Il governo è malato, vada a casa a curarsi
Dice che questa Finanziaria è tutto tranne che equa, perché «tra tasse e tributi finisce col colpire di più chi ha di meno».
Milano, novembre. Dice che questa Finanziaria è tutto tranne che equa, perché «tra tasse e tributi finisce col colpire di più chi ha di meno». E ancora: «Per risanare i conti bastava una manovra da 15 miliardi di euro. «La lotta all’evasione? Si fa soprattutto abbassando le aliquote, non minacciando i contribuenti». Infine: «No, questo governo diviso tra nove partiti non è in grado di fare le grandi e necessarie riforme».
Giulio Tremonti non fa sconti nel giudicare le recenti perfomance di Romano Prodi e Tommaso Padoa-Schioppa. Ma va oltre. Come vicepremier e ministro delle Finanze è stato uno dei protagonisti del governo Berlusconi. Oggi è vicepresidente di Forza Italia. Ma è anche tante altre cose. Insegna all’Università di Pavia. Scrive libri e l’ultimo, Rischi Fatali, è uscito l’anno scorso. Tiene dibattiti e conferenze in giro per il mondo. È presidente del prestigioso Aspen Institute. Ma soprattutto, al momento, è uno dei più severi critici del governo Prodi. A cui augura, senza tanti giri di parole, di «cadere al più presto».
Professor Tremonti, proprio in questi giorni ben due agenzie di rating hanno declassato l’Italia. Colpa della manovra economica di Prodi o dei conti lasciati dal precedente governo, cioè da voi? «Facciamo un passo indietro. Nel gennaio del 2005 il giudizio delle agenzie fu sospeso in attesa delle elezioni. In luglio fu sospeso di nuovo in attesa della Finanziaria. Se il doppio declassamento è scattato oggi non può che essere riferito alla manovra economica di Prodi. Da italiano mi dispiace. Perché, come si dice, ”it’s my country”, giusto o sbagliato è il mio Paese. Ma basta leggere il rapporto sull’Italia delle agenzie per rendersi conto che non hanno guardato al passato, ma al presente. Hanno detto che questa finanziaria è da bocciare. Per quello che c’è. E per quello che non c’è».
Partiamo da quello che c’è. «Troppo tasse che deprimono l’economia. Non solo: troppe invenzioni e falsità. Il Tfr è un debito, non puoi metterlo nelle entrate, a copertura della manovra. Idem la lotta all’evasione: prima la fai e poi la conteggi, non viceversa. Infine: i risparmi di spesa, solo annunciati, non sono altro che atti di fede».
Padoa-Schioppa sostiene che questa Finanziaria pesante era indispensabile per riportare il disavanzo entro i parametri europei, cioè sotto il 3 per cento del Pil. E che il governo Berlusconi ha lasciato conti disastrosi. «Guardi, alla storia dello sfascio dei conti non crede più nessuno. Distinguiamo il 2006 dal 2007. Sul 2006 c’è l’effetto della nostra Finanziaria. Sul 2007 la responsabilità è dell’attuale governo. Il nostro 2006 ha centrato tutti gli obiettivi, come dice l’Istat, nel cui ultimo bollettino, relativo ai primi sei mesi dell’anno, è scritto che siamo già sotto il 3 per cento del Pil. Lo stesso governo Prodi sul 2006, si è limitato a un intervento correttivo dello 0,1 per cento. Quale miglior prova del fatto che il 2006 è in linea? E per il 2007, nella tabella riassuntiva della Finanziaria presentata dal governo, c’è scritto che dei 35 miliardi di cui è fatta la manovra solo 15 servono a correggere i conti».
E i restanti 20 a che servono? Questo governo aveva promesso di non mettere le mani nelle tasche degli italiani. Se fosse bastata una Finanziaria da 15 miliardi, perché mai farne una da 35? «Questo è un affascinante mistero... Guardi, in realtà io vedo una grande confusione. Si potevano fare tre tipi di finanziarie. Una che correggesse i conti e basta: in una visione liberista dello Stato, lo sviluppo economico lo fa l’economia e non il governo. Oppure, una seconda scelta: non limitarsi alla correzione dei conti e fare una manovra più ampia concentrandosi su uno-due punti fondamentali, per esempio sulla ricerca scientifica e le infrastrutture. La terza via è quella che hanno seguito loro: fare un caos assoluto. Questo è una Finanziaria che contiene tutto e il contrario di tutto».
Dicono di aver voluto perequare le differenze sociali, per equità. «Non vedo dove sia l’equità. Questa è una Finanziaria che aumenta i bolli, il riscaldamento, le rendite catastali, l’Ici. Mette le addizionali, tassa il risparmio e le successioni. Nell’insieme ci perdono tutti. E dato che tutti questi prelievi sono uguali a prescindere che tu sia ricco o povero, alla fine si va a colpire chi guadagna di meno».
