Giulio Tremonti



Rassegna Stampa

- La Stampa

Ma Prodi ha già perso

«In democrazia il budget, da noi la Finanziaria, è sempre stato ed è l’origine, il centro della politica. La Finanziaria non è ragioneria. Non è economia. È politica. Ed è su questo e per questo che è iniziata la crisi del governo Prodi», sostiene Giulio Tremonti, vicepresidente di Forza Italia.

Il premier non la vede così. È convinto di avere invertito la tendenza e cambiato marcia...

«Prodi altera dichiarazioni suicide con dichiarazioni superominiche. Ieri ha detto il falso: il mio è un supergoverno. Il giorno prima aveva detto la verità: è un governo che sopravvive solo sulla base di una minaccia suicida interna».

Quale minaccia?

«Quella di andare alle elezioni. È un governo che non esiste per fare, ma solo perché senno si va a votare».

Il premier denuncia che gli avete lasciato un cocktail micidiale di problemi...

«Il suo ministro dice onestamente l’opposto. Il cocktail se l’è bevuto lui prima di parlare. Piuttosto cerca di far bere agli italiani un intruglio micidiale di tasse e di ticket, di bolli, di addizionali, di moduli».

Però intanto Prodi resiste ai vostri assalti. Non è già un risultato?

«Lei mi chiede se quello di “durare” è un fine o un mezzo. Io le rispondo che il tempo non può mai essere fine a se stesso, ma solo un mezzo per qualcosa. Prodi è lì da appena 6 mesi ma sembra al governo già da 6 anni. La valanga continua di litigi-errori-tasse lo sta seppellendo».

Azzardi una previsione.

«Da zero a 5 anni, è difficile dire quanto sopravviverà. Certo non 5 anni. In ogni caso il costo politico che la sinistra italiana sta pagando per l’incapacità di trovare alternative al governo Prodi, per la debolezza che dimostra nel sottostare alla sua minaccia elettorale, è altissimo. Più il governo Prodi dura, più la sinistra perde quota».

Tipo Alitalia?

«Non rende giustizia ai lavoratori, ma rende l’idea. In realtà, se è incerto quanto dura Prodi, è certo che prima o poi si vota. Già questa primavera andranno alle amministrative oltre 10 milioni di italiani. Sarà un voto fortemento politicizzato. In cui la sinistra manderà il fiore della sua classe dirigente, gli amministratori locali, a parlare alla gente di addizionali, di rendite catastali, di ticket, con il rumore di fondo di pensioni, immigrazione eccettera».

Piccolo particolare: la vera resa dei conti sarà tra quattro anni e mezzo...

«È statisticamente certo che la sinistra non vincerà le prossime elezioni: in Europa tutti i governi perdono tranne noi che abbiamo pareggiato. Il governo Prodi ha battuto un record: ha già irrevocabilmente perso. Ha già impresso il suo imprinting fiscale sugli elettori. E quando poi si tornerà ancora a votare, non alle prossime elezioni ma a quello dopo, una cosa è sicura: potranno forse esserci nuove chanche di vittoria per la sinistra, ma non per questa sinistra e non per questa classe dirigente, che sta seguendo il governo Prodi come in una processione funeraria».

Secondo lei Rutelli e Fassino stanno immolando il proprio futuro politico?

«Progressivamente i fattori di crisi che si manifestano in crescendo nel Paese si trasfomeranno in fattori di crisi interni alla coalizione. Prima o poi si attiveranno i meccanismi eterni della politica: salvare il partito invece dell’alleato di governo, difendere la casamatta. Non far vivere il governo Prodi ma sopravvivere come forze politiche. Il declino di consenso sui partiti è asimmetrico: più sei grosso come partito, più perdi il consenso dei tuoi elettori. E se lo conservano o addirittura crescono i piccoli partiti antagonisti, più probabile è la reazione finale dei partiti più grandi. Oltre una certa soglia critica, sulla responsabilità di coalizione dominerà l’istinto di sopravvivenza».

Al centrodestra che serve andare in piazza?

«Noi facciamo il nostro dovere in Parlamento. Non siamo noi ma sono i cittadini che ci chiedono di essere a loro volta protagonisti in una grande civile e pacifica manifestazione popolare. Un diritto democratico scritto nella costituzione».

Anche l’opposizione ha i suoi problemi. Nella protesta vi presentate divisi...

«A differenza che per il governo, per l’opposizione sei mesi sono un tempo minimo. Un conto è l’adrenalina da vittoria; un conto, onestamente, è la delusione per il pareggio. Tuttavia sulla funzione democratica fondamentale dell’opposizione, che è opporsi, oggettivamente ci siamo in pieno. Ci siamo in Parlamento, sui mezzi di comunicazione, nel rapporto coi cittadini. Poi, via via che si manifesterà dentro la sinistra la crisi, inizierà in progressione la nostra riorganizzazione come forza candidata alla vittoria. Le difficoltà di coalizione sono inversamente proporzionali alle tendenze elettorali. Se i numeri sono avversi, la tendenza è a diversificarsi. Se sono vincenti, la tendenza è a unirsi per vincere. Provi a riflettere: sarebbe oggettivamente diverso e più difficile se il risultato elettorale di aprile fosse stato non un pareggio ma una sconfitta, se il Molise fosse andato male, se i sondaggi fossero incerti».

Lei si fida dei sondaggi?

«In Italia la dinamica politica è determinata dalle alleanze (qui la sinistra ha già fatto il pieno) e in maggior misura dal meccanismo affezione-disaffezione (elettori che non abbandonano la loro parte politica ma per delusione o per dare un segnale si astengono). I sondaggi di oggi non presentano numeri inventati, ma la conferma di questa dinamica. E in particolare il ritorno di Forza Italia ai numeri che sono stati nostri nel 2000 e nel 2001. Fatto il confronto, i nostri elettori hanno compreso  e hanno deciso di tornare per farci ritornare».