Il mercatismo non funziona, ma superarlo è possibile
Tremonti su "Area": la globalizzazione ha creato lavoro fisso in asia e precariato in Europa.
Pubblichiamo ampi stralci dell'intervista a Giulio Tremonti, uscita sull'ultimo numero del mensile Area, diretto da Marcello de Angells. L'intervista è inserita in uno speciale dedicato al futuro del nostro Paese dal titolo: «Un'altra Italia è possibile. Da Orvieto all'Officina del programma, verso la conferenza programtnatica di An». Lo speciale presenta anche un'intervista a Sergio Romano dal titolo: «Gli italiani devono reimparare cos'è l'interesse nazionale». Infine, Giano Accame in «Processiamo gli anni '90» mette sott'accusa le fallimentari privatizzazioni compiute dai governi Prodi, Amato, D'Alema o dai governi tecnici retti da banchieri con l'appoggio del centrosinistra.
Il sistema economico mondiale è in piena rivoluzione: la liberalizzazione del mercato dei capitali e del lavoro, i processi di automatizzazione e di informatizzazione, le privatizzazioni e la deregulation in settori precedentemente riservati al monopolio statale, sono fenomeni che stanno generando profonde lacerazioni nel tessuto sociale ed economico di ogni Paese. Nell'evoluto Primo Mondo si torna a fare i conti con "il fantasma della povertà". Ne parliamo con il professor Giulio Tremonti, che a questo tema aveva dedicato già nel 1995 un testo profetico (appunto Il fantasma della povertà), seguito da un volume, che ha accompagnato il suo rientro nel dicastero dell'Economia nel 2005, dal titolo Rischi fatali. L'Europa vecchia, la Cina, il mercatismo suicida: come reagire.
Dalla caduta del muro di Berlino abbiamo assistito a una fase caratterizzata dall'interventismo umanitario e da una visione quasi messianica di un sistema di mercati finanziari e del lavoro intercomunicanti. I padri fondatori del "mondo globale" ci avevano promesso che tutto ciò avrebbe dischiuso una nuova età dell'oro... Il mercatismo non funziona e “l’età dell'oro” che avrebbe dovuto portare non esiste. O è ancora da venire. Il "precariato" si allarga e mina le basi della nostra società. Meno strutturalmente, guardi quanto costano un chilo di pasta o un litro dì benzina. Si sta diffondendo il dubbio critico ormai anche negli ambienti finanziari e politici. La sinistra combatte contro le leggi sul lavoro. È una battaglia solo strumentale. Lascia fuori la questione centrale, che è strutturale. E non è solo italiana. Negli anni ’80 avevamo meno cose materiali, ma più speranza. Poi tutto é cambiato, negli anni ’90 con la globalizzazione. Il "nemico" non è la legge e comunque non è la legge italiana. La "precarietà" non è un male legislativo o un male solo italiano, per cui cambiando in Italia un governo o una legge tutto si risolve. Strutturalmente a partire dagli anni '90, con la globalizzazione, i capitali si sono mossi da Occidente a Oriente alla ricerca di manodopera a basso costo. L'hanno trovata in Cina, in India. È cosi che si sono creati lavoro fisso in Asia, precariato fisso in Europa.
Ma come è potuto accedere tutto questo? Per la globalizzazione non erano sufficienti il proletariato esterno, l'esercito di riserva fatto dalla manodopera orientato a basso costo, e neppur gli spiriti animali liberali nel mondo diventato piatto od i computer, le tecnologie informatiche in grado di spo-stare in tempo reale immense masse di capitali. Serviva una nuova ideologia. Ingegneria genetica della politica ha tratto dai cadaveri "eccellenti" del comunismo e del liberismo un nuovo Frankenstein: quello che ho definito come mercatismo. Un mondo unico, un mercato unico, un pensiero unico, un uomo a taglia unica, la forma - nuova e assoluta e di un nuovo materialismo storico... E quindi di un errore unico...
