Per Tremonti il Pd è un'occasione perduta
"Il partito democratico è una grande chanche, un cantiere aperto cui guardo con interesse, perché vedo con favore la costruzione di un soggetto il cui fine sia la rigenerazione della sinistra".
«Il Partito democratico è una grande chance, un cantiere aperto cui guardo con interesse, perché vedo con favore la costruzione di un soggetto il cui fine sia la rigenerazione della sinistra. Purtroppo il Pd nasce vecchio, proiettato nel passato, legittimato solo dalla continuità della tradizione comunista e nel momento di massima crisi della cultura di governo della sinistra». Giulio Tremonti sintetizza così, con l'occhio dell'avversario attento alle manovre nel campo altrui, la più importante operazione di ingegneria politica in corso nel paese. E nella sua conversazione col Riformista si muove intorno ai nodi politici sollevati dalla fondazione del Pd tra tassonomia e ironia, aneddotica e politologia, quasi sospeso, il vicepresidente di Forza Italia, tra il desiderio di immaginare per il Pd un finale diverso e la convinzione che il film è ormai già girato, montato e probabilmente destinato all'insuccesso,
«Leggendo i giornali di oggi (ieri, ndr) - dice Tremonti - ho trovato due notizie di rilievo, la notizia di un viaggio e la notizia di un sondaggio. Il viaggio è quello nei gulag annunciato da Piero Fassino. II sondaggio è quello di Renato Mannheimer che dà il Pd sotto il 25 per cento. La prima riflessione che ne ricavo è che per Fassino il revisionismo è l'unica utopia possibile. La sua massima espressione di proiezione nel futuro è il ritorno al passato e la massima forma di novità è ripercorrere l'antichità».
Fassino rimarca la distanza da un passato che in tanti continuano a rimproverargli e Tremonti per primo dovrebbe rallegrarsene. Tremonti non si rallegra e cita un aneddoto: «Quando chiesero a Zhou Enlai un giudizio sulla rivoluzione francese, disse: “È troppo presto”. Quello che in Cina è troppo presto, in Italia è troppo tardi. Vede, chi è nato dopo gli anni Sessanta, per effetto della accelerazione del tempo, appiattisce su un'unica dimensione la seconda guerra mondiale, la seconda guerra d'indipendenza e la seconda guerra punica. Perché sono tutti eventi appartenenti alla storia. E della storia si può fare un doppio uso. La storia come esperienza, che è anche un valido metodo di analisi politica: leggi un libro di storia e sarai sempre aggiornato. E la storia come simbolo, che invece va maneggiata con cautela. Chiunque è in contatto con la realtà vede che la simbologia di Fassino è fredda, è cold come si direbbe nell'Internazionale socialista e non cool, come direbbe Tony Blair».
Quindi il vicepresidente degli azzurri passa al sondaggio. «Mi viene in mente un vecchio motto della socialdemocrazia a proposito di aggregazioni tra partiti, che dice che questi processi non sono mai la semplice somma di scrivanie e macchine da scrivere». Ma non crederà davvero Tremonti che il Pd sia al 23 per cento. Significherebbe che il centrosinistra tutto arriverebbe al 35 per cento. «In questi casi se non c'è la combinazione addizionale di idee nuove la somma è sempre inferiore agli addendi, il risultato è l'arretramento». Inserire Bettino Craxi tra i propri riferimenti non è una novità? «Il pantheon non può essere fabbricato come magazzino cronologico di busti, come somma acritica e asettica che mette insieme vittime e carnefici, i giusti e gli ingiusti. Il pantheon deve essere un laboratorio autocritico».
Però il centrosinistra discute, elabora, si accapiglia sulle regole e l'identità del nuovo partito. Non è un segno di vitalità? «Il problema non è la forma-partito ma da cosa è dominato il processo unitario. E la dominante è la linea storica del comunismo come fonte di legittimazione salvifica e benevolente, da cui discende una fusione per incorporazione degli altri pezzi». Veramente i popolari sono in piena riscossa e la sinistra ds se ne va proprio perché rimprovera a Fassino e D'Alema di aver svenduto ogni continuità storica della sinistra italiana. Per Tremonti non è questione di bandiere, ma di forma mentis: «Paradossalmente - dice - chi come Mussi agita nostalgicamente i simboli del passato è forse più comprensibile di chi come Fassino conserva il meccano mentale di quella tradizione. Se vuoi fabbricare una nuova entità politica non è sufficiente peregrinare per sdoganare anche i vecchi materiali, per giunta tardivamente, ma occorre costruire simboli nuovi, comprensibili nel presente e proiettabili nel futuro. Nel 1996 la creazione dell'Ulivo era, agli occhi di un os-servatore del centrodestra, un esperimento temibile. Da allora è stato tutto un gioco a perdere pezzi, si è smarrito ogni carattere di innovatività e si è verificata la non sommabilità delle componenti rimaste». Lo si può vedere anche all'opposto: quello che nel 1996 era un calderone di sigle, culture, orientamenti anche molto diversi è diventato negli anni il progetto di un partito di massa ma omogeneo, di solido impianto riformista, capace di marcare le distanze dalla sinistra radicale. Un progetto molto più ambizioso dell'Ulivo del 1996. «L'Ulivo - ribatte il leader forzista - aveva la forza del nuovo, al Pd manca il pensiero. Bisogna parlare alle menti e ai cuori di un paese, e talvolta anche alle viscere. Oggi la nascita del Pd, così fatta, ha un solo effetto sostanziale e simmetrico, allargare e radicalizzare la sinistra».