È anche prevista una seria lotta all’evasione fiscale. «L’evasione fiscale in Italia c’è, è forte e sicuramente va contrastata. Ma ci sono due ricette per combatterla. La nostra è ridurre le aliquote e rendere credibile lo Stato. La loro è aumentare le tasse e minacciare sanzioni».
La vostra ricetta comprende anche condoni a ripetizione? «Assolutamente no. Intanto questo governo che ha detto “mai più condoni” ne ha fatto uno enorme sul lavoro. E ce n’è un secondo in arrivo sulla previdenza agricola. Dopodiché, se qualcuno mi spiega come facevo, da ministro dell’Economia, a pagare pensioni e sanità in cui non c’era crescita, senza usare i condoni, io lo ringrazio. È difficile dire a un ammalato che non gli dai le medicine perché il Pil non cresce abbastanza. La verità è che non avevo altra scelta. E comunque non è vero che i condoni fanno calare il gettito fiscale. Al contrario, fanno emergere materia imponibile. E infatti nei primi mesi del 2006 le entrate sono aumentate anche per questo».
Ci sarà pure qualcosa di buono in questa Finanziaria. Hanno tagliato di tre punti il costo del lavoro. «Questa è una cosa giusta. La riduzione del cuneo per un punto percentuale l’abbiamo introdotta noi nella Finanziaria 2005. Loro hanno tagliato 2 punti e mezzo per due anni. Ottima cosa. Però non la finanzi con il Tfr, cioè con la rapina delle liquidazioni».
Diceva che questa Finanziaria è da bocciare anche per quello che non c’è. Cioè? «Non c’è una maggioranza capace di fare le riforme necessarie al Paese. Per esempio la riforma delle pensioni. Quella fatta da noi è considerata la migliore d’Europa, loro sono stati eletti dicendo che la smontavano. Con cosa la sostituiscono? Ma più in generale, non si può governare con una maggioranza del 50,001 per cento».
Il governo Berlusconi ha governato con una maggioranza assai forte. Eppure non si sono visti miracoli. Molte riforme sono rimaste sulla carta. O no? «Guardi, io sono all’opposizione e il mio compito è giudicare quello che fa Prodi, non quello che ha fatto Berlusconi. Dopodiché, se lei mi chiede un oggettivo bilancio degli ultimi cinque anni, allora occorre fare una seria analisi della situazione».
Facciamola. «Innanzitutto, non si può valutare la posizione dell’Italia se non si valuta quella dell’Europa. Perché siamo un continente geografico, siamo un mercato, abbiamo una moneta comune, abbiamo fondamentalmente una storia e un destino comuni. In questi ultimi 5 anni l’economia europea è andata male: abbiamo attraversato la crisi più pesante dal dopoguerra a oggi. E se l’economia non va, anche i conti pubblici non tengono. La Germania ha avuto anni di crescita zero, un debito pubblico che è esploso, l’avanzo primario è andato sotto zero... Colpa mia? Colpa del governo italiano? E se è andata così in Germania come poteva andare diversamente da noi? D’altra parte non possiamo dimenticare cos’è successo di specifico in questi anni in Italia».
Cos’è successo? «Abbiamo avuto due impatti forti: euro e Cina. Sì, l’ingresso nell’euro di per sé è stato positivo, ma ha prodotto alcuni effetti negativi. L’industria italiana è passata da decenni di svalutazione alla supervalutazione dell’euro. È stato uno choc. Le famiglie erano abituate a far la spesa coi Bot. Il frigorifero nuovo, il viaggio, il cappotto, te li pagavi con gli interessi sui bot. Ora il risparmio non rende più. È stato un secondo choc».
È il meccanismo per cui si è formato l’enorme debito pubblico italiano. «Non sto magnificando Bot e svalutazione della lira. Sto spiegando il passaggio dalla lira all’euro è stato complesso. Anche nella vita materiale. Da mezzo secolo abbiamo perso l’abitudine di maneggiare le monete metalliche ad alto valore. Un euro sembra una monetina, ma sostituisce due pezzi da 1.000 lire. È per questo che ho proposto, non ascoltato, di fare la bancanota di 1 euro di carta, come c’è il biglietto da 1 dollaro... mi hanno rimproverato: dovevi tenere i cartellini con i doppi prezzi più a lungo. Ma guardate ancora oggi come la gente maneggia le monetine sul piattino del caffé, o per i resti all’edicola, dopo 4 anni di euro».
E la Cina? È una concorrenza pesante per tutti. «Ma rispetto ad altri Paesi la nostr aindustria è stata assai più esposta alla concorrenza sleale dell’Asia. Perché abbiamo molte piccole imprese che operano sul tessile, sulle calzature. Dalla Cina siamo stati investiti di più e per primi. E quindi se si sommano tutti