Tremonti: "Immigrati, una riforma che scatena le paure e va fermata"
Aveva detto lunedì Giuliano Amato, cogenitore assieme a Paolo Ferrero della proposta di riforma sull’immigrazione: «Giulio Tremonti è uno che sa leggere, quando avrà letto si farà un’idea diversa».
Giulio Tremonti ha letto, ma non cambia idea. Anzi la rafforza: se il testo uscito dal Consiglio dei ministri non cambierà in Parlamento, si arriverà sino al referendum popolare. Il vicepresidente di Forza Italia, già ministro dell’Economia, racconta il perché, ricordando di essere stato lui il vero ispiratore della Bossi-Fini.
Ha raccolto l’invito del ministro dell’Interno?
«Sì e chiarisco subito che con Amato non ho niente di personale. Una legge non è fatta solo di elementi di grammatica, di sintassi, di tecnica. Nel progetto delegato del governo ci sono pure alcuni passaggi positivi. Ma fondamentali sono il contesto, i messaggi, la quantità di fenomeni che si intersecano e certo anche le pulsioni, le paure. La realtà è fatta anche di irrazionale, e la politica deve tenerne conto. La somma politica che deriva da queste norme è nettamente negativa. Ecco perché, se i nostri emendamenti in Parlamento non verranno accolti, ci opporremo fino al referendum».
Quali sono le paure che l’Amato-Ferrero scatena?
«Se stai bene e ti rubano la macchina per te è solo una scocciatura. Se sei un pensionato povero e ti svuotano il bilocale è una tragedia. Se stai bene tendi a vedere nell’immigrato un domestico, se no uno che ruba il lavoro a tuo figlio. C’è in tutti questi fenomeni una meccanica politica sostanzialmente regressiva. Il messaggio da laboratorio futurista multirazziale che la bozza lancia all’interno del paese, non fa altro che scatenare le paure. Quello che manda all’esterno è di una legge nuova e molto permissiva, di una porta chiusa per anni che si riapre e attrae con forza gli immigrati, rompendo così quel delicato equilibrio che ha caratterizzato sino ad oggi la struttura sociale del nostro paese».
Di che tipo di equilibrio si tratta?
«L’Italia è riuscita ad assorbire molto bene, in appena venti anni, un flusso fortissimo di immigrati, senza un’esperienza coloniale come quella della Francia, della Spagna, dell’Inghilterra e senza una storia come quella della Germania, che nell’ultima guerra ha perso milioni di uomini e ha dovuto richiamare manodopera dalla Turchia e dai paesi europei più poveri. Ci ha favorito la nostra geografia, l’esistenza di ben 8 mila comuni e non di poche metropoli urbane su cui si concentrasse la massa degli arrivi. Vitale è stata per questo equilibrio anche la mancanza di una concentrazione su una sola razza e su una sola religione. Gli immigrati hanno assorbito i nostri livelli di vita, il 90 per cento possiede il telefonino, moltissimi hanno la macchina, diversi comprano casa. Accettano, non rifiutano i nostri modelli. E, da parte nostra, in questo paese non si sono mai registrati episodi di xenofobia».
E non è meglio accelerare l’integrazione, con le seconde generazioni di immigrati che sono ormai fiorite?
«Globalizzazione e integrazione sono processi storici irreversibili. Non puoi metterti di traverso per fermare il mondo. Ma tra destra e sinistra le visioni sono diverse. La sinistra ha una visione futurista: va incontro al futuro. Pensa che la società occidentale debba trasformarsi nel laboratorio sperimentale avanzato della società globale. La visione della destra è diversa, più equilibrata, e si basa sul principio della prudenza: all’immigrazione deve corrispondere il rafforzamento della tradizione. Non puoi fissarti sull’una senza potenziare l’altra. C’è una bella differenza fra un paese in cui tutte le mattine si fa l’alzabandiera a scuola e uno come il nostro, in cui l’idea più prossima all’identità nazionale è quella della Nazionale di calcio».
Pensa davvero che la Bossi-Fini sia migliore della sua riforma?
«Sono stato io a scrivere l’impianto della legge in vigore, che deriva da quella di iniziativa popolare Berlusconi-Bossi-Tremonti, ed era ispirata al principio di prudenza che ho esposto e di cui non vedo dosi sufficienti nella nuova proposta. Il disegno di legge delega del governo ha un carattere ideologico, la cui cifra è “adesso facciamo una cosa di sinistra”. Vuole cambiare la Bossi-Fini non dalla “A alla P”, ma “dalla A alla Z”. Se la maggioranza opporrà un niet a ogni nostro emendamento, sarà inevitabile la strada della consultazione popolare».