Ma dove sta andando oggi il mercalismo? Per fortuna questo apparato ideologico sta entrando in crisi. E i sintomi sono molti e in crescendo. Per cominciare il fatto che l'ingresso e il ruolo della Cina nel mercato globale oggi non siano più percepiti come un valore assoluto. In questo senso c'è un crollo di affidabilità e di popolarità della Cina e, con questa, della globalizzazione. Conseguentemente le azioni del “free trade” sono in caduta libera, mentre salgono quelle del “fair trade” (commercio Corretto, ndr). La gente non vuole più “free trade” ma “fair trade”. Ne parlavo già nel 2001, sostenendo che l'assolutismo del libero commercio doveva essere in qualche misura moderato. Sul principio ci fu un certo accordo. Il problema era l'espressione “fair trade”, che negli Stati Uniti significa dazi e quote: troppo protezionistica. Così è passata la formula "rules based trade". Commercio basato sulle regole. Nel mondo d'oggi, le regole che contano sono le regole sociali e ambientali. Il secondo sintomo è individuabile nella creazione e nell'azione dei cosiddetti "fondi sovrani", dove l'aggettivo ha di fatto cancellato il sostantivo: si tratta di specie capitalistiche nuove, che sono veri e propri strumenti statali. Un terzo sintomo è quello relativo all'energia, sempre più strategico: in Europa stiamo creando il mercato perfetto, mentre intorno all'Europa si crea il monopolio perfetto. Gazprom è una corporation o una nuova "Compagnia delle Indie orientali"? [...] Poi c'è quello che sta accadendo nel settore agricolo: i prezzi dei cereali schizzano in alto per la crescita della domanda di India e Cina, dove sono usati come mangime, e perché c'è chi lì trasforma in carburante. Per suo conto l'architettura agricola europea sta diventando un vero e proprio assurdo, come un albero piantato al contrario. Infine, sintomo dei sintomi, l'attuale crisi finanziaria. Crisi finanziaria che senza l’intervento pubblico, avrebbe potuto avere ben altre conseguenze... La tecnofinanza ha alimentato la globalizzazione, sostenendo tra l’altro la domanda del consumatore americano. Consentendo di incorporare il rischio in prodotti e di cederli sul mercato ha creato l’illusione di far scomparire il rischio, invece lo ha moltiplicato. E così i primi a non aver più fiducia dei banchieri sono proprio i banchieri. E ciò ha fatto prima rallentare e poi drasticamente ridurre i prestiti interbancari. Conseguentemente è venuto meno il sangue all’interno del sistema arterioso. Le trasfusioni le fanno le banche centrali. In realtà è proprio il ruolo delle banche centrali, e quindi del settore pubblico, che deve spingerci davvero a un’analisi politica diversa da quelle convenzionali. La mano pubblica si è sostituita alla mano privata. Lo Stato ha salvato il mercato insomma.
Qual è la ricetta che lei propone per superare la crisi del mercatismo? La realtà è del tempo presente spinge ad uscire da posizioni dominate da un elevato furore ideologico e da un approccio dogmatico: il comunismo, il mercatismo. È il ritorno del liberalismo in senso storico: market if possible, government if necessary.
E sul piano dei valori? Il problema non è più quello di creare, come in un progetto di ingegneria sociale e di mutazione genetica, valori nuovi e post-moderni. Come ha fatto ma non può più fare la sinstra. Il nostro problema, in una età di crisi universale, è quello di conservare valori che per noi sono eterni. Non i valori dei “banchieri centrali”, per esempio. Ma i valori dei nostri padri spirituali, valori personali e universali. A ciò deve aggiungersi la difesa dell’identità, che è la difesa delle nostre diversità tradizionali, storiche e basiche: famiglie e piccole patrie, vecchi usi e costumi, vecchi valori. Nel profondo c’è qualcosa di molto più intenso che una parodia bigotta della tradizione.