Giulio Tremonti



Rassegna Stampa

- Corriere della Sera

«L'America ora rischia una crisi stile '29»

Tremonti: non mi stupirei se gli Stati Uniti lasciassero l'Iraq in 5-6 mesi. In Italia sì alle larghe intese, non è più tempo di un governo convenzionale.

«Negli Stati Uniti si dice che le elezioni locali sono nazionali. Che il voto non si ferma sui confini degli Stati ma arriva a Washington. Ciò che è nazionale a Washington è globale. Le elezioni di mid-term sono indicative non tanto per quello che c' è stato dietro, quanto per quello che fanno prevedere sul futuro, alla fine di due anni di interregno presidenziale e di intermezzo economico. In fondo l' America è stata, è e sarà la più grande macchina fabbricastoria». Che cosa succederà secondo lei, professor Tremonti? «Le analisi che ho letto sui giornali erano interessanti ma a volte anche banali e provinciali. Partiamo dalla politica. L' America non si è spostata a sinistra; sono i democratici che si sono spostati a destra». I democratici italiani non la pensano così. «I democratici italiani, ammesso che si formino, si presenteranno all' Internazionale democratica avendo studiato sui quaderni della precedente. Passiamo piuttosto ai repubblicani americani: sono stati colpiti dal boomerang dei valori etici. La "moral majority" ha ceduto sui valletti, sullo scandalo sessuale al Congresso, che secondo i sondaggi sul voto è stato uno dei fattori fondamentali, con l' economia e la politica estera. La vittoria dei democratici può comunque essere una vittoria di Pirro. Credo che la partita del 2008 sia tutta aperta. Il vuoto politico atteso sul biennio consentirà ai repubblicani di far valere l' argomento centrale in America e per la verità in tutte le democrazie: il "tax dollar". In democrazia molti fattori sono importanti, ma lo è soprattutto il portafoglio dei contribuenti. Non per caso, anche da noi la crisi del governo Prodi esplode sulla finanziaria. Il budget non è ragioneria, è politica; e la crisi di consenso che emerge in questa sessione di bilancio è una crisi politica». E' sicuro che l' Iraq non abbia avuto un ruolo decisivo nella sconfitta di Bush? «L' Iraq ha certo influito sul voto, ma è una partita già chiusa, simboleggiata dal passaggio da Rumsfeld a Baker, dalla forza alla diplomazia. Non mi stupirebbe se dall' Iraq gli americani si ritirassero entro 5 o 6 mesi. Piuttosto, se la partita dell' Iraq è chiusa, è la grande partita della politica globale, il "grande gioco", che ancora dev' essere aperta. Gli assetti del Medio Oriente sono profondamente mutati. Emergono per la prima volta seri problemi di sopravvivenza per Israele e Arabia Saudita: giocano contro il fattore demografico interno e il fattore nucleare esterno. La bomba iraniana non è solo un fattore militare; è un fattore politico decisivo. Soprattutto: è riemersa la Russia, sta emergendo dal suo profondo e secolare immoto la Cina. Il "grande gioco" non è limitato al Medio Oriente ma ormai esteso all' Africa, continente-contenitore di risorse minerarie. La Cina sta occupando l' Africa. La Russia sta ricostruendo la sua sfera di influenza, con strumenti nuovi, non militari, come al tempo degli zar, non ideologici, come nell' età del comunismo, ma nuovissimi e anzi vecchissimi; con strumenti che ibridano politica imperiale e politica mercantile. Che differenza c' è tra la Gazprom e la Compagnia delle Indie?». Quali conseguenze derivano da un simile quadro? «Si apre un' "alternativa del diavolo". Avremo una pace mercantile perpetua sostenuta dallo sviluppo globale perpetuo, o una frattura causata dall' improvvisa caduta di velocità dell' economia? Per esempio, una frattura tra un' area del mondo "property" - libertà e valori individuali - e un' area del mondo "non property" - valori collettivi e proiezione di dominio imperiale -. In fondo, la prima strategia americana sull' Afghanistan non era tanto di contrasto al terrorismo islamico, quanto di avamposto dell' Occidente verso la Cina». D' Alema propone una conferenza internazionale per ridefinire la missione afghana. «Mi pare una metonimia politica: una parte per il tutto, la confusione tra il dito e il cielo. Il vero grande gioco non si è ancora aperto. E l' Europa è assolutamente spiazzata». Perché? «L' Europa sta costruendo con molto zelo il mercato perfetto al suo interno, mentre all' esterno, attorno all' Europa, si sta costruendo il monopolio perfetto, ad esempio delle materie prime e dell' energia. La chiave è l' economia americana. Il forte sviluppo nel quinquennio 2001-2006 è la regola o l' eccezione? Una regola che adesso conosce una stasi, o un' eccezione che prelude a una crisi? Il boom è stato causato da tre fattori: un enorme stock di liquidità, che ha spinto verso il basso i saggi di interesse; la riduzione delle tasse; l' esplosione dei valori immobiliari. Mentre in Europa gli immobili sono soprattutto un valore patrimoniale, in America sono il centro dell' economia: è sul valore degli immobili che le famiglie americane ottengono il credito dalle banche. Oggi la crisi immobiliare Usa è molto forte: nel terzo trimestre gli espropri sono saliti del 43%. Si è passati dal boom allo sboom, sia pure compensato in parte dal calo del prezzo del petrolio; e questo si riflette sui grandi numeri dell' economia, che in un tempo molto breve è scesa da una