Giulio Tremonti



Rassegna Stampa

- Il Sole 24 Ore

Tremonti: "No allo spezzatino Eni, sì all’apertura delle tlc"

Energia, telecomunicazioni, banche. "Reti", sangue e nervi del capitalismo. Pre-suppongono un'idea dinamica dei confini del mercato, una declinazione moderna del rapporto antico con lo Stato. Intervista di Alberto Orioli.

Non è teoria: è di poche ore fa l'operazione del monopolista Sonatrach che farà del gruppo algerino il primo erogatore di gas in Italia, prima conseguenza dell'applicazione delle regole antitrust di casa nostra. E’ di queste ore la partita sull'assetto di Telecom, uno dei principali gruppi impegnati sulla frontiera delle tecnologie moderne. Per non parlare del mai completato risiko bancario con i gruppi italiani prede e predatori.


GiulioTremonti, 59 anni, vicepresidente di Forza Italia comincia così: «Se il mondo cambia, la politica come visione del mondo non può restare ferma. Deve a sua volta cambiare. Il 9oo è stato un secolo insieme nazionale ed ideologico. Nazionale: le strutture della politica — fossero attive o passive, di pace o di guerra — erano comunque essenzialmente nazionali. Le dinamiche che muovevano queste strutture erano ideologiche. Ideologiche anche in economia. Al principio del 900 lo Stato faceva abbastanza poco. Salvo la guerra. A metà secolo lo Stato inizia a fare di tutto. E solo la fine del secolo che segna il trionfo del mercato sullo Stato».


Nel mezzo, però, c'è la variabile Europa.
L'Europa è da sempre un laboratorio politico. Qui, nel tempo presente, il mercato è sentito e utilizzato come alibi per la non politica. Tanto fa tutto il mercato. All'opposto, intorno all'Europa il mercato e la prosecuzione della politica con altri mezzi. E meglio della guerra — per ora - ma non è esattamente mercato.

Sonatrach e Gazprom e la loro nuova Opec del gas sono i campioni di come si fa politica con l'economia e con una certa idea di mercato.
Si illudeva chi pensava che l'allargamento fosse a una sola direzione. Che non determinasse di riflesso il contro-allargamento. Come si vede in una vignetta dell'Economist l'orso russo è felice di ritornare sulla scena carico di armi e di energia nucleare. La politica e la visione del mondo devono considerare queste dinamiche.

Non basti però una riflessione solo su scala nazionale.
Si sente in giro una certa aria da Chamberlain in Europa, nei palazzi della politica e della commissione. Si pensa: siccome il mercato fa tutto, io non devo fare niente. E questo è un errore storico. «Market if possible, government nazionale o europeo if necessary». L'ideologia del mercato unico non basta E’ ancora necessaria ma non è più sufficiente. Per due ragioni. Primo: perchè il mercato unico non è più l'unico mercato; nell'Europa irrompe la globalizzazione. Secondo: perchè intorno all'Europa non c'è solo mercato. Su un settore strategico come l'energia, mentre noi cerchiamo di costruire il mercato perfetto, intorno all'Europa cercano di costruire l'opposto, il monopolio perfetto. Io non so se chi si occupa di energia in Europa ha una visione strategica; so che le nostre controparti della strategia hanno una visione non solo industriale ma para-militare. Noi competiamo con l'antitrust loro con la Compagnia delle indie olandesi. Noi ragioniamo come mercato, loro come mercantilismo, l'ideologa che nel seicento ha supportato l'imperialismo.

E’ molto aperta la discussione su che fare della rete del gas in Italia. Lei è favorevole allo scorporo di Snam Rg, al cosiddetto spezzatino Eni?
I cuochi sono gli stessi che hanno fatto lo spezzatino Enel. Non mi pare esattamente un successo. Non per i consumatori: abbiamo il kilowattora più caro d'Europa. Non per il mercato: il risultato è stato la competizione del nostro campione, costretto al mercato e impedito sul nucleare, con un campione d'Oltralpe monopolista e nuclearista. In attesa che gli stessi cuochi pianifichino lo spezzatino Gazprom non sembra ragionevole anticiparlo con le spezzatino Eni. Non vedo i vantaggi per i consumatori. Non vedo vantaggi comparativi a meno che per comparativi non si intendano i compari. L'opposto dello spirito politico, anche utopico, che ha portato i Padri europei al disegno della Ceca e dell'Euratom. Oggi vuol dire campioni europei, controparte unica europea dei monopolisti.


