Tremonti: "Non si liberalizza con la paura. Altro che modernità, sono dei Robespierre"
«Il governo con una mano scioglie maldestramente qualche laccio, ma con l' altra ne annoda strettamente molti di più».
La tesi è di Giulio Tremonti. E sarebbe quasi scontata. Se non fosse che i suoi giudizi sul primo provvedimento economico del governo di Romano Prodi vanno ben oltre la polemica di rito: «Il decreto non solo va letto ma va letto per intero. La prima lettura, superficiale, dà un' impressione che combina la logica liberale con la lotta all' evasione fiscale. La seconda, più approfondita, svela un' impostazione diversa: le liberalizzazioni sono costruite come coercizioni, la lotta all' evasione è in realtà molto di più, un codice di potere politico e di sudditanza civile». Non mi dirà che pure lei è contrario alle liberalizzazioni. «La via maestra è quella delle riforme e le liberalizzazioni sono una riforma. Questa legislatura deve e può essere la legislatura delle liberalizzazioni. Lo sarebbe stata anche per noi se avessimo vinto: dal nostro piano per l' Agenda di Lisbona, appena fatta propria dal governo, fino al programma elettorale». Sarà, ma di liberalizzazioni durante il governo del centrodestra se ne sono viste davvero poche. «In un Paese che stava entrando in crisi economica, la nostra scelta politica è stata quella di concentrare le nostre forze sulle riforme strutturali essenziali. Non si può fare tutto e subito» Subito? Avete avuto cinque anni... «Lavoro, pensioni, scuola, opere pubbliche, eccetera. Abbiamo fatto più riforme strutturali noi in cinque anni che nei precedenti venti. E la riforma del risparmio non è una legge a favore della concorrenza e dei consumatori? La riforma del diritto fallimentare non ha forse superato decenni di resistenze conservatrici? Per inciso, il passaggio di proprietà supersemplificato per le auto era già legge. Purtroppo in politica non c' è il copyright. Aggiungo la proposta della portabilità dei conti correnti, come per i telefonini. Oggi se vuoi cambiare banca devi prendere due giorni di ferie. Era un punto chiave del nostro programma elettorale». Ha detto che le liberalizzazioni sono una riforma. Questo provvedimento non lo è? «L' esperienza di questi anni ci indica che le riforme strutturali devono avere tre caratteri essenziali. Primo, per essere strutturali non possono essere attuali. In democrazia devi avere il consenso e se lo vuoi devi dare ai cittadini il tempo per riorganizzare il loro progetto di lavoro e di vita. Secondo, le riforme devono essere specifiche, senza l' aggiunta di obiettivi politici o economici diversi. Terzo, la complessità dei sistemi giuridici moderni esclude improvvisazioni. Questi tre elementi mancano nel decreto. È stato un blitz. Aveva e ha anche obiettivi politici esterni alle riforme. È privo di basi tecniche». Come fa ad affermarlo? «È un caso di omonimia o è lo stesso Pierluigi Bersani che le liberalizzazioni le aveva già fatte nel 1998? Perché sono state un flop? Credo che nel governo ci siano amabili pasticcioni che uniscono allo zelo mercatista tipico degli ex comunisti un elevato tasso di dilettantismo». Bersani è stato già ministro per cinque anni. Difficile definirlo un dilettante... «Non si può trasferire tale e quale un testo che viene dall' Antitrust in un articolato di riforma. Come dice la parola Anti, l' Antitrust fa solo la parte distruttiva. Il decreto del 1998 fu preso nella vecchia ragnatela ordinamentale, mentre il provvedimento attuale contrasta in radice con il nuovo titolo quinto della Costituzione». Scommetto che si riferisce alla liberalizzazione dei taxi. «Il trasporto pubblico locale non è materia del governo. È sul territorio che si possono prendere le decisioni giuste. I Comuni non avrebbero deciso né decideranno come disposto con il blitz del decreto». Perché insiste a chiamarlo blitz? «Perché di blitz si tratta. E il blitz è l' opposto della concertazione. Non solo, la concertazione non può essere a senso unico. Non puoi invitare a pranzo i sindacalisti e i grandi industriali e trattare le altre parti sociali come se fossero Bernardo Provenzano. Non puoi essere debole con i forti e forte con i deboli. Margaret Thatcher ha cominciato dalle corporazioni più forti, come i sindacati, e non da quelle più deboli...» Farmacisti e notai le sembrano deboli? «Diciamo che tutte queste parti sociali non sono state i vincenti. Vincenti sono le cooperative. Vincenti sono le banche, che vedono enormemente aumentato il loro business, con la generalizzazione dell' obbligo d' uso degli strumenti bancari». Eppure per il governo Prodi questo provvedimento è la premessa per il rilancio dell' economia. «Dubito che il decreto produca effetti positivi sul Pil. Non si favoriscono i giovani, se sotto i 7 mila euro l' Iva a carico diventa un costo. O se l' avvio di attività con la partita Iva non è un diritto ma una concessione subordinata a una preventiva ispezione fiscale. In questo modo si favoriscono i fortunati, si creano barriere di accesso, si spinge al nero». Ma cosa c' entra la sudditanza civile? «Alla base del decreto legge c' è una visione binaria della società come se fosse divisa in due classi. Dipendenti e delinquenti. Il lavoro o è dipendente o non è. I lavoratori veri sono i dipendenti, possibilmente delle grandi aziende, perché quelli delle piccole sono già guardati con sospetto, come collaborazionisti dei padroncini. Chi non è lavoratore dipendente è considerato un deviante, un potenziale evasore e va trattato di conseguenza». Addirittura? «Non solo. Questa divisione della società per classi si unifica nella ideologia della soggezione universale al potere statale. Il prodotto finale è la società schedata, la società tracciata dai computer». Quella non si chiama lotta all' evasione fiscale? «Un primo esempio. Un cittadino che va dall' oncologo, dallo psichiatra, dall' avvocato, da un qualsiasi professionista, viene automaticamente inserito, via elenco clienti, nell' archivio fiscale. Schedato in ragione della prestazione richiesta e tracciato sul suo conto corrente personale se ha pagato più di 100 euro. Un altro esempio: chi compra un appartamento, se anche dichiara il prezzo giusto, è comunque sindacabile dal Fisco che può dire che il valore "normale" dell' appartamento è superiore. E accertare di conseguenza. Questo non solo per il futuro ma anche per le compravendite passate su cui il potere fiscale non è ancora decaduto». Non è giusto punire chi non paga il giusto sulle compravendite immobiliari? «Un conto è combattere l' evasione, un conto è attribuire agli uffici un potere assoluto e immotivato. Con il decreto legge non solo si moltiplicano i poteri fiscali ma si crea un archivio universale che contiene una quota enorme di elementi sulla vita dei cittadini senza reali garanzie di tutela della riservatezza». Una specie di Grande Fratello? «Il sistema non si limita a spiarci dall' esterno. Fa molto di più. Ci impone di metterci nella condizione di essere spiati meglio». E il motivo quale sarebbe? «Generalizzare la paura. Imporre la virtù con la paura. Alla estensione geometrica dei nuovi poteri e doveri fiscali corrisponde una simmetrica estensione del potere statale, all' interno di uno schema ideologico di voluta, percepita, occhiuta incombente presenza dello Stato fiscale. Una ragnatela che si estende riducendo i diritti. Più sei attivo nel tuo lavoro, più devi avere paura di sbagliare. Se hai qualcosa, in banca, se compri qualcosa, da ora in poi, sai di essere tracciato dal computer». Quello che descrive sembra il Terrore dopo la Rivoluzione francese, ne è cosciente? «Per i Giacobini "Il Terrore non è altro che la giustizia pronta, severa, inflessibile. Esso è dunque una emanazione della Virtù. È molto meno un principio contingente, che non una conseguenza del principio generale della democrazia applicata ai bisogni più pressanti della Patria. La Virtù senza il Terrore è inefficace". Robespierre, il Terrore e la Virtù, 1793. La differenza è che il Terrore dei Giacobini era antico, tragico: quello che si vuole costruire è più moderno e burocratico ma non è meno lontano dai principi della democrazia che si basano comunque più sul rispetto dei diritti che sulle prescrizioni di polizia».