Giulio Tremonti



Rassegna Stampa

- Il Messaggero

Tremonti: "Con il Pd il Parlamento non è più leggittimato, subito a votare"

Riforme, no grazie: "Se la ricerca di una legge elettorale presunta ottima ci fa perdere un anno io dico no grazie. Il meglio è nemico del bene"

ROMA — Giulio Tremonti, vicepresidente di Forza Italia, non vuole fare le bucce al governo Prodi o alla sua Finanziaria, parlare di campagna acquisti o del senatore "traditore" della Margherita ingaggiato da Berlusconi.  È il Partito Democratico l'obiettivo. Anzi Tremonti lo ribattezza il «Paradosso Democratico». Veste i panni dell'ideologo che elabora il pensiero e che veleggia ben più in alto dell'ossessivo e martellante slogan che da mesi ha un unico svolgimento, qualsiasi cosa accada: «Via Prodi, elezioni». Figlio della voglia di Berlusconi di tornare a palazzo Chigi. Qual è il problema del Partito democratico? «Assumiamo volentieri che sia tutto vero, che il processo costitutivo del Pd sia quello che dice il Pd: un processo ad altissima intensità politica, un processo di distruzione-creazione. Niente di quello che c'era prima resta, tutto il vecchio scompare e appare il nuovo». Sì, dicono questo. «Che effetti produce questo processo sulla struttura costituzionale e su quella democratica italiana?».

Si dia pure la risposta. «Un vacuum che non s'era mai visto. La catena costituzionale sarebbe spezzata se si realizzasse ciò che Prodi e Veltroni dicono insieme — insieme si fa per dire — quando prevedono che questa legislatura duri fino al 2011. Anche se Veltroni non la dice proprio così...». Perché, come la dice? «Dice tautologicamente e bizantinamente che questa legislatura dura quanto dura questa legislatura. Mentre Prodi pone e si pone una data, Veltroni la salta con destrezza».

Torniamo al punto. Perché è spezzata la catena? «Ci torniamo perché è questo il centro del problema. Nell'aprile del 2006, cioè un anno e mezzo fa e non un secolo fa, i cittadini hanno votato alle elezioni politiche per i partiti, i simboli, i programmi, cioé per Ulivo, Margherita, per i vecchi democratici, per Prodi leader, per Fassino, Rutelli... Ed è su questa base, su questo mandato che si sono fatti il Parlamento e il governo. Tutto è cambiato nei giorni scorsi. Il processo di distruzione-creazione ha spazzato via gran parte di tutto questo e causato un inaccettabile paradosso democratico, una inaccettabile asimmetria costituzionale». Cioè sono cambiate le carte in tavola. «Quello che resta in Parlamento e nel governo rappresenta il vecchio che è stato legittimato dagli elettori ma anche e soprattutto superato dalla nuova macchina politica. E certo non bastano le finzioni o la magia dell'incorporazione, come se il vecchio potesse transitare invariato nel nuovo. Il vecchio è evaporato, non più legittimato, il nuovo non è ancora legittimato».

Ma i partiti nascono, muoiono, si fondono, succede dovunque. «Nelle grandi democrazie occidentali i processi di distruzione-creazione si sono sempre manifestati prima delle elezioni, non durante la legislatura. E se sono avvenuti nel durante, allora hanno portato essi stessi immediatamente al voto. Ma c'è un altro paradosso nel paradosso».

Dica. «L'attività del Pd dovrebbe essere quella tipica di un "movimento", perdipiù extraparlamentare. Secondo Prodi, e di riflesso secondo la sfinge-Veltroni, la missione principale del Pd dovrebbe essere quella di andare in giro per il Paese a fare "movimento". Per di più movimento extra-parlamentare, perché Veltroni sindaco di una grandissima città — addirittura la Capitale — per legge non può entrare in Parlamento. Ecco il paradosso di secondo grado: il Pd non è in Parlamento, il leader del Pd non può entravi. Non esiste una grande democrazia in cui il partito di maggioranza governativa non sta né al governo né in Parlamento, esistendo solo per fare movimento. Quando, definiti i nuovi organici del Pd, saranno chiari i tassi di mortalità dei vecchi politici e di natalità dei nuovi, tutto quanto sopra avrà an-che un'evidenza empirica e non solo ideologica o costituzionale».

Il Pd vuole rinforzare Prodi, lei dice che lo destabilizza. «Bisogna avere un po' di memoria anche per le storie minute: l'accelerazione sul Pd e la candidatura Veltroni ven-gono fuori improvvisamente come risposta alla tremenda sconfitta del centrosinistra nelle amministrative di primavera. In sintesi, l'implosione del governo Prodi e l'apparizione di Veltroni sono due facce della stessa medaglia, l'una ha causato l'altra. E tutte e due portano ad una cosa sola: elezioni politiche».

Eccoci, ci siamo arrivati. «Se non si va a votare, quella che è stata pensata come formula di soluzione, il Pd, produrrà a sua volta una involuzione logorando ulteriormente le istituzioni costituzionali e democratiche del Paese. La paralisi del governo Prodi s'è trasmessa al Parlamento che gira a vuoto; la missione extraparlamentare del Pd affosserebbe ulterior-mente le istituzioni».

Elezioni subito, dunque. «Credo che sia nell'interesse nazionale votare il prima possibile».

Ma con quale legge elettorale? «Se la ricerca di una legge presunta ottima fa perdere un anno, dico no grazie. Il meglio è nemico del bene».

Concludendo, Tremonti? «È un caso tipico di "stop loss", fermare le perdite. Le perdite della sinistra di Veltroni, che sarebbe penalizzata dalla compresenza di Prodi; le perdite dell'economia italiana, che dopo la medicina amara somministrata da Prodi ha visto le tasse salire, l'economia scendere per effetto delle troppe tasse e il deficit rimanere uguale. E infine stop loss per la democrazia costituzionale italiana, per non favorire l'antipolitica».