Vale anche per le telecomunicazioni?
Io direi no. L'intensità politica dell'energia è altissima, nelle telecomunicazioni dipende. Puoi avere una visione arcaica tipo Iri anni 8o — antenne, cavi, hardware — puoi avere un'idea, diciamo così, meno datata: Google, satelliti, strutture immateriali che non hanno confini. Circola l'idea che le Tlc siano strategiche, quindi di interesse politico, per gli investimenti. Sbagliata. Anche la Fiat è strategica per gli investimenti, ma nessuno ha posto limiti politici sulle scelte dell'industria. E il risultato non mi sembra negativo.

Ma la rete è una sola in Italia ed è chiaro che ha un valore strategico?
Ho l'impressione che dentro i palazzi della politica di strategico non ci sia la logica degli investimenti ma quella degli acquisti. Sembra esserci nostalgia per il lato oscuro dei metodi Iri e il desiderio di qualcosa di più "europeo" tipo Siemens.

Allora porte aperte agli spagnoli?
Non sono come Fassino, Rutelli o D'Alema che ridisegnano il futuro del capitalismo italiano, dalle banche alle assicurazioni. Non ne ho la cultura la capacità. E francamente ho anche un'idea diversa della politica, diciamo, più sui fini che sui mezzi.

Gentiloni ha avvisato: guai a nuovi piani di pubblicizzazione della rete?
Fa piacere apprendere che la lezione Rovati è servita.


Ma Rovati rivendica la vandità del suo piano.
Errare umano, «pianificare» diabolico.


Banche. Campioni nazionali o europei?
Sulle banche ho avuto un unico interlocutore di rilievo: Antonio Fazio. Due posizioni radicalmente opposte: Fazio voleva difendere i campioni nazionali e pensava di poter continuare a farlo "usando" le regole. Io pensavo che i campioni nazionali non dovessero essere difesi, ma creati e che fosse possibile farlo rispettando le regole. Col fine di sostenere la nostra industria all'estero. Per inciso noto che, nell'età delle liberalizzazioni, più che quella dei taxi e dei parrucchieri sul mercato la più grande liberalizzazione è quella fatta rimuovendo la "vecchia" Banca d'Italia. Sono venuti gli stranieri, siamo usciti noi, sono nate le grandi concentrazioni. Da qui inizia il miglioramento delle condizioni per i correntisti. La relativa caduta dei costi bancari non è stata fatta per decreto ma per l'effetto della concorrenza.

Che ne pensa delle liberalizzazioni di Bersani?
Mi ricorda la perestrojka, un metodo in cui non si capiva cosa era statalismo e costa liberta economica. Tassazione e liberalizzazione non fanno rima. Con la tassazione avanza la linea dello Stato e arretra quella della libertà. Soprattutto se alla tassazione si aggiunge la moltiplicazione caotica delle regole e della contabilità. Comunque aspetto di vedere gli effetti della perestrojka: ci ritroviamo tra un anno per vedere se le compravendite di auto e le assicurazioni saranno meno onerose o enormemente più onerose, se i telefonini costeranno davvero di meno o di più, se aprire un'impresa si farà davvero in un giorno o se aprire una partita Iva diventerà come farsi fare una Tac dall'ufficio imposte. Per la conoscenza dei fenomeni giuridici che ho e per l'esperienza di Governo sono arrivato alla conclusione che il nodo di Gordio non si scioglie dall'interno, ma semmai si taglia. Il provvedimento e la liberalizzazione presuppone la parola libertà. In America apri un negozio quando vuoi e dove vuoi, all'ora che vuoi, ma sei anche libero di licenziare, di trasformare. L'atmosfera è carica di libertà. Mezzo minuto d'aria compensato dal soffocamento della tassazione sono propaganda se sei in cattiva fede, illusione se sei in buona fede. Non sono questi i fattori che spingono il Pil. Dovresti dire — e in un Paese come 1'Italia funzionerebbe — e ‘tutto libero tranne ciò che è vietato dalla legge penale. Negli anni 50-6o al tempo del boom economico questa era la realtà. Non puoi avere il cotto e il crudo, il boom e le "norme a tutela". Il resto sono chiacchiere.


