Giulio Tremonti



Rassegna Stampa

- Panorama

Io, gli statalisti e l'Europa che non mi piace

Mentre Parigi brucia e a Berlino hanno fatto la grande coalizione, noi abbiamo tenuto a bada i conti pubblici. Altro che Prodi e la tassazione sulle rendite. Ora occorre un patto tra governo ed enti locali per abbattere il debito.

Nell'eterna disputa tra apocalittici e integrati, Giulio Tremonti sceglie la terza via. Né l'uno né l'altro. Dice il vicepresidente del Consiglio e ministro dell'Economia: «Le criticità non si possono negare, ma non ci sono solo in Italia. Parigi sta bruciando e in Germania, a causa delle difficoltà, hanno fatto la grande coalizione». Insomma, l'oggetto del contendere che sta infiammando gli scampoli di una tribolatissima campagna elettorale è sempre lo stesso. Da un lato la sinistra, che imputa al governo la non crescita. Dall'altro la maggioranza, che alle prese con le magre della congiuntura spiega di aver fatto tutto il possibile, e di averlo fatto anche meglio di alcuni altri partner europei.Per Tremonti il contesto è profondamente cambiato: «Nelle economie di comando i governi facevano la produzione e ne erano responsabili, in quelle liberali classiche disponevano delle due leve del bilancio e della moneta. Ma oggi non hanno più neanche queste, in più sono sotto la crescente pressione esterna».E qui il responsabile dell'economia tira in ballo il prezzo del petrolio, impennatosi in pochi anni per effetto della domanda cinese, che ha portato il conto della nostra bolletta energetica a 40 miliardi di euro. «Quindi» spiega Tremonti in questa intervista a Panorama «occorre un cambio di mentalità, e i governi devono e possono agire sui fattori strategici dello sviluppo: infrastrutture, lavoro, energia e tenuta del sistema finanziario».

Il discorso non fa una grinza. Ma allora perché non avete liberalizzato? In una fase storica di violenta accelerazione del mondo e di globalizzazione, contano sì le liberalizzazioni, ma soprattutto le infrastrutture. Quando si parla di liberalizzazioni, ci sono un côté serio e uno pittoresco. Il primo riguarda i servizi come i telefoni e le banche. Lei sa che per cambiare banca oggi uno deve prendersi due giorni di ferie. Non a caso uno degli impegni del programma della Cdl è la portabilità del conto bancario. Poi c'è la parte pittoresca, che imputa l'arretratezza italiana al corporativismo dei tassisti o alla mancata vendita dell'aspirina nei supermercati.

Come dice Francesco Giavazzi, sarebbe comunque importante trovare l'aspirina nei supermercati. È importante, ma nella strategia dello sviluppo contano di più i fattori di cui ho parlato.

Dica quattro cose che fanno la differenza con l'Ulivo e magari possono convincere gli incerti a votarvi. Infrastrutture, noi siamo per i cantieri, loro per bloccarli. Lavoro: noi siamo con la legge Biagi, loro con la Cgil. Energia: loro con i verdi, noi per il nucleare. Commercio estero: noi per le protezioni, loro agenti della Cina.

Protezione, che brutta parola...Ho detto protezione, non protezionismo. L'Europa è liberista con la Cina e protezionista con se stessa.

I francesi fanno protezione o protezionismo? Protezionismo. Non avrei mai immaginato che apparisse un così forte protezionismo interno. Era chiaro che l'Europa stava su un piano inclinato, che l'eurobarometro portava costantemente il segno meno.

Fortuna che non tutti i francesi la pensano come il premier Dominique de Villepin. È vero. Pensi che una loro rappresentante al Parlamento europeo ha paragonato il protezionismo all'aviaria.

Teme il contagio? Purtroppo sì. Sul tema il mio intervento all'Eurogruppo è stato: siamo 25 paesi, i parlamenti durano 4-5 anni, vuol dire che ci sono sempre 3-4 di noi che sono contemporaneamente in campagna elettorale. E se il protezionismo diventa argomento da campagna elettorale, allora sì che l'Europa dura un anno.

