Grazie Prodi, grazie Pd
"Il governo non durerà fino al 2011. Si voterà sicuramente prima". Il profeta è Giulio Tremonti, e sa anche chi vincerà: "Berlusconi". Ma il merito, dice lui, più che del centrodestra, sarà del centrosinistra al governo, dei suoi progetti e delle sue divisioni.
«La vera sfida non sarà vincere le elezioni, quelle le vinciamo: la vera sfida sarà governare. I problemi per la Casa delle Libertà cominceranno dal giorno dopo il voto, e noi dobbiamo preparare fin da ora soluzioni credibili per le grandi questioni che il Paese si troverà davanti dopo il fallimento del governo Prodi». Giulio Tremonti, professore alla facoltà di Giurisprudenza all'Università di Pavia, ministro delle Finanze del primo governo Berlusconi e dell'Economia del secondo, vicepresidente di Forza Italia, non ha dubbi: il futuro è del centrodestra e non c'è niente — il Partito democratico, un nuovo leader — che il centrosinistra possa fare per correre ai ripari. All'esecutivo riconosce un solo merito: quello di aver rinunciato ad alcune parti del suo programma originario, come le modifiche alla legge Biagi; quello, insomma, che non ha fatto.
Allora, professore, va bene che è un leader dell'opposizione, ma perché tanta ostilità? «È stato amorale e avventurista da parte di Prodi essersi presentato agli elettori con un serio elenco di grandi problemi da risolvere e poi pensare di poterli governare con una maggioranza dello 0,0 qualcosa. Le questioni importanti non possono essere affrontate con piccoli numeri, perché la paralisi del governo danneggia non solo il centrosinistra ma tutto il Paese».
Che cosa avrebbe dovuto fare Prodi, secondo lei? «Guardi che io sono stato il primo politico in Italia a parlare di Grande Coalizione, quando ancora non era stata realizzata in Germania, dove subito dopo il voto popolari e socialdemocratici — pur mantenendo distinta la loro identità — hanno trovato un accordo. Prima di tutto su un'agenda di obiettivi economici e poi su un'azione di governo condivisa».
La grande coalizione: davvero pensa che da noi sarebbe potuta succedere la stessa cosa? Berlusconi e Prodi uniti nel governo del Paese? «In Europa oggi il pendolo della politica non va più dalla sinistra alla destra, ma tende ad andare contro l'esecutivo in carica. Questo non perché i governi sono diventati tutti incapaci, ma perché l'intensità e la problematicità delle questioni che interrogano il nostro continente sono tali da mettere in crisi la tenuta di un normale esecutivo. Figurarsi di una maggioranza che ha un vantaggio dello zero virgola».
E quindi? «Per metà del secolo scorso si è pensato che la garanzia per i sistemi de-mocratici fosse nei limiti del governo, nel suo controllo da parte di altre istituzioni: la nostra Costituzione è l'emblema di questo modo di ragionare. Adesso la dinamica è esattamente opposta: per rispondere alle domande di democrazia dei popoli servono esecutivi sempre più forti. In Germania il processo si è realizzato nella concentrazione orizzontale del potere, la grande coalizione, l'alleanza dei maggiori partiti. In Francia, alla stessa domanda la risposta è stata l'intensificazione verticale del potere, ovvero l'accentramento della decisione politica al vertice dello Stato. Sarkozy, pur avendo vinto le elezioni con ampio margine, vuole passare dalla Quinta alla Sesta Repubblica, per rafforzare ulteriormente il governo».
E in Italia? «Da noi l'attimo fuggente è fuggito il dieci aprile dell'anno scorso, subito dopo il voto. La grande coalizione non è stata fatta e il bel risultato è che stiamo assistendo alla disintegrazione del potere».
D'accordo, la maggioranza ha i suoi problemi, ma anche voi, divisi e senza strategia comune, non siete messi troppo bene. «La conosce la storia della trave e della pagliuzza? A sinistra la divisione tra antagonisti e governisti riguarda sia la base, gli elettori, che il vertice, la classe politica. Da noi, nel Polo, la situazione è molto diversa. C'è un idem sentire assoluto. Difficile distinguere, se non per sfumature, gli elettori dei rispettivi partiti: bastava andare alla manifestazione del centrodestra del 2 dicembre per avvertirlo. Abbiamo una base e un leader, che è Silvio Berlusconi».
Ma il 2 dicembre l’Udc non c’era. Casini non perde occasione per ricordare che bisogna cambiare leader e anche Fini, dopo la frenata del Cavaliere sul partito unico, ha detto che d’ora in poi An avrà le mani libere. «Sono solo discussioni di metodo e di tattica, ma sono certo che alla fine riusciremo ad arrivare ad una sintesi. Siamo tutti dalla stessa parte. Se davvero Casini volesse andare con il centrosinistra, non starebbe a litigare con noi: sarebbe già passato di là».
Se il centrodestra oggi ha una strategia comune, mi dice quale è? «Fare opposizione - e in questo, lo riconosco, siamo avvantaggiati dall'opposizione che il governo fa a se stesso - e lavorare al programma, aggiungendo le necessarie novità a quello già proposto nel 2006».