Impossibile per una maggioranza che si tiene su un voto. Del resto non siete riusciti nemmeno voi con 100 e più parlamentari di vantaggio.
Nei primi 100 giorni ho fatto padroni a casa vostra, libera ristrutturazione all'interno degli edifici. Ho abbattuto radicalmente gli adempimenti fiscali; ho concretizzato la mia idea delle legge obiettivo per semplificare le procedure per le opere pubbliche. Mercato del lavoro: l'arti-colato fu scritto con Biagi dopo le elezioni, ma prima del Governo. Vogliamo andare avanti?

L'elenco però è noto.

Non so, però, se è tutto davvero noto. La riforma delle pensioni e il secondo pilastro che canalizza i fondi pensione verso il mercato. La liberalizzazione sulle banche, l'ho già citata. La girata semplice delle auto senza notai era nell'ultima Finanziaria, la portabilità del conto bancario era nel programma, poi abbiamo perso le elezioni... In realtà, passando attraverso anni di recessione e di emergenza, abbiamo dovuto concentrarci sull’essenziale. Erano più importanti le pensioni o i taxi?

Comunque ieri Almunia ha detto che l'Italia si sta finalmente allineando all'Europa?
Usiamo un'immagine semplice tratta dall'agricoltura: il raccolto è buono se c'è stata una buona semina e se nel durante il clima è stato favorevole. Se la crescita è buona nel 2007 è perché qualcuno ha seminato tempo prima. E chi legge Il Sole 24 Ore sa che il portafoglio ordini pieno deriva dal fatto che hai viaggiato, lavorato, investito non un mese prima, ma un anno prima o anche più. I tempi della propaganda politica non coincidono con i tempi del lavoro. Alcuni politici tendono a prendersi meriti che non sono propri, ma degli italiani. Tendono a ignorare fatti "climatici" esterni: se l'Europa va bene anche l'Italia va bene, non è mai stato l'opposto.

E’ chiaro che il Paese ha ancora bisogno, come direbbe Prodi, di «essere scrostato».
Prodi a parte, il vero differenziale negativo italiano è dato da due fatti: uno culturale e uno istituzionale. Quello culturale è il '68. L'unica area del mondo dove ci sono ancora effetti del ‘68 è l'Europa e l'area dell'Europa dove è più forte questa "eredità" è l’Italia. Ciò erode le basi di credibilità dello Stato. Che non può fare tutto, ma almeno deve continuare a fare lo Stato. La banalizzazione dell'autorità, la caduta dei principi di gerarchia, la cogestione-codecisione sindacale riducono l'efficienza dello Stato. E questo è un fattore che ci spiazza.

Il secondo fattore spiazzante?
E’ la combinazione tra le leggi Bassanini e il Titolo V. Siamol'unico Paese europeo che per costituzione prevede che le grandi infrastrutture nazionali di trasporto e di energia siano di competenza concorrente regionale. Un conto è "sentire" i territori, un conto è dare al territorio il diritto costituzionale di veto. Tra il '99 e il 2001 l'asse del potere si è spostato in modo irresponsabile dal centro alle periferie causando drammatici effetti di blocco.

A cominciare ad esempio dalla mancata riforma dei servizi locali che nemmeno voi siete riusciti a realizzare.

E’ finanza creativa? Io per primo ho inventato la scissione tra proprietà e gestione delle reti. Era una possibilità concreta di aprire al mercato. L'ho messa nella prima finanziaria, ma poi la riforma è stata bloccata subito per la resistenza dei Governi locali che, nel frattempo, con il Titolo V e le Bassanini erano diventati fortissimi e hanno usato in Parlamento il loro potere di blocco. Questo ostacolo non viene rimosso nemmeno dal disegno del Governo, a parte il curiosum ancestrale e ideologico dell'acqua che non si privatizza. Per l'acqua si pensa che il mercato possa fallire, mentre invece per la luce si considera normale prendere il rischio del regresso alle candele. Acqua a parte la legge codifica lo strapotere dei Governi locali: la regola è la gara, ma l'eccezione alla regola ha una tale latitudine e genericità da essere regola a sua volta, la sanzione potendo venire solo dai consumatori-elettori. Tutto questo è pensiero debole, come la confusione tra acqua e acqua minerale. Un Paese serio si impegnerebbe nella riforma della Costituzione. Un'occasione forse persa. Ricordo che nel referendum tanto demonizzato le reti nazionali tornavano al centro.