Giulio Tremonti



Rassegna Stampa

- La Repubblica

Tremonti: niente sconti a Prodi

Nuova lite sul conteggio dei voti. Il Papa: concordia per l’Italia.

ROMA — Prodi non vuole le larghe intese? Peggio per lui. “Tanto non durerà…”. Giulio Tremonti lancia il suo “anatema” pasquale. Il ministro uscente dell’Economia è stato il teorico della Grande Coalizione alla tedesca, tre mesi prima delle elezioni. Oggi resta ancora convinto che quella sarebbe la soluzione migliore: “Ma prendo atto che non ci sono le condizioni politiche. Resta il fatto che quella di Prodi è una vittoria di Pirro. La sua maggioranza non esiste al Senato, il suo governo non può reggere”.

Tremonti non raccoglie l’offerta di D’Alema per una scelta condivisa del prossimo presidente della Repubblica: “E’ un dovere, non certo una concessione che ci fa…”. E annuncia che il Polo non farà sconti al centrosinistra. “Siamo in campo, perché abbiamo dalla nostra il Nord e lo schema europeo. Siamo stati uniti al governo, e lo saremo ancora di più all’opposizione”.

Ministro Tremonti, resta ancora convinto che anche l’Italia debba sperimentare la via della Grande Coalizione alla tedesca?

«Pur se nel giorno di Pasqua, sembra arrivato il tempo per mettere da parte almeno per un po’ il libro di Isaia: ‘Il lupo dimorerà insieme con l’agnello, la pantera si sdraierà accanto al capretto, il vitello e il leoncello pascoleranno insieme e un fanciullo li guarderà’. Nessuno ha mai creduto al presepe di Isaia. Nel nostro sistema sono troppo forti le componenti personali. Quella italiana è una politica troppo antropomorfa. In realtà lo spirito della mia riflessione era ed è più profondo: riguarda non la sovrastruttura dei rapporti personali, ma la struttura del reale». Che cosa vuol dire, fuori dalla metafora marxiana? «In Italia c’è una troppo forte asimmetria tra l’intensità delle pressioni esterne e la nostra debolezza interna. Non solo. E’ troppo forte l’intreccio tra problemi di governo e problemi di riforme. Questi più essenziali e più urgenti di quelli. Nella mia visione di Grande Coalizione avrebbe dovuto e potuto partire dalla riorganizzazione dei nostri quattro livelli di governo. Dalla redistribuzione dell’attivo e del passivo. Dai doveri e dai poteri fiscali. In sintesi, dal federalismo fiscale».
 

Potevate proporla in questi cinque anni, invece di fare le riforme a colpi di maggioranza. E comunque dovreste ammettere che la vittoria del centrosinistra c’è stata. Che senso ha continuare con la storia dei brogli? Perché in Italia, come si chiede D’Alema, non esiste fair play istituzionale e non succede come nelle grandi democrazie europee, dove se un governo ha un voto di scarto e un deputato di maggioranza si sente male l’opposizione fa uscire uno dei suoi? Eppure non siamo la Bielorussia...

«Confesso che sulle democrazie post-comuniste D’Alema ha esperienze superiori alle mie. Non credo alle fiabe nordiche. Se vai a Westminster ti spiegano che il principale dovere dell’opposizione è quello di abbattere il governo in carica con ogni mezzo democratico. Ma con ogni mezzo».
 

Compreso l’utilizzo di un dato sulle schede contestate che poi si è rivelato clamorosamente sbagliato per ammissione del Viminale?

«Non entro nel merito della vittoria negata. Mi limito ad osservare che questo è un Paese in cui ha votato l’85% degli elettori. Vuol dire che gli italiani credono nel valore del loro voto. Vedere sui tg le casse di schede buttate nei fossi o ascoltare l’autoproclamazione di Prodi prima ancora del risultato del Senato non è edificante, e non fa bene alla democrazia».

Invece fa bene alla democrazia sentire un premier che comunque ha perso che dice “resisteremo”? Cosa aspettate a riconoscere che ha vinto Prodi?