crescita del 5% al 2». Sempre più della crescita italiana e di gran parte di Eurolandia. «Il 2% in America non è crescita, perché corrisponde in equilibrio solo all' immigrazione e all' incremento della forza lavoro. Anche qui le ipotesi sono due. La prima: il passaggio dal boom allo sboom non ha causato il collasso, perché il sistema finanziario è ben equilibrato, ha assorbito la crisi e può ripartire. La seconda è avanzata da molti siti economici, che ospitano previsioni di crisi strutturale, tipo 1929. Io spero nella prima ipotesi, ma temo la seconda». Sta dicendo che esiste il rischio di una grave crisi mondiale? «Vorrei evitare il raptus per cui, se parli di una cosa, significa che la vuoi. La mia logica è opposta: non la vuoi, quindi devi analizzare tutti i fattori, senza farti condizionare dal pensiero unico. Se segui il pensiero unico non è leadership ma followship: non guidi, segui. "Si vis pacem, para bellum": il dovere della pace è un dovere critico». Lei è considerato il grande anti-cinese. Perché? Per quale motivo lei dice: "Se vuoi la pace, prepara la guerra"? La Cina, oltre che un concorrente, non è anche un mercato, un' opportunità? «Il mio ideale è la pace mercantile perpetua. La lettura di qualche libro di storia suggerisce però anche qualche elemento di prudente cautela. Il problema vero non è cosa fa Prodi in Cina; è cosa fa la Cina in Africa, in India, nel mondo. La Cina è sempre stata un gigante; ma ai tempi di Napoleone, di De Gaulle, di Kennedy era un gigante fermo. La novità è che ora il gigante cammina». Ma lei crede o no al rischio 1929? «Dipende da quale visione hai del mondo. Nella visione A, il mondo è costruito come un pantheon. Nella visione B, il mondo è costruito come una piramide rovesciata. Il pantheon è un frontone retto da più colonne: Stati Uniti, Europa, Russia, Cina, oltre al cantiere aperto: l' India. La piramide rovesciata insiste tutta sull' economia americana, e in particolare sul consumatore americano. In un tempo relativamente breve sapremo quale delle sue visioni è giusta. Lo spirito del tempo è insieme l' assoluta novità di questa realtà e l' assoluta incertezza su questa realtà. Vedremo se si avvererà o no la profezia di Adamo Smith: il mercato contiene in sé i fattori della pace mercantile perpetua, o i fattori della crisi globale?». Consideriamo valida la visione A, quella più incoraggiante. Quanto è forte la colonna europea del pantheon? «Se nel mondo c' è una centralità dell' America, nell' Europa continentale c' è una centralità della Germania. E in Germania esiste, su scala diversa, lo stesso stato di incertezza. L' economia tedesca produce beni capitali e beni di lusso. Il carnet della domanda per questi beni ora è fitto. Ma ci sono fattori di incertezza, dalla caduta del clima di fiducia all' altalena degli ordinativi. In ogni caso, l' idea della Germania come locomotiva alternativa all' America è tutta da verificare. In Italia, su scala ulteriormente ridotta, la situazione è simile a quella tedesca: l' economia italiana è fortemente manifatturiera, e conosce lo stesso assetto di relativa incertezza». In America comincia una coabitazione tra presidente repubblicano e Parlamento democratico: le grandi scelte saranno fatte insieme. E in Italia? «Un punto in comune c' è. L' America va probabilmente verso una fase di fermo economico e politico. In Italia, con dimensioni e dinamiche diverse, la "cifra" è più o meno la stessa. Il governo Prodi non ha vinto le elezioni, non ha una missione, non ha neppure la forza per cadere. A chi gli chiede "con te cosa si fa?", Prodi risponde: "Dopo di me si vota". In effetti questa è un' idea per la fase 2: a casa». Si vota, o si fa un governo di larghe intese? «L' ho detto fin dal 2004: la novità politica in Europa sta nel fatto che la dinamica non va più da destra a sinistra o da sinistra a destra; è contro il governo in carica. Con l' eccezione del governo Berlusconi, che ha pareggiato. Ma ricordo che come regola a ogni riunione dell' Ecofin il ministro che aveva le elezioni in patria si congedava dai colleghi, veniva salutato con molti auguri, e la volta dopo non c' era più. Il primo è stato Fabius, via via sono seguiti gli altri, fino allo svedese e all' austriaco. A proposito dell' austriaco: è il primo nella classifica europea stilata dal Financial Times, che però si è dimenticata di dire che ha perso le elezioni. Ultimo è il nostro: su questo il curiosum è semmai nel fatto che le elezioni non le ha fatte, ma è come le avesse già perse. Ora, questo accade perché i governi sono diventati insufficienti, o perché le forze in campo sono determinanti sui governi? A me pare che l' intensità e la dimensione delle forze in campo sovrasti la forza di un governo convenzionale. Se il mondo cambia, la politica non può restare uguale. Se la competizione è globale, non puoi andare avanti con le divisioni locali. Chiamparino dice che Padoa- Schioppa gli ricorda Tremonti: evidentemente si era fatto l' idea che il nuovo ministro dell' Economia fosse un dispensatore arcadico di beni e di frutti; ma così non è. In Germania hanno fatto la grande coalizione. In Italia, se è stato difficile governare per noi in anni di crisi e di complessità con il 52%, ora è impossibile per loro governare con il 50,001%, e con un successivo drammatico problema di consenso».