Giulio Tremonti



Rassegna Stampa

- La Repubblica

Tremonti: "Riforma elettorale con l’Unione ma senza toccare la Costituzione"

"Il Quirinale ce l’ha fatto capire: con questo sistema non ci manda certo a votare". "Il referendum non ammazza i partiti-raider. Li moltiplica sotto mentite spoglie".

Giulio Tremonti, alla vigilia del primo anniversario della vittoria elettorale dell'Unione, usa toni para-filosofici per descrivere quella che, a suo avviso, è una deriva non solo politica ma anche culturale del centrosinistra. "Si allarga sempre più il campo della democrazia leggera, delle forme minime del pensiero debole: dalla New age alla diplomazia dei movimenti. Batte sempre più forte il tamburo del nichilismo e sempre più diffusa è l'idea della democrazia come puro complesso di regole formali decampate da valori sostanziali. Tutto ciò sarebbe folclore se non minasse seriamente le basi della democrazia politica. Folclore: ieri la scena è stata dominata dal pensiero "federalista" di Mastella. Con la dovuta simpatia personale per entrambi, questo non è più credibile dell'impegno di Luxuria per la famiglia naturale fondata sul matrimonio". Tuttavia, onorevole Tremonti, è passato un anno dalle elezioni e la maggioranza ha resistito alle tempeste. Voi sembrate camminare ancora con la testa rivolta all'indietro... "Questa legislatura è iniziata male e prosegue peggio, si sta sviluppando come un laboratorio politico negativo, si moltiplicano iniziative contraddittorie e impulsi suicidi. In antropologia si chiama "group fallacy", l'istinto collettivo organico all'errore". In realtà sulla riforma elettorale sembra che il dialogo stia facendo passi avanti. Si può trovare un incontro? "Spero di sì. In questa legislatura il punto di ultima istanza è sulla legge elettorale. Per il cittadino comune la legge elettorale conta poco e interessa ancora di meno. Per il sistema politico è come il Dna ed è per questo che la politica ha insieme il dovere e l'interesse di farla". Perché ritiene così necessaria la riforma? "Nel suo ultimo messaggio il presidente della Repubblica, escludendo il voto con questa legge, ci ha fatto capire che per lui è come se questo Paese non avesse proprio una legge elettorale. Con questa legge non ci manda a votare, non la ritiene idonea". Giovedì si vedranno Chiti e Calderoli, si può chiudere un'intesa? "I materiali accumulati a sinistra e a destra sono sufficienti per una costruzione equilibrata: rappresentanza, bipolarismo, governabilità. Nel caso delle leggi elettorali non è che vai sul monte Sinai e scendi con le tavole della legge. Non è neanche tema da import/export di modelli stranieri. Adatti nel miglior modo possibile i materiali che hai, utilizzando se puoi un disegno collaudato, come quello delle regionali". Casini punta, con il sistema tedesco, a un "bipolarismo mite" che tagli le estreme. Detto così sembra ragionevole. "Con amicizia, ma conoscendo la Germania, credo che in questo disegno si scriva "tedesco" ma si legga italiano: il proporzionale della prima Repubblica. In ogni caso, ed è una verità storica, il sistema politico della prima Repubblica, era super-bipolare. Tra i poli non c'era alternanza ma separazione. Alla variabilità dei governi corrispondeva la assoluta fissità del sistema. Entravi e uscivi dal governo ma non passavi da uno schieramento all'altro, se non attraverso traumi come fu per il Psdi prima e per i socialisti poi. E non era neanche un bipolarismo soft: gli scontri erano nelle piazze e in Parlamento. Negli anni '80, terminata l'esperienza eccezionale del compromesso storico, si condensò, come in un campo di energia statica, un'enorme quantità di forza, che si scatenò alla fine con la soluzione giudiziaria. Non esattamente un bipolarismo soft". Il governo ritiene opportuno procedere anche a due-tre modifiche costituzionali. Siete interessati? "No, la legge elettorale basta e avanza. Se aggiungi anche obiettivi costituzionali i tempi si allungano, i profili di confusione aumentano e, soprattutto, scatta il referendum. Non tutto il semplice è bello, ma tutto il bello è semplice: o la legge elettorale o il caos". Anche nel vostro campo c'è chi, sotto sotto, preferisce arrivare al referendum... "Confido nell'impegno che abbiamo preso dal nostro lato e ho fiducia nell'intelligenza di alcuni uomini di sinistra. Certo, vedo anche che quello elettorale è una specie di campo dei miracoli, popolato da scacchisti, futuristi, mossieri, specialisti di effetti collaterali, guaritori, sciamani". Perché osteggia il referendum? "Per come è strutturato, il referendum produce solo caos nelle coalizioni e perpetua la legislatura almeno per 2 o 3 anni, in attesa della comunque necessaria legge elettorale post-referendum". Non sarebbe già un passo avanti semplificare il quadro politico e depurarlo dalle micro-liste? "Io non credo che il referendum produca un effetto maltusiano, cioè la concentrazione della politica sui grandi partiti, perché alla fine farà proliferare il partiti raider, i partiti "canaglia", che prima chiederanno più posti in lista e il giorno dopo le elezioni si ricostituiranno in gruppi autonomi legittimati dalla Costituzione: senza vincolo di mandato". Calderoli è "entusiasta" della proposta Chiti sul Senato federale. Li vuole mettere in guardia? "L'esperienza insegna che le riforme costituzionali occupano un tempo lungo e un impegno serio, che non coincidono con i tempi del referendum, con la cultura politica che sul federalismo ha il governo Prodi e, soprattutto, con i suoi tempi strategici". Vi siete illusi finora che Prodi fosse un re di carta, invece ha dimostrato di saper durare. "Subendo una radicale mutazione politica: da premier di uno Stato a presidente di una "authority". Fa, su scala ridotta, quello che ha imparato a fare con la Commissione Ue: vede gente, guarda i dossier, parla qua e la, galleggia senza decidere, allarga senza approfondire". Sul caso Telecom sembra di essere tornati all'Italia delle signorie. Tutti contro tutti, poi qualcuno si appella allo straniero che si prende tutto. "Non sarei così pessimista sul sistema industriale e bancario, anche se Telecom è una oggettiva criticità. Da dieci anni. Adesso la sinistra piange perché ha schiacciato il dentifricio fuori dal tubetto e non riesce a rimetterlo dentro, ma chi ha privatizzato con il "nocciolino" dello zero virgola? E chi ha privatizzato insieme la rete e la gestione?". Si dice che la rete sia strategica e non possa essere ceduta. "Non ci vengano a dire oggi che la rete è strategica, perché se lo è nel 2007, lo era anche nel '97. E poi ormai strategico è Yahoo, Google, Youtube, semmai Echelon. In realtà per questi qui strategica non è la rete, sono gli "acquisti"... con quello che consegue". Non c'è altra soluzione che rassegnarsi al fatto che la principale azienda italiana di tlc finisca a un operatore straniero? "L'errore di origine è difficilmente recuperabile. Poteva anche essere giusto il modello France o Deutsche Telecom, quello dei campioni nazionali, ma andava fatto prima. Se cerchi di farlo dopo costruisci solo un campione anti-mercato, violando le regole del mercato. Sul caso Telecom sembrano invece forti le suggestioni in stile Fazio, la nostalgia per una "faziata" retroattiva".