Giulio Tremonti



Rassegna Stampa

- Il Foglio

Tremonti ipersarkozista, dagli animal spirits alla battaglia spirituale

"Il secolo dell'economia è finito, si apre la sfida su valori e visione". Servono "autorità, responsabilità e identità".

Roma. Nello scorso fine settimana il professor Giulio Tremonti ha tenuto a Padova una lezione nella scuola giovanile estiva di Forza Italia. Una “lectio socratica” – la leggerete presto sul Foglio – che ha la rarefazione del magistero filosofico e la carnalità della proposta politica. È il prodotto intellettuale di un giurista che ha fatto il ministro del Tesoro (“per caso”) e del vicepresidente del primo partito italiano, guidato da Silvio Berlusconi. Un “discorso spirituale”, come tiene a rimarcare lui, che nasce da una domanda condivisa personalmente con il Cav. – “il nostro problema non è vincere le elezioni, ma vincere la prova del governo” – e che Tremonti anticipa al Foglio attraverso due concetti fondanti che sono altrettanti imperativi: “Portare a sintesi la profondità di una visione aggiornata della storia contemporanea e futura; introdurre materiali coerenti con il nuovo schema individuato”. Questo schema dice che la battaglia delle idee non si gioca più soltanto sulla contrapposizione fra modelli economici differenti, ma si pianta invece nella terra dove si sfidano “visioni alternative della società”. Il che chiama in causa “la storia, i valori, lo spirito”. E pone il centrodestra in vantaggio rispetto alle sinistre orfane di un progressismo in ripiegamento. Su questa linea di confine – suggerisce Tremonti – “la politica sopravvive e si rinnova come dialettica tra consumismo e radici culturali giudaico-cristiane, mercatismo dogmatico e romanticismo inteso come respiro ideale”. In una formula: “Londra o Roma”. Su questo centro poggia la riflessione che Tremonti offre alla maggioranza degli italiani oggi rappresentati da un’opposizione “con un idem sentire” ma ancora disunita e in cerca d’una densità unificante.

Sullo sfondo c’è il rimescolamento d’apparato in corso a sinistra, con il declino prodiano e l’ascesa di Walter Veltroni: un termine di confronto ineludibile rispetto al quale bisogna fare attrito e attrezzare formule nuove e individualità trascinanti. Tremonti è persuaso che “la forza delle idee non è inferiore a quella delle cose e delle sorti individuali”. Ricominciamo dal quesito iniziale: come ci si prepara al passaggio dalla vittoria per demerito altrui alla credibilità d’un progetto di sistema che si ricandida alla prova del governare?