Romano Prodi ha preso in materia una posizione forte. Per alcuni anche troppo. Prodi ci ha messo cinque anni a predicare le regole europee e cinque giorni a chiederne la distruzione. Ha detto: comprate azioni Enel, fondete Eni-Enel, bloccate Paribas... Così in Europa tutti hanno pensato: se in Italia uno come lui pensa e predica questo, figurarsi gli altri. In realtà così Prodi non è più credibile. Né come europeista né come protezionista.

Eppure, leggendo il suo ultimo libro, «Rischi fatali», si vede che lei è uno innamorato dell'Europa.Ne ho un'idea positiva, che risale ai tempi dei miei studi a Pavia, da sempre un centro del federalismo europeo. La mia Europa è quella dei popoli, non quella tecnocratica, dogmatica, monetaria di questi ultimi anni.

Però a un certo punto sembrava ce l'avesse tanto con Bruxelles.Non è che non voglio l'Europa, anzi. Ma la voglio diversa, più forte. In ogni caso, da ministro sfido chiunque a dire che non ho fatto una politica europea: proporre e far passare il piano di finanziamento delle infrastrutture europee è pro o contro l'Europa? E chiedere la banconota da 1 euro, o rispettare il patto di stabilità in piena campagna elettorale, tanto da rafforzarlo?

Qualcuno pensa che nel 2003, durante la presidenza italiana, quel patto abbiate fatto di tutto per incrinarlo. L'opposto. Con Francia, Germania e molti altri paesi abbiamo sostenuto che se il patto era stupido, come dichiarato da Prodi, non aveva senso applicare le sanzioni. Soprattutto, se era possibile ottenere gli stessi risultati senza dover ricorrere alle sanzioni. La Francia senza sanzioni è rientrata nei parametri. La Germania sta rientrando. La scelta giusta non era quella di Prodi: dire che il patto era stupido, ma applicare comunque le sanzioni alla Germania. L'ultima volta che qualcuno lo ha fatto è finita male. Nel 2003 la scelta è stata giusta tanto che il patto è stato riscritto in modo molto più intelligente.

Il debito italiano ha ripreso a crescere. E così, sfortunatamente, anche i tassi di interesse. Questa dei tassi è la prova del fatto che il «risanamento» degli anni 90 era solo congiunturale. In ogni caso il debito pubblico di Germania e Francia è cresciuto molto di più. L'Eurostat ha approvato i conti italiani del 2006. Molto è stato fatto, ma certo molto resta ancora da fare. Il maggior risultato ottenuto è l'esserci posizionati sul lungo termine, che è poi quello che conta, con Francia, Germania, Gran Bretagna e Spagna. Sull'Italia, l'Europa ha detto che abbiamo certo un debito molto alto, ma anche che abbiamo fatto un'ottima riforma delle pensioni.

È anche l'Europa delle stranezze. Prendi la Germania: viene data come un malato in via di guarigione, ma nelle previsioni cresce meno dell'Italia. La Germania ha fatto una ristrutturazione industriale all'americana, conservando la solidarietà renana. Ha creato 5 milioni di posti di lavoro fuori dai suoi confini, ma anche 5 milioni di disoccupati dentro. A ogni disoccupato tedesco vanno 20 mila euro all'anno, cosa che incide per il 30 per cento sulla spesa pubblica annuale. È per questo che il debito tedesco è cresciuto enormemente e ha raggiunto quello italiano in valore assoluto.

Però le aziende tedesche hanno incrementato i risultati. Sì, e la sfida tedesca è proprio questa: il passaggio dal made in Germany al made by Germany. Produzione non solo interna come una volta, ma anche esterna. Occorre vedere se l'accumulazione di ricchezza che si forma nei gruppi industriali dentro e fuori la Germania si trasformerà in distribuzione e domanda interna.

Una delle accuse a questo governo è di non aver fatto crescere l'economia come avrebbe potuto.Gli stati moderni non determinano la crescita dell'economia, che dipende da produttori, lavoratori e consumatori. Come ho detto, il compito dello stato non è produrre, ma creare le condizioni dello sviluppo: infrastrutture, energia, lavoro, tenuta finanziaria. Su questi fattori c'è ancora molto da fare, visto che le criticità risalgono almeno agli anni 90 e gli interventi necessari non sono istantanei. Fare le riforme non è come far girare un modello di computer.

