Giulio Tremonti



Rassegna Stampa

- La Gazzetta del Mezzogiorno

Io, amico del Sud

La telefonata del presidente del Consiglio raggiunge il vicepremier e ministro dell'Economia, Giulio Tremonti, alle cinque della sera. Il ministro, accompagnato dal suo amico e capogruppo pugliese di Forza Italia, Rocco Palese, sta rispondendo alle domande della Gazzetta.

Si sposta nella stanza attigua. Ma qualche brano di conversazione di 40 minuti supera l'impenetrabilità dei muri. Argomento del colloquio è il convegno della Confindustria a Vicenza, dove ieri è intervenuto Romano Prodi e dove oggi era previsto l'arrivo del capo del governo. Berlusconi, malato, affida a Tremonti il compito di sostituirlo. Gli industriali non sono teneri con il governo. E ieri sono tornati alla carica, con Luca Cordero di Montezernolo e Andrea Pininfarina. Si intuisce dalla telefonata con il Capo che Tremonti, agli imprenditori, riuniti in Veneto, si presentarà con un controquestionario, 12-13 domande di questo tenore: «Volete la patrimoniale? Volete il programma della Cgil? Volete la tassa sulle successioni? Volete più imposte? Volete una nuova legge "626"? Volete la Cina in Italia? Volete il caro-energia? Se è così, allora votate Prodi e centrosinistra».

Finita la telefonata con Berlusconi, il viceprernier riprende il ragionamento che aveva interrotto. I temi ricalcano quelli del suo ultimo libro “Rischi Fatali”: la Cina, il costo energetico, il mercatismo, a suo dire frettolosamente voluto dalla sinistra. «Non mi piace il politichese» ripete con insistenza davanti alle domande sulla quotidianità della polemica pre-elettorale.

Ministro Tremonti, il centrodestra è pentito per aver varato una riforma elettorale che, ha scritto Ernesto Galli della Loggia, sembra avvantaggiare più Prodi che Berlusconi? «Bah, io sono pentito solo di non essermi candidato anche in Puglia. Sono rimasto cornuto a Lecce».

Sì, ma come giudica la legge elettorale? «La proporzionale è la legge elettorale giusta per questo Paese. Avevo già fatto una proposta in tal senso, anni addietro. Il maggioritario, agli inizi degli Anni Novanta, è stato la metafora, il simbolo del cambiamento. È un sistema che va bene per governare la normalità. Ad esempio in Inghilterra. Nell'Europa continentale funzionano meglio i modelli proporzionali. Poi una legge può essere migliorata, questo si. Ma la proporzionale non va cambiata. Inoltre, non darei eccessivo peso a ciò che dicono le elites, che non capiscono più ciò che vogliono i popoli. I popoli esprimono angoscia. Noi dovremo dare loro speranza».

Ma le élites devono svolgere una funzione pedagogica. O no? «Nel dopoguerra, in Italia e in Europa, i popoli mandavano i loro segnali, e le classi dirigenti erano in grado di interpretarli. Le attuali elites non sono capaci di fare altrettanto.
 

Il maggioritario in Italia ha prodotto Berlusconi. Perché l'avete cambiato? «No, Ripeto. È nato come simbolo di cambiamento per abbattere la Prima Repubblica. Il Foglio di Giuliano Ferrara ha scritto che Fini e Casini stanno preparando il «24» luglio nel centrodestra, cioè la vigilia del benservito a Berlusconi».

C'è questa atmosfera nel centrodestra? «Macché. Vedo solo che ci sono in giro troppi intellettuali. Lo dico da Bari dove ci sono stati grandi intellettuali».

La Confindustria non dà tregua al governo. Parla di Italia ferma e qualcuno ipotizza il rischio di uscita del l'Italia dal club degli otto grandi. Cosa risponde? «Le rispondo così. Io voglio dire a lei, ai pugliesi e ai lucani, che l'Italia è un grande Paese unito e tale resterà. Non ne parlerò mai male. Certo, ci sono due idee diverse di Stato, economia e società. Nelle economie di comando, comuniste, erano i governi a de-terminare l'economia e la produzione. Dal 1945 fino al Trattato di Maastricht, i governi occidentali avevano due leve: il bilancio e la moneta. Ora non le hanno più. I governi hanno il potere-dovere di creare le condizioni per lo sviluppo, ma lo sviluppo lo producono gli imprenditori, i lavoratori, 57 milioni di italiani. Il governo può e deve agire solo su alcuni fattori della produzione: l'energia, le infrastrutture, il lavoro, il sistema finanziario e i rapporti commerciali. Sono fattori decisivi, soprattutto da Quando è scattata la globalizzazione. Solo chi scrive sui siti di Scientology, fa un modello matematico e risolve il problema. Il governo di un Paese complesso non dispone della bacchetta magica. Io le dico che la sinistra sta di più dalla parte dei blocchi, noi di più dalla parte dei cantieri. L'Italia non ha il nucleare, ma il Prezzo del petrolio vola perché la Cina è diventata in tre anni il secondo consumatore del mondo. Per noi è una bolletta micidiale. Ecco perché io sto con il nucleare e la sinistra di Prodi con i doppi vetri. E così, c'è chi sta con la Cgil e chi con la legge Biagi».