Presupposto teorico tremontiano, di tipo platonico: “La politica è ‘Technè politikè’, arte del governare. Il timoniere d’una nave deve conoscere l’imbarcazione, l’equipaggio, i fondali e le stelle. Palinuro, il nocchiero di Enea, è caduto in mare per l’effetto combinato del sonno e di uno scoglio. Nell’Eneide si legge: ‘Al vacillar del suo legno s’accorse che di guida era scemo e di timone’”. Traduzione per i naviganti contemporanei: “Le carte geografiche non sono più eurocentriche, hanno per centro l’America e forse avranno per centro l’Asia. La bussola, cioè l’intelligenza critica, è rimasta la stessa, ma le rotte si sono estese a dismisura. Se la realtà cambia, la politica non può restare uguale”. Per Tremonti, “viviamo in un tempo paragonabile a quello della scoperta degli spazi atlantici nel 1500 e al senso dell’ignoto di cui parlava Hegel nel 1800”. A rafforzare il concetto, il ricordo di un fondo per il Corriere della Sera scritto dal professore nel luglio 1989, poco prima della caduta del Muro di Berlino. “Era il bicentenario del 1789, l’avvio della costruzione dello stato nazione moderno. Così il nuovo ’89 sarebbe stato l’avvio del processo contrario. Si è spezzata la catena stato-territorio-ricchezza. Lo stato non controlla più la ricchezza che si è finanziarizzata e internazionalizzata”. Insegnamento da trarre: “Diffidate delle vecchie parole chiave, perfino del cosiddetto pensiero unico, del mercato unico e dell’uomo a taglia unica”. Mutata la mappa, “resta la forza spirituale e salta il vecchio meccano mentale, a partire dai dogmi liberali mercatisti”. A questo punto sopraggiunge la sintesi: “La politica vive e rivive, ma oggi la dialettica tra sinistra e destra non sta tanto sul dominio dell’economia, dove si registra una sostanziale convergenza e le elezioni si vincono sul piano empirico, sulle tasse, come insegna Sarkozy, e soprattutto se ti aiuta il governo Prodi”. La prova? Le grandi coalizioni che governano importanti paesi europei e che Tremonti avrebbe voluto in Italia (“Attimo fuggente perduto per l’insufficienza dei riformisti dell’Unione”). Sicché è altrove che palpita il cuore della politica: “Nella distinzione tra visioni della società. Il Novecento è stato il secolo dell’economia, il nostro secolo si apre con la sfida sui valori, come dimostra la questione delle radici giudaico-cristiane. La dialettica non è tra Parigi e Roma, tra i Lumi e il centro spirituale dell’uomo, ma tra Londra e Roma. Londra è il centro d’irradiazione d’un modello la cui essenza è nella banalizzazione dei costumi nei consumi”. Londra è consumismo, Roma è spirito. “È romanticismo, dove il mercato c’è ma non è tutto. Nel 1999 scrissi un articolo intitolato: ‘Questa chiesa ha un grande futuro politico’”.

“La nostra – riprende Tremonti – sarà la vittoria annunciata su una sinistra che sembra un albero dalle radici rovesciate: il progresso non sta più a sinistra, la ragione non segue una logica lineare e ciò che è possibile tecnicamente non è detto che sia lecito moralmente”. Torniamo alla prosa della quotidianità. “Pensi alla crisi dello stato nazione, ai vincoli di deficit che impediscono una politica di sinistra. Prodi ha realizzato una Finanziaria che aumenta la spesa pubblica senza crescita del deficit ma con più tasse”. Ormai il volto della sinistra è veltroniano: “Per il bene dell’Italia spero lo sfidi Enrico Letta, uno che ha studiato a livello internazionale. Quanto a Veltroni, “il vuoto è incolmabile con il populismo leggero e il relativismo. Veltroni frulla Nelson Mandela e Kennedy, Alcide De Gasperi e i Procol Harum. È la versione politica del Truman Show, una foresta di contraddizioni in cui non ci si occupa più di bisogni ma di desideri”. Però il Truman Show può piacere agli spettatori e allora Tremonti cosa oppone? “La rottura con la democrazia dei sindacati universali e dei comitati territoriali. Con la democrazia del ’68. Il nuovo centrodestra deve recuperare molte antiche parole come autorità, responsabilità e identità. Non serve ingegneria sociale per introdurre valori nuovi, dobbiamo difendere quelli eterni”. Esempi: “Lo stato provvidenziale ha convinto l’individuo che, assolto il proprio dovere fiscale, fosse liberato dai doveri sociali. Noi invece conosciamo l’individuo e la famiglia, la comunità e lo stato. Vogliamo reintrodurre la gerarchia nei pubblici uffici, avvicinare il cittadino alla comunità destinando il 5 per mille anche all’ambiente (sia la forestale o siano i pompieri”). Poi c’è l’identità: “Un investimento sul futuro. Se sei forte nella tradizione puoi guardare avanti. C’è gente che vuole dare il voto agli immigrati e gente che pensa a metodi e tempi diversi. I valori non li fabbricano i banchieri centrali ma i padri spirituali. A noi non interessa la ‘orizontal family’ e non ci piacciono i Dico, il matrimonio pop consumato al bancone dell’anagrafe come prodotto a bassa intensità impegnativa e morale, immerso nella solitudine dell’effimero”.