Il debito è l'alibi cui da decenni tutti i governi si appellano. Non sarebbe ora di attaccarlo una volta per tutte? L'andamento dei conti pubblici non è una variabile indipendente dall'andamento dell'economia e ogni paese ha i suoi problemi. Noi non abbiamo trovato l'avanzo primario, ma un defict eccessivo sul 2001: un 3,2 per cento come certificato dall'Eurostat, e proprio  quando Prodi era presidente della Ue! Nel nostro programma c'è l'idea di un patto tra Stato ed enti locali sul patrimonio pubblico per abbattere il debito.

Ha detto che solo un comunista poteva inventare l'Irap. Ma un liberista ha il dovere di dire come cancellarla. Solo un vero comunista poteva inventare una tassa che non esiste in Europa perché colpisce, oltre all'utile, il costo del lavoro e il costo del denaro. Come toglierla? Sono 35 miliardi di euro, non è semplice. Ma è colpa più grave inventare una simile mostruosità o non averla ridotta abbastanza a causa del deficit pubblico ereditato?

Ci sono stati due punti deboli nell'azione del governo: il controllo della spesa corrente e il contratto dei dipendenti pubblici.Come appena certificato dall'Europa, i conti italiani sono sotto controllo. Con l'economia che rallentava abbiamo cercato di garantire la tenuta sociale, la spesa per previdenza, pensioni e assistenza.

Il precedente governo non ha proprio fatto niente di buono? Due cose: l'euro, che è stato positivo per la Repubblica, anche se ha poi creato problemi alle imprese e alle famiglie. E poi il pacchetto Treu. Le altre riforme sono state e sono un disastro per l'economia: dall'Irap al titolo quinto. Questo dice che le grandi reti nazionali di infrastrutture ed energia sono regionali, attribuendo alle regioni il diritto costituzionale di veto su quello che vogliono, cancellando il concetto di interesse nazionale sui fattori strategici per lo sviluppo.

Berlusconi a Vicenza se l'è presa con i declinismo degli industriali. In effetti, visto come crescono mediamente gli utili delle imprese, il loro scontento sembra un paradosso. Ma speculare al declinismo è l'eccesso di ottimismo.Infatti io non voglio essere facilmente ottimista, ma neanche irresponsabilmente negativo. Il dato realistico è che l'Italia tiene in valore le sue quote di mercato. I dati della fondazione Edison sono a questo proposito chiari.

Perché le classifiche ci penalizzano?Da quando ho letto che noi saremmo peggio del Botswana, che ha il 40 per cento di malati di aids e produce solo diamanti, ho capito tutto. Ottimo, la gente muore e i diamanti valgono. O l'ultima moda, dire che siamo inferiori al Benin perché questo, asfaltando l'aeroporto, ha fatto un balzo avanti.

Mi dica almeno tre buoni motivi per cui un elettore dovrebbe votarvi.Successioni, casa e risparmio.Cioè?Il giorno del voto gli italiani che mettono la croce sull'Unione mettono la croce anche su un pezzo del loro risparmio. Sui Bot e sui Cct che hanno in banca.  Senza contare la tassa patrimoniale sulla casa e la reintroduzione della tassa di successione.

La sinistra tocca però una corda sensibile e trasversale: il precariato. Guardi quello che succede in Francia.Prodi è la quinta colonna della Cina in  Italia. A Vicenza ha appena detto di avere «preso il treno dell'Asia». Se stai sul treno dell'Asia, schiacci i precari in Italia. Posto fisso in Cina, disoccupazione fissa da noi. In ogni caso la legge Biagi è giusta, ha contenuto il precariato in Italia rispetto al resto d'Europa. Ma vanno aggiunti più soldi per gli ammortizzatori sociali.

