Giulio Tremonti



Rassegna Stampa

- Corriere della Sera

La tv pubblica torni a diffondere sapere

Tremonti: rifaccia i Promessi Sposi, l’Italia progredisce se la Rai forma le persone. Intervista di Sergio Rizzo.

ROMA - Giulio Tremonti riconosce che «la cifra costante che ha caratterizzato per mezzo secolo la sinistra nella sua lunga marcia verso il governo è stata sempre la cifra "istituzionale": the rule of law». Ma per il vicepresidente di Forza Italia qualcosa con il governo Prodi e infine con il caso Rai è profondamente cambiato: «La variante introdotta da questo governo è il degrado della cifra istituzionale, il disprezzo della rule of law». Disprezzo, addirittura? «La Legge finanziaria e i provvedimenti ad essa collegati sono costellati da norme extrasistema che costituiscono abusi. Secoli fa si chiamavano spicilegi». Leggi speciali: non era finito da un pezzo quel tempo? «La legge Bassanini ha introdotto nella funzione pubblica i contratti privati. Si può essere d' accordo o no con questa impostazione. Io per esempio ho espresso la preferenza per lo status pubblico: se lo Stato non fa lo Stato, che cosa fa? Ma se c' è una scelta generale la devi rispettare. Non si può fare di colpo un provvedimento che cambia il regime azzerando quei contratti». Ma non è successo questo con la Rai. «Anche qui è una questione di rule of law. L'ex presidente della Rai Roberto Zaccaria ha esercitato le sue funzioni per tutto il tempo del suo mandato. Nessuno in quel caso pensò di applicare provvedimenti di revoca». Forse perché non ce n' era bisogno. «La verità è che per mezzo secolo la rule of law è stata rispettata dalla sinistra non soltanto nella sostanza, ma anche nella forma. Da parte della vecchia sinistra era non solo rispetto della regola di legge vigente, ma anche calcolo lungimirante sul presupposto che il governo potesse essere finalmente conquistato anche da parte della sinistra e poi, se perso, nuovamente conquistato all' interno di un circuito democratico finalmente normalizzato». Non siamo quindi un Paese normale? «La discontinuità con questa linea si manifesta con il governo Prodi, con il passaggio dalla visione di lungo periodo a una visione corta, dominata dalla paura di perdere tutto. Chi ha dimenticato la frase famosa di Prodi: "Se cado si va all' opposizione per sessant'anni"? Di qui il passaggio alla strategia dell' occupazione totale. Aggiungo che se il presupposto è questo sarà difficile arginare le controspinte». Minaccioso... Anche la sinistra riconosce a Tremonti di non essersi fatto sedurre, quando era al governo, dal Manuale Cancelli. Ma non è che nella passata legislatura siano accadute cose meno efferate. «Ciascuno risponde nei limiti delle competenze che ha avuto. Personalmente ho sempre pensato che fosse il caso di privilegiare le capacità, la moralità e, perché no, anche la giovane età. Ho un' idea dello Stato che mi porta a valutare se uno può essere o non un buon servitore dello Stato anche se non vota per la mia parte politica. Il fatto che la sinistra me lo abbia riconosciuto mi ha fatto oggettivamente piacere. In fondo ho fatto su scala diversa quello che adesso si comincia a fare in Francia». Veniamo al caso. Il ministro dell' Economia Tommaso Padoa-Schioppa ha revocato il consigliere Rai del Tesoro Angelo Maria Petroni, nominato dal precedente governo, perché l' azienda non funzionava più. Era nel suo potere. «Petroni, che pure stimo molto, non è stato nominato da me. Dagli atti emerge che il ministro non si è mosso sulla linea privatistica, ma pubblicistica emettendo un provvedimento d' autorità che è un vero e proprio contrarius actus». Scusi? «Come ti nomino, ti snomino. Da alcuni secoli i provvedimenti d' autorità devono essere motivati. La motivazione adottata è la tipica motivazione suicida». Mi spieghi il harakiri. «Il ministro ha detto che avrebbe fatto ciò che non poteva: azzerare l' intero vertice aziendale a causa della situazione economica della Rai. Non ha fatto invece quello che poteva fare su questo presupposto, estendere il contrarius actus anche al direttore generale e al presidente, revocando pure loro. Non lo ha fatto». Ma dove sarebbe il suicidio? «Sul filo della ragione, il ministro doveva trovare l' esistenza di un nesso tra la condotta soggettiva di un singolo consigliere e l' effetto di criticità oggettiva della Rai. Avendo esternato sull' intero consiglio, si è suicidato sul singolo consigliere». Lui dice che l' azienda era paralizzata. «Fuori dagli opportunismi, la verità è che da oggi in poi si potrà applicare a tutte le imprese pubbliche: vedo una criticità, revoco di colpo il consiglio. Ho conosciuto il ministro come civil servant, credo che in questo anno di impegno politico abbia perso l' aggettivo conservando solo il tristo sostantivo». Non crede che la colpa di quanto è accaduto sia anche di una legge che ha definito per la gestione della Rai delle regole insensate? «Adesso forse la sorprenderò». Forza. «Condivido l' idea di mettere la proprietà della Rai in una fondazione». Approva il progetto del ministro Paolo Gentiloni? «Nel 1995 ho scritto un libro che si intitolava Il fantasma della povertà». E che c' entra questo con la Rai? «In quel libro c' era l' idea dell' uso pubblico dei mezzi di informazione pubblici per accrescere la ricchezza del Paese attraverso la formazione. Ricorda le tre i?». Inglese, impresa, informatica, quelle? «Già. La Rai avrebbe dovuto e dovrebbe accrescere enormemente la sua funzione pubblica nel dominio del sapere. Nel dopoguerra la tivù di Stato è stata un elemento determinante nel progresso dell' Italia e deve tornare a essere quello». «A come agricoltura», il maestro Manzi di «Non è mai troppo tardi»... Poi però da lì si è passati prima a «Rischiatutto» e infine ai pacchi di «Affari tuoi». Deprimente. «Forse nel 1995 l' idea era un po' visionaria, ma ora i tempi sono maturi perché si sviluppi. L' imparzialità dell' informazione è necessaria, ma non sufficiente. La Rai deve andare oltre l' informazione per fare formazione pubblica. Faccio un appello ai politici, al mondo della cultura, agli attori, perché la Rai torni a essere uno strumento straordinario di formazione e di arricchimento degli italiani». Come ai tempi dei grandi sceneggiati, il «Mulino del Po», o i «Promessi Sposi»... «Ha centrato l' obiettivo. Non faccio il regista, ma il politico. Non so come si costruiscono le storie, ma capisco che questa è la grande occasione per il mio Paese. I politici devono avere una visione: le visioni possono essere discutibili, ma se non ci sono quelle i politici devono cambiare mestiere. A questo punto la parola deve passare al mondo della cultura. Che escano finalmente dal silenzio. E dicano davvero la loro sulla Rai del futuro e dell' Italia. L' esplosione dell'America non è avvenuta anche via Hollywood?».