«Non è mio compito quello di fare l’endorsement di Prodi. Ma se vuole, anche solo per prova apriamo il grande libro delle vittorie. La storia è piena di vittorie chimeriche, oniriche o dimidiate. Di vittorie che sono sconfitte e di sconfitte che sono vittorie. Per banalizzare: quella di Prodi è una vittoria di Pirro. Lo è in senso aritmetico, in senso economico e in senso politico».

Mi spiega perché?

«Inizio dall’aritmetica. Quella di Prodi è una vittoria di Pirro perché sarebbe millesimata. Una vittoria al 5 per mille. Al Senato è sostanzialmente una sconfitta, sia pure con due senatori di ‘maggioranza’…».

Appunto. E’ pur sempre una maggioranza. Di fronte alla quale il Capo dello Stato non può che conferire l’incarico a chi l’ha ottenuta, non crede?

«Io non voglio assolutamente interferire con le dinamiche istituzionali. Ma formulo un’opinione: l’incarico lo merita un governo che ha la forza per governare avendo una sua base parlamentare funzionale e non istantanea. Non un voto di fiducia alle ore x del giorno y, ma una fiducia permanente e capace di manifestarsi nel ‘continuum’ dell’attività di governo. Mi chiedo: senatori eletti all’estero e senatori a vita sono in grado di garantirlo al Senato, dove la verifica del numero legale è continua tanto in commissione quanto in aula?».

E’ ovvio che a lei dispiaccia, ma questa maggioranza esiste, e il centrosinistra l’ha ottenuta nonostante una riforma elettorale pasticciata che avete voluto voi.

«La legge è la legge, e come tale va rispettata. Ma in realtà è una legge che si sviluppa in una logica opposta a quella del proporzionale. E’ una legge maggioritaria, non adatta per il governo della complessità. E’ bastato un giorno per verificarlo: grande maggioranza alla Camera, grande divisione nel Paese. La finzione giuridica non è sufficiente per superare e governare la divisione politica. Questa legge elettorale è formalmente proporzionale, ma sostanzialmente maggioritaria. Semplicemente, sposta l’effetto maggioritario dalla piccola dimensione circoscrizionale alla grande dimensione nazionale. La conta di base è proporzionale, ma il premio è maggioritario. La logica proporzionale, invece, avrebbe postulato anche un premio a sua volta proporzionale, e non lo scatto integrale di un superpremio per un solo voto».

Detto da lei fa un certo effetto. Tremonti non era forse un alfiere del maggioritario?

«Da dieci anni penso che il proporzionale sia meglio del maggioritario. E le spiego perché. Il sistema maggioritario deriva dal mondo anglo-sassone: qui prende il nome di ‘first past the post’, il primo dopo il palo. E già nel nome c’è il riflesso del mondo da cui viene. Una logica sportiva, un mondo tipo ‘homo ludens’. E’ il sistema ottimo per il governo di un mondo normale, in cui vivono società pacificate. L’opposto di quello che si vede in Italia dopo il voto del 9 e 10 aprile. E’ per questo che considero giusto per l’Italia il sistema proporzionale, che è più baricentrato e consente il governo delle complessità. E certo la complessità è la ‘cifra’ che domina
la realtà attuale del nostro Paese».

Comunque insisto: con questo sistema Prodi ha vinto, e Berlusconi ha perso.

«Non è così. Le ho spiegato perché quella di Prodi è una vittoria di Pirro in senso aritmetico. Ora aggiungo perché è addirittura una sconfitta in senso economico. Prodi ha perso in tutte le regioni produttive del Nord. Non solo. Ha perso su scala nazionale. Le regioni in cui ha perso sono quelle in cui si produce più del 60% del Pil e dove si fa il grosso dell’export. Se mi permette un inciso a questo proposito: la fiducia espressa nei confronti del governo Berlusconi dal grosso del sistema produttivo indica quanto fossero e quanto siano false le accuse di incapacità di governo dell’economia».

Vogliamo riparlare della crescita zero del nostro Paese?