Insomma, nel 2011 andrete con la vecchia piattaforma, quella del 2006. Dubito che si arrivera al 2011. Comunque la prima parte del nostro programma si baserà sul confronto tra quanto fatto dal governo Berlusconi - oltretutto in una situazione di recessione mondiale - e cio the combinato Prodi, più gli opportuni aggiornamenti e importanti proposte di legge che stiamo mettendo a punto. E gliene voglio anticipare subito due, che rispondono alla accuse di egoismo mosse alla destra da Veltroni nel suo discorso al Lingotto: il cinque per mille per l’ambinete da inserire nella Finanziaria e la trasformazione delle Poste non in una banca, come prevede la sinistra che le vuole privatizzare, ma in una rete di servizi sociali».
E cioè? «L’azienda delle Poste dispone di 150 mila dipendenti, 14 mila uffici e 50 mila automobili. Con un esercito del genere, oltre a svolgere le normali funzioni, può costituire una struttura di servizi capace di raggiungere i cittadini nelle loro case: perché un vecchio deve fare la fila alla Asl per fare un prelievo di sangue e non può essere raggiunto a casa, magari da una Panda che trasporta un infermiere? Le sembra egoismo questo?».
A proposito di Walter Veltroni, non crede che it suo arrivo cambi tutto anche per voi? «La nascita del Partito democratico può solo avvantaggiarci. L’unica vera novità che vedo dall’altra parte è la crescita della sinistra antagonista, non solo in Italia ma anche in Germania. Più il Pd marcherà la sua identità in senso governista e più cresceranno i conflitti e le tensioni dentro il governo, e dunque anche la chance di una nostra vittoria alle elezioni».
Quindi secondo lei avrebbero fatto meglio a non farlo proprio, il Pd? «Penso di sì. Più si andrà avanti con il Part to democratico e più sarà arduo nascondere le divisioni del centrosinistra».
Ma perche siete cosi sicuri di farcela? «Nel 2006 il centrosinistra è sceso in campo nelle migliori condizioni possibili: con la rendita di opposizione al governo, con una fantastica macchina di propaganda, nascondendo le divisioni interne, promettendo l’ impossibile. E nonostante tutto ha solo pareggiato. Dillicile pensare che queste condizioni si ripeteranno».
Davvero crede che l'arrivo di Veltroni non contribuirà a mettere in discussione la leadership di Berlusconi? Nel 2011 il Cavaliere avrà 75 anni, il sindaco di Roma 56. Non temete che possa rappresentare il tanto auspicato ricambio generazionale? «Non ho un'idea anagrafica della politica. La storia e piena di uomini anziani che hanno avuto idee giuste e di giovani che hanno avuto idee sbagliate. Hitler era giovanissinio, Roosevelt e Churchill vecchissimi, ma stavano dalla parte giusta. E poi Veltroni, nuovo? Era gia un giovane leader comunista quando c'era ancora il Soviet Supremo».
Però, un uomo che si propone per la prima volta alla guida del Paese contro un altro che è alla quinta candidatura come premier: ammetterà che l’idea del cambiamento può risultare vincente. «Senta, perché non lo chiama direttamente, Berlusconi, a Palazzo Grazioli? Le do il numero: 06... »
Non schivi la domanda. Lei, che tiene tanto al suo ruolo di vicepresidente di Forza Italia, e senz'altro titolato a rispondere: non pensa che un bravo leader debba anche preparare la sua successione? «E una dornanda fatta da chi non conosce Silvio Berlusconi. Lui ha be chiaro che il suo percorso politico non sarà “dopo di me il diluvio”. E lo conferma il gruppo dirigente che si sta formando dentro Forza Italia, anche a livello regionale».
Che cos'e Forza Italia, oggi? Ha superato quella dimensione di partito di plastica criticata da molti osservatori? «Forza Italia e una felice sintesi ti monarchia e anarchia, dove si sta progressivarnente consolidando uno spirito comune, e dove a una fortissima leadership personale si accompagna una grande capacita di autonomia locale».
È d'accordo con il suo leader quando dice che è ancora troppo presto per parlare di partito unico del centrodestra? «Le risponderò citando unit frase tipica delle socialdemocrazie: i processi di aggregazione e di fusione non sono solo la somma delle scrivanie e delle macchine da scrivere, hanno tempi lunghi, non possono avvenire nel giro di un anno. La comune preparazione del programma, ferme restando le singole identità dei partiti, potrebbe essere un buon punto di partenza».
C'e un politico del centrosinistra che vorrebbe nel suo schieramento? «Due. Enrico Lelia per le sue capacità, Fausto Bertinotti per la sua intelligenza».
Un salto nel mondo della fantasia: Berlusconi decide di fare un passe indietro. Fini, Casini, Tremonti, chi potrebbe essere il suo successore? «Appunto, solo una fantasia. Ma una cosa è sicura: quando verrà il tempo giusto, saranno gli elettori a decidere».
Le sue vacanze, sempre a Cortina? «A Cortina? No, a Lorenzago. Un luogo molto più spirituale, quello dove vanno i Papi».
Però.