Perché allora la Confindustria è così critica verso il governo? «Mi occupo di cose che considero sostanziali rivolgendomi direttamente ai cittadini. Io dico solo che abbiamo ricevuto in eredità un deficit eccessivo. Nel 2001 l'Italia è il primo Paese a sfondare il 113%. Noi abbiamo dovuto contenere conti pubblici fuori regola in anni di recessione. Quando hanno governato loro, l'economia del mondo andava bene».

Al centrodestra si rimprovera però di non aver realizzato quella rivoluzione liberale che aveva annunciato dieci-dodici anni fa. «Quando chiesero a John Kennedy se fosse un liberale, il presidente degli Stati Uniti rispose così: “Vi do un'informazione, non sono un liberal, ma un realista”. Io non so se abbiamo fatto bene. So che abbiamo fatto tutto il possibile per garantire la tenuta sociale della nazione e dell'economia, in un periodo di crisi. So che la riforma pensionistica è stata giudicata la migliore tra quelle realizzate in Europa. Potevamo fare di più? Forse. Ma abbiamo fatto il massimo di quanto potevamo».

La Banca per il Mezzogiorno, da lei ideata e varata, un'iniziativa liberale? O piuttoso dirigistica? «Mi hanno detto che D'Alema contesta l'iniziativa. Confesso un limite: D'Alema è più esperto di me di banche. Il rischio carrozzone di Stato non esiste, perché quel tipo di intervento pubblico è vietato dall'Europa: sarebbe un aiuto di Stato. Ergo, è un rischio che non esiste in natura. Il ruolo dello Stato è minimale, iniziale, è il motorino di avviamento. Il capitale della Banca dev'essere raccolto tra i. risparmiatori, tra la gente. Suggerisco le azioni da un euro, in modo che in tabaccheria uno compra un'azione. Ma il primo capitale della banca è la fiducia. Ecco perché nel comitato promotore della Banca figura, tra gli altri, vicepresidente italiano della Bei, la più grande banca del mondo. E poi tanti altri meridionali di alto livello. Entro ottobre ci dovranno consegnare il loro progetto della Banca. Mi limito a dire che quell'idea la espressi nell'ottobre 2004 quando non ero più ministro: per me è un'idea per il Sud. L'unica regione europea senza una Banca propria».

C'era il Banco di Napoli, il cui fallimento però venne forse accelerato: le sue sofferenze creditizie non erano irrecuperabili. «Dico solo che negli anni scorsi il sistema creditizio del Sud pareva fatto da un pazzo. Ma non si poteva dirlo, per via della cupola della Banca d'Italia. Le sembra giusto che le banche “pugliesi” si trovano in Toscana, quelle della Sardegna in Emilia, quelle della Sicilia a Lodi?»

La Banca per il Mezzogiorno può dare un contributo allo sviluppo. II governo ha eliminato l'automatismo del credito di imposta nel Mezzogiorno, già varato dal centrosinistra. Perché? Qual è la vostra fliosofia per il Sud? «Il diessino Nicola Rossi, che è una persona intellettualmente onesta, e forse per questo non figura tra gli eletti sicuri, ha scritto un libro molto bello da cui risulta che la quantità di capitali trasferiti dal bilancio dello Stato al Sud è cresciuta, in ogni caso non calata. E cosiddetto credito di imposta non convinceva Ciampi, che non voleva sottoscrivere il provvedimento, perché sprovvisto di copertura finanziaria. Doveva essere con altri strumenti, che però sono stati vietati dall'Europa. Comunque lei sta parlando con chi, a dicembre, ha ottenuto, dall'Europa l’ok alla fiscalita di vantaggio.

La 468 non ha funzionato molto bene nel Sud. Troppe truffe. I dati della Guardia di Finanza dimostrano che solo nel Salento si sono persi più di mille posti di lavoro perché la legge 6 stata utilizzata male. Che fare? «Nel ‘94 ho inventato il premio di assunzione, una soluzione più diretta. Non ho mai stravisto per la 468. Ci vogliono interventi più automatici. Il problema non è quanti soldi vengono trasferiti dallo Stato al Sud, ma come vengono spesi. Ci vogliono più automatismi».

Dicono che sia stato lei a convincere Rossi, che dieci anni fa parlava di secessione, a passare al federalismo... «Bossi non ce l'ha con il Sud, ma con Roma. Il Sud deve dialogare col Nord senza l'intermediazione con Roma. Io sono un tifoso e amico del Sud. L'Unione di Prodi, invece, tifa per la Cina».