazionale. In fondo, il Fondo è un posto dove puoi tranquillamente dire cose come queste: «Credo che la vita attiva possa durare fino a 80 anni, se regge la salute. Magari il lavoro non sarà sempre lo stesso... come quelle anziane e gentilissime donne che al Metropolitan museum di New York danno le informazioni ai visitatori». Un pensiero profondo, perché limitarsi al Metropolitan? Anche al Plaza, al circolo Whist, perché non spingersi fino alla funzione di guida nei supermercati delle periferie urbane?».