Giulio Tremonti



Rassegna Stampa

- L'Unità

Tremonti ci contesta: "La nostra non era una riforma con il trucco"

L'onorevole risponde a proposito di conti e di Europa, riassumendo la sua strategia.

Sulla riforma Tremonti - Maroni e sulla revisione dei coefficienti di trasformazione le cose non stanno come dice l'Unità. Parola di Giulio Tremonti. Dopo il corsivo pubblicato ieri su questo giornale, l'onorevole di FI chiede (e ottiene) di chiarire. Nell'articolo si sosteneva che la previdenza servì anche a far passare «sconti» sul deficit eccessivo, e che il differimento del cosiddetto «scalone» al 2008 e il mancato aggiornamento dei coefficienti di trasformazione previsti dalla Dini per il 2005 sono state due polpette avvelenate lasciate in eredità al governo Prodi. Riforme con il trucco. Tremonti non ci sta: «Nessun trucco ai danni di Prodi», replica. Non è vero neanche che oggi - dopo settimane di graticola sulle pensioni per l'esecutivo in carica - lui se la ride sotto i baffi. «Mi limito a dire che non ho i baffi - dice - Credo non sia materia su cui si può sorridere». Abbottonatissimo anche sul suo successore Tommaso Padoa-Schioppa, che pure gli ha riconosciuto una buona finanziaria (l'ultima). «Tra noi c'è un accordo: ne parleremo a un anno dalla caduta di Prodi - dichiara - Lui parla di risanamento epocal, ma il deficit che resta uguale tra il 2006 e il 2008. È il risanamento dello zero virgola. L'extradeficit per l'Iva auto? Glielo riconoscerò pro quota quando incontrerò qualcuno a cui è stata rimborsata l'Iva». Onorevole Tremonti, sulle pensioni però il differimento di data c'è stato... «Nel periodo 2002-2003 in Europa si forma una scelta comune di politica economica: se l'economia va male, i bilanci pubblici non possono andare bene. Cioè a dire: i bilanci pubblici dipendono dall'economia, non fanno l'economia. Conseguentemente è giusto lasciare correre sul margine del 3% i deficit annuali: non si possono fare politiche che aumentano la spesa pubblica, ma non si devono fare correzioni troppo forti. Perché queste restrizioni causerebbero ulteriore recessione. Se non si fanno correzioni marginali, si devono però fare riforme strutturali. La scelta politica comune fu lavoro e welfare». Lavoro e welfare servono per evitare le correzioni? Sta dicendo questo? «No, non sto dicendo questo. Si considerarono dannose forti restrizioni congiunturali, perché avrebbero sortito il cosiddetto effetto Hoover che nei primi anni della grande recessione la causava perché restringeva sempre di più. Tuttavia non si eliminò il vincolo di fare riforme strutturali. Questa è la ragione per cui in quegli anni l'80% del Pil europeo è andato sopra il 3% nel rapporto deficit Pil, ma simmetricamente tutti i Paesi hanno avviato un imponente ciclo di riforme strutturali: dal lavoro al welfare. In questo contesto si fece un'altra scelta». Quale? «La domanda era: come rendere democraticamente possibili le riforme strutturali? Come avere il consenso dei cittadini e dei Parlamenti? Si ritenne che una riforma per essere strutturale non poteva essere attuale: altrimenti si hanno le piazze piene e il Parlamento contro. Diversamente, se si consente alla gente di capire e riorganizzare il suo progetto di vita, si rende più facile acquisire il consenso su un sacrificio». La data del 2008 consentiva ai cittadini di adattarsi? «Quello dello stacco temporale è il motivo per cui in tutta Europa le riforme si chiamano "agenda". La Germania ha l'agenda 2010, la Francia l'agenda 2008-2010, l'Italia 2008. Non c'è stato nessun trucco per i governi destinati a venire dopo. È stata una scelta fatta in tutta Europa da governi di destra e di sinistra, e in nessun Paese le opposizioni hanno messo nel programma di abrogare le riforme. Siccome l'accusa, sia pure sotto i baffi, che mi è stata fatta è stata: è un trucco italiano, io replico che non è così. L'Italia ha fatto come tutta l'Europa». Il centrosinistra non condanna l'innalzamento dell'età, ma l'iniquità dei tre anni in un solo colpo. «Per la verità quando ho letto il programma dell'Ulivo mi è venuto in mente il numero 57 non il numero 60. Io l'ho letta diversa, e come me credo tanti elettori. La mente umana è semplice e risponde a stimoli semplici. Tanto mi sembra ragionevole quello che dico, che una soluzione alternativa ancora non è stata trovata. Se era tutto chiaro agli elettori, dovrebbe esserlo anche per il governo. Tuttavia la riforma perfetta non esiste. Io ricordo che nella Dini non c'era lo scalone, c'era la montagna. Noi abbiamo fatto la riforma che ci sembrava giusta. Quando si fa la riforma delle pensioni non si pensa a prendere i voti: per quello si fa la controriforma. In campagna elettorale, poi, abbiamo ribadito che l'età per noi era 60». E la questione coefficienti? «Ringrazio per la domanda. I coefficienti sono una parte importante della riforma Dini, che FI ha votato. I coefficienti sono un meccanismo importante e disciplinato per legge: non li si può approssimare o inventare. Si possono costruire solo su dati ufficiali Istat. Se si fa un'approssimazione empirica, il decreto va alla Corte dei Conti e i cittadini vanno al Tar. La legge prevedeva il ricalcolo ogni decennio, quindi ‘95-2005. Ma i dati di riferimento per il ricalcolo (Pil, natalità e mortalità) si formalizzano finito il 2005, nel corso del 2006. Dunque, si dovevano aspettare quei dati Istat su natalità e mortalità, dati che a quel che mi risulta ancora non ci sono. Non solo: la bozza deve essere sottoposta ai sindacati e al Parlamento. Mi permetto di far notare che questa tempistica era preclusa essendo il parlamento sciolto. Quello dei coefficienti era un adempimento possibile dopo le elezioni. È suicida accusare il governo Berlusconi di non aver fatto i coefficienti. Perché non li fa Prodi?». Come mai però l'Europa già li incorpora? «Li incorpora perché è una disposizione di legge vigente. Salvo abrogazione di quella disposizione della Dini, l'Ue la dà per applicata. È normale in un Paese normale che la legge venga applicata, non che non venga applicata. Si può avere una sfasatura tecnica transitoria per emanare il decreto, ma si dà per scontato che appena possibile si applichi la legge».