«Senta, se chi fa l’economia ti dà fiducia questo supera tutte le critiche. Non solo. La Cdl non ha vinto solo al Nord, ma anche in grandi regioni del Centro e del Sud. Ha vinto in Sicilia. Ha sostanzialmente pareggiato in Campania. Dunque, nessuno potrà più dire che siamo una coalizione anti-Sud. All’opposto, appare sempre più localistica e non nazionale la geo-politica dell’Unione. I confini dell’Unione sono sempre più nell’Italia centrale. Coincidono sempre più con il campo di attività radicata sul territorio delle cooperative».

Può darsi. Ma pur con questi limiti, perché non riconoscete che il centrosinistra ha il diritto-dovere di governare?

«Siamo al terzo punto. Dopo l’aritmetica e l’economia, la politica. E’ fallito il progetto politico di Prodi. Il progetto di una coalizione riformista europea. Il nucleo dei Ds (escluso il correntone) e la Margherita insieme fanno a stento la metà della coalizione. Il resto è composto da culture e personalità politiche che francamente è difficile considerare riformiste ed europee. Si avvera dunque la profezia di un’alleanza costruita in negativo e non in positivo. Basata più sul contrasto al governo in carica che sul progetto di un governo futuro. Terminata la finzione dell’amicizia, necessaria per le elezioni, inizia il festival dell’inimicizia. C’è un bellissimo saggio di Roland Barthes sul significato della parola ‘remora’. La questione è se remora sia il nome del mollusco che ostacola lo scivolamento della nave, o il nome dell’effetto di ritardo causato dal mollusco stesso. Ebbene, la nave dell’Unionenon è ancora stata messa in acqua, e già si manifestano effetti di blocco di ogni tipo».

Nella Cdl regna invece tutta questa armonia? Il silenzio di Casini e Fini che significa? E gli attacchi di Castelli e della Lega contro Berlusconi?

«Non c’è nessun conflitto, neppure con la Lega. La nostra coalizione è oggettivamente unita da un sistema condiviso di valori, da un progetto che risponde allo schema europeo del grande partito dei popolari moderati. Siamo stati uniti al governo, lo saremo anche e forse ancora di più all’opposizione».

Insomma, all’Unione non fate e non farete sconti. Ma allora qual è il contributo che il centrodestra può dare, per cercare di “pacificare” la contesa politica, come ogni tanto fa finta di dire il Cavaliere?

«Faccio osservare che in questi anni chi ha fatto una campagna più in negativo che in positivo è stato proprio Prodi. E’ stata a tratti anche una campagna di odio. Dell’effetto di divisione che si è prodotto nel Paese ora è anche lui ad essere insieme l’artefice e la vittima. E certi elementi di radicalizzazione e di ostentazione di ‘leaderismo’ non sono segni di forza, ma semmai di debolezza».

Ma sull’elezione del presidente della Repubblica, a partire dal metodo Ciampi, siete pronti a raccogliere le offerte dell’Unione oppure no?

«Quelle che lei chiama offerte non sono una novità. L’elezione del Capo dello Stato è sempre stata il frutto di una scelta condivisa. La storia stessa del Pci è sempre andata nel senso di entrare in quel meccanismo di scelta. E nessuno si è mai sognato di contestare quel diritto di intervenire. Questo non è ‘entrismo’, ma è la base della nostra storia costituzionale. E dunque, dov’è la novità?».

Per concludere: mi pare di capire che per ora non si fanno Grandi Coalizioni, voi scommettete sulla caduta rapida del governo Prodi e poi, magari già in autunno, si riapriranno tutti i giochi. E’ così?

«Io penso che con il  governo Prodi la sinistra entra in un campo di forze con la struttura politica più debole che si ricordi negli ultimi tre decenni. Dobbiamo tornare al governo Tambroni, per vedere una così micidiale combinazione di debolezze intrinseche e di forze in campo. Il governo Prodi sarà per la sinistra come una vettura che circola senza assicurazione. Quando andrà a sbattere, chi pagherà i danni? Noi ci saremo, di questo può star sicuro. I danni li pagheranno gli elettori di sinistra. L’addizionale sarà a carico della sinistra riformista, che passerà il testimone alla sinistra-sinistra. Gli conviene rischiare tanto?».