Operaie cinesi in un'industria dello JiangsuConcorda che c'è il problema di spostare la tassazione dal lavoro alla rendita? È una interessante discussione di filosofia politica. L'ho introdotta con Giuseppe Vitaletti in un libro del '92.  Ma un conto è la filosofia, un conto la politica che si fa sulla realtà. In questo momento le rendite finanziarie non ci sono. E aumentare le tasse su rendite che non ci sono vuol dire tassare il patrimonio.

Le banche sono in subbuglio. È d'accordo con il governatore Mario Draghi che i matrimoni bisogna farli in fretta?Io sono l'unico che era fuori dalla cupola fino a sei mesi fa. Adesso tanti stanno venendo allo scoperto con coraggio, in un Paese in cui se freghi un risparmiatore non gliene importa niente a nessuno, ma se fai la scalata a un salotto scoppia un casino. Detto questo, per dieci anni Antonio Fazio ha creato l'illusione che il deficit di capitalizzazione del sistema creditizio italiano potesse essere compensato con un surplus di regolamentazione. Era evidente che non poteva stare in piedi.

Parliamo di politica. Ma lei all'origine non era un convinto sostenitore del maggioritario?Agli inizi degli anni 90, quando il maggioritario era la metafora del cambiamento positivo, quando era un modo per marcare la discontinuità col passato. Ma poi  ho fatto la proposta di legge sul proporzionale, convinto che fosse il sistema giusto per un paese come il nostro.

Però questa cosa delle liste bloccate è uno scempio.Tutto è perfettibile, ma il proporzionale va conservato. Il maggioritario è un sistema che funziona per il governo della normalità, come in Gran Bretagna. In Italia purtroppo dobbiamo governare complessità enormi, e oggigiorno l'intensità e lo spessore dei problemi politici  in Europa impongono larghe basi di consenso. Non a caso la Germania ha dovuto fare la grande coalizione.

Un esito che lei ha guardato con simpatia. O sbaglio? A luglio, prima delle elezioni, ho fatto un interessante viaggio in Germania. Ma in ogni caso vince la Cdl.

Ha detto Umberto Bossi a «Panorama»: se perdiamo la Lega si smarca... Nella filosofia politica della Lega il governo non è un fine ma un mezzo. Il loro  fine sono le riforme. E vinceremo anche queste.

In caso di sconfitta alle elezioni rimarrà in politica? Sono candidato al Parlamento, penso di essere eletto e voglio onorare l'impegno.

Che cosa si porta in ricordo di questa legislatura? In primis la riforma delle pensioni. E poi tre punti dell'ultima Finanziaria che vanno sviluppati: il 5 per mille per il volontariato e la ricerca, la legge sui distretti e il fondo di risarcimento per i risparmiatori truffati. Non male se mi guardo indietro.

Per un lombardo cresciuto a pane e «Corriere» l'outing di Paolo Mieli ha fatto scandalo? Sono stato collaboratore del Corriere dal 1984 al 1994, in modo molto libero. In quel periodo mi fu offerto di passare a un altro importante quotidiano di Roma, e io ho cercato di svicolare perché mi imbarazzava. E poi al liceo leggevo il Corriere.

Con cui ha mantenuto un ottimo rapporto nonostante la linea non governativa... Per la verità ultimamente mi dà più spazio La Repubblica. Ma nel 2004 il Corriere mi ha fatto scrivere ancora. Provo un sentimento di affetto e gratitudine per quel giornale, quindi non mi esprimo.

Davvero l'Europa chiude tra un anno? No, sono ottimista, perché nonostante tutto sta salendo la cifra democratica. I popoli si fanno sentire.

Quindi si tornerà a parlare di costituzione europea. Per la verità mi sembra oramai un vecchio attrezzo. Si tornerà a parlare di Europa dei popoli.

Positivo anche sull'economia italiana? Vedo che sta reagendo agli shock subiti. Pur essendo realista non credo al mito negativo del declino, alla retorica del rovinismo.

Pensi che sfortuna: ha governato l'economia nei cinque anni più critici e lascia proprio adesso che si profila una strada in discesa. Le risponderò come diceva Cavour: abbiamo governato anche le diversità.