"La nuova legge elettorale si farà. Basta maggioranze girevoli"
Il vicepresidente di Forza Italia: la grande coalizione? La proposi io ma temo che per lungo tempo sarà impossibile realizzarla.
ROMA - «Necessaria, ma non sufficiente». Così Giulio Tremonti considera una nuova legge elettorale. Che comunque, confida, «si farà». Anche perché il referendum, ritiene il vicepresidente di Forza Italia, «non risolve i problemi» di un Paese dove il potere è ormai, dice, in «dissoluzione». Al seminario su politica e antipolitica organizzato domani dall' Aspen, associazione tradizionalmente sede di confronto bipartisan sui tempi più spinosi, il suo presidente, Tremonti, è pronto ad alzare l' asticella del confronto con l' opposizione. Partendo dalla seguente affermazione: «In questo principio di secolo nell' Europa continentale la questione del potere dei governi è divenuta centrale. I popoli chiedono cose che i governi non sono più in grado di garantire. Nell' altro secolo la democrazia serviva per limitare il potere dei governi, per ridurre il rischio di eccessi. Adesso è il contrario, non una questione di eccesso, bensì di deficit di potere». Anche in Italia? «Credo che l' Italia rappresenti un caso particolare, ma in un contesto generale. Se uno guarda la carta geografica dell' Europa continentale, vede che la meccanica politica si sviluppa e accelera sulla questione del potere. La democrazia deve rimanere ma il potere dei governi deve crescere proprio per conservare la democrazia con risposte più efficaci alla domanda che viene dai popoli. Le dinamiche sono essenzialmente due: o il potere viene concentrato orizzontalmente o viene incrementato verticalmente». Che differenza c' è? «La concentrazione orizzontale del potere si ha con le grandi coalizioni. Da eccezione tedesca, questa sta diventando la formula democratica prevalente in Europa. Dalla Germania all' Austria, all' Olanda...» E qual è la sua spiegazione? «Le crisi sociali ed economiche prodotte dai fenomeni straordinari che da fuori investono l' Europa continentale, sempre più vecchia, sempre più spiazzata, non possono essere risolte con formule ordinarie, con il 50 virgola zero qualcosa per cento. Se vuoi un governo che sia insieme democratico ed efficiente metti insieme su un' agenda economico-sociale comune la maggioranza e l' opposizione. La destra e la sinistra». Così la grande coalizione non è solo la fine del bipolarismo, che inseguiamo da più di dieci anni, ma anche della politica per come l' abbiamo sempre intesa. O no? «No, affatto. In Europa la grande dividente tra destra e sinistra non è più sul modello di economia, visto che più o meno tutti convergono sull' economia di mercato, ma è sulle diverse visioni della società. E qui la politica prosegue nella dialettica tra destra e sinistra. La differenza è sui valori, sui principi, sulle identità, sul concetto di progresso, sui limiti della ricerca. Non per caso le grandi coalizioni mettono in comune i temi economici e sociali lasciando fuori gli altri». Italia a parte, restano comunque in Europa significative eccezioni dove questo modello non riesce ad attecchire. Per esempio la Francia. «Dove si sta sviluppando un fenomeno nuovissimo: l' incremento verticale del potere. Per Nicolas Sarkozy o per la sua politica non basta una vittoria al 53%, non bastano neppure i poteri del presidente della Repubblica francese, che sono come i poteri del presidente della Repubblica italiana sommati a quelli del capo del governo italiano. Se è permessa un' immagine, le prerogative che ha Napolitano più quelle che aveva Berlusconi». Pura ingordigia di potere? «No. Soltanto che per fare una politica efficace Sarkozy pianifica il passaggio dalla Quinta alla Sesta repubblica, intesa questa come sistema costituzionale capace di reggere la sfida della modernità. La dinamica politica tedesca è orizzontale, quella francese è verticale. Entrambe sono democratiche. Entrambe proprio per essere democratiche aumentano il potere dei governi. Più potere ai governi a fronte di più domanda di governo che viene dai cittadini». E la dinamica italiana, com' è, geometricamente parlando? «In Italia c' è la dinamica opposta. Non la concentrazione, non l' integrazione, ma la dissoluzione del potere. Le nostre istituzioni si stanno consumando per interazione reciproca. La debolezza del governo si trasmette al Parlamento e la debolezza del Parlamento si trasmette al Paese. Prodi mi sembra un disperato che guida un autobus tenendo per ostaggio un pezzo della classe politica e quel che resta delle ideologie del Novecento». Forse quell' autobus è anche costretto a guidarlo, non crede? «È difficile dire dove si ferma il patetico e dove inizia il tragico, perché in realtà sull' autobus non ci sono soltanto i suoi compagni di viaggio destinati a restare senza ritorno: chi sarà rieletto, quanti saranno rieletti? Sotto l' autobus ci sta finendo tutta l' Italia». Difficile attribuire la dissoluzione del potere soltanto a Prodi, che è al governo da poco più di un anno. Per cinque anni, prima di lui, ci sono stati il governo di centrodestra e un' altra maggioranza politica. Per inciso, la sua. «Concordo. All' intensità di questa dinamica degenerativa non corrispondono certo solo causalità uniche o solo causalità semplici. Ma c' è un punto essenziale, che è una responsabilità personale morale di Prodi e del suo governo». Che c' entra adesso la moralità? «Prodi non ha indicato soluzioni precise, ma si è presentato agli elettori con un programma fatto da un preciso elenco di grandi problemi. Non ha vinto, ha pareggiato, ma ha preteso di governare lo stesso. Ha preteso di governare grandi problemi con minimi numeri: lo zero virgola zero qualcosa. Questa è la profonda amoralità politica, l' avventurismo che caratterizza il governo Prodi. Questa è la causa della paralisi in atto. L' unica cosa che si muove nella politica italiana è la dissoluzione». La legge elettorale varata dal centrodestra viene indicata anche all' interno dell' opposizione come la causa principale dell' ingovernabilità. Il referendum è un rimedio? «La colpa non è della legge, ma della mancata vittoria. Se hai più 24 mila voti alla Camera ma meno 200 mila voti al Senato non c' è legge elettorale che trasformi un vuoto in un pieno. In realtà, mentre negli altri Paesi all' intensità dei problemi politici corrispondono proporzionalmente la novità e la serietà delle soluzioni in campo, in Italia è l' opposto: i problemi sono più gravi, ma le soluzioni più deboli. Il referendum stimola il Parlamento, ma non risolve il problema dell' asimmetria di maggioranza fra Camera e Senato e non elimina i partitini con la soglia di sbarramento. La Costituzione garantisce agli eletti un mandato senza vincolo. È così che i partitini prima si immergeranno nelle coalizioni più grandi e poi riappariranno in Parlamento nella forma di gruppi-partito». Per questo bisogna cambiare le regole. Non crede che a questo punto sia una strada obbligata? «Credo che, referendum o no, la legge elettorale sia necessaria e tuttavia non sufficiente. Per avere governabilità è necessario che il voto politico si concentri su di una forza dandole una vittoria molto marcata. Sono convinto che gli italiani siano intelligenti ed esprimano con una buona legge elettorale un voto intelligente. In fondo l' Italia è un Paese di centro che tende a destra e se uno legge i titoli delle prime pagine dei quotidiani, tanto di politica quanto di cronaca, vede che di fatto macinano voti per il centrodestra». Secondo il suo schema, un Paese ideale per la grande coalizione. «Pur avendola proposta per primo nel 2004 credo che per lungo tempo in Italia sia impossibile una grande coalizione. Infatti la sinistra antagonista è troppo forte, troppo attrattiva, troppo competitiva verso la sinistra governista». Allora non resta che imitare Sarkozy. «Difficile anche questo. E tuttavia basterebbe una vittoria marcata per una delle coalizioni in campo. La Francia tenta il passaggio dalla Quinta alla Sesta Repubblica, noi non siamo stati in grado di cambiare la Costituzione della Prima. L' errore storico è stato contrastare con il referendum del 2006 la nostra riforma costituzionale. Uomini illuminati e disinteressati come Piero Ostellino, Sergio Romano e Angelo Panebianco l' avevano invece sostenuta, pur prospettandone necessarie modifiche, possibili a valle. Forse il punto di partenza e forse la speranza è negli uomini di buona volontà». Auguri. Temo però che senza una nuova legge elettorale si faccia comunque poca strada. «Nel 1998 ho fatto una proposta di legge basata sul modello tedesco. Non per caso era intitolata: "O il Cancelliere o il caos". Non era il modello tedesco perfetto. Non lasciava spazio a ipotetiche maggioranze girevoli. Era fortemente bipolare perché prevedeva il collegamento dei partiti a un candidato presidente ed escludeva i ribaltoni togliendo ai ribaltonisti i finanziamenti pubblici e i simboli elettorali». È applicabile ancora oggi? «Sì, in teoria. In concreto, mi sembra più realizzabile la riforma cosiddetta D' Alimonte, che elimina il rischio di maggioranze asimmetriche fra Camera e Senato».