Se si va al referendum è il suicidio della politica
L'ex ministro: la riforma elettorale è l'ultima occasione. Sennò avremo dieci mesi di devastante campagna antipolitica.
Sulla riforma elettorale, professor Tremonti, s'è perso il bandolo. Lei da dove ripartirebbe?
«Molto semplificando, ma credo molto chiarendo, le rispondo che i sistemi elettorali sono di due tipi: di tipo "prima" e di tipo "dopo". Quelli in cui il governo viene indicato prima delle elezioni, quelli in cui il governo viene indicato dopo le elezioni. Nel primo caso il voto è pieno: il cittadino vota insieme Parlamento e governo. Nel secondo caso il voto è dimezzato: il cittadino vota il Parlamento, il Parlamento vota il governo. Se quello politico fosse un mondo razionale - capita a volte che non lo sia... - questa sarebbe la dividente preliminare. Fatta la scelta, il resto consegue in una catena di particolari che hanno un rilievo tecno-politico grande, ma non decisivo».
E lei cos'è, per il prima o per il dopo?
«Io sono per il prima. Non da oggi, ma almeno dal 1999, quando ho presentato in Parlamento una proposta di legge ordinata a introdurre in Italia un sistema elettorale che fosse insieme proporzionale e bipolare. La ragione della proposta, avanzata in un periodo in cui l'opposto sistema elettorale uninominale maggioritario dominava come metafora della modernità positiva, era quella di produrre governi forti e stabili. La governance intesa come fattore vitale per evitare lo spiazzamento competitivo dell'Italia».
In pratica, lei proponeva un modello alla tedesca...
«E' difficile fare import-export di modelli elettorali. E' difficile trasferirli tali e quali. Ogni paese ha la sua storia, ogni paese ha la sua costituzione. A costituzione italiana invariata, la mia proposta introduceva la maggiore quantità possibile di elementi "tedeschi", a partire dalla base di calcolo proporzionale, insieme più stabile e rappresentativa. La variante, rispetto al modello tedesco, era nel combinare la base proporzionale con il principio bipolare. E dunque con il meccanismo del "prima". Tra l'altro, in caso di ribaltone, i partiti ribaltonisti avrebbero perso il finanziamento pubblico e il diritto a ripresentarsi con lo stesso simbolo nella successiva tornata elettorale».
Per Berlusconi tornare alle urne è più urgente della riforma elettorale. E per lei?
«A me Berlusconi è sembrato molto chiaro. Prima va via Prodi meglio è».
Se non va via?
«In quel caso, l'alternativa per mandarlo via è rifare la legge elettorale».
Per evitare i rischi di ingovernabilità?
«Per la verità, l'ingovernabilità non è data dalla legge elettorale, ma del fatto che la sinistra pretende di governare avendo vinto alla Camera solo per 24 mila voti, e avendo perso al Senato per oltre 250 mila voti. Alla Camera il deficit di voti è stato compensato da una finzione giuridica, cioè da un grosso premio di maggioranza. Ma la crisi del governo Prodì indica che i premi non funzionano più di tanto: se non sei reale maggioranza nel paese, se diventi grossa maggioranza solo per finzione giuridica, alla fine la realtà viene fatta dalla realtà stessa. E davanti al crollo di consenso nel Paese non c'è premio in Parlamento che tenga».
Mettiamo dunque che alle elezioni anticipate non si arrivi. Lei è per fare o no la riforma elettorale?
«Una legge elettorale va fatta comunque Prima o dopo il referendum. Meglio prima che dopo. Meglio per tutti. Meglio anche per la politica. Dieci mesi di campagna referendaria vanno visti infatti come dieci mesi di devastante campagna antipolitica».
Addirittura.
«L'antipolitica è fatta di reazione contro i "privilegi" che ha la politica, ma soprattutto di reazioni contro ciò che non fa la politica. I popoli domandano, i governi non rispondono. Non solo in Italia. Se la politica dimostra di non essere in grado di organizzare neppure se stessa, di non fare neppure la sua regola essenziale di funzionamento - la legge elettorale - beh, sarà difficile che al termine qualcuno possa ancora andare in giro a parlare di politica come ministro,segretario di partito, e via dicendo».
Ma la gente, se vede un titolo sulla riforma elettorale, volta pagina...
«Le confermo, è una tentazione che provo anch'io. Ma credo che, per quanto sia materia fredda e poco popolare, che entusiasma solo gli addetti ai lavori - scacchisti, analisti, sciamani, guaritori -, la riforma elettorale sia l'ultima occasione per la politica di dimostrare la necessaria serietà. Io credo che il tempo della riflessione stia ormai scadendo. Credo che sia arrivato per tutte le parti politiche il tempo per mettere in chiaro le loro proposte e per metterle insieme costruttivamente».
Però ci sono leader che sul referendum hanno puntato forte. Fini, ad esempio...
«Fini ha onestà intellettuale. Ha sempre sostenuto che il referendum non era un fine ma un mezzo per accelerare la legge elettorale. Se è così, se al referendum si attribuisce una funzione di forcipe, va bene. Se invece si pensa al referendum come medium per sembrare più "moderni", o per prendere qualche ipotetico vantaggio elettorale, io credo che il bilancio tra stimati e strumentali benefici da una parte, e dall'altra i generali malefici che deriverebbero alla politica da una lunga campagna antipolitica, sia un bilancio negativo. La tendenza di quei politici che vedono nel referendum non una spinta a fare bene, ma una speranza di ritorno per la propria parte, a me ricorda la tendenza al suicidio dei lemmings...».
Quei roditori che, secondo una la leggenda, si gettano in massa nel mare?
«Sì. Nel mare dell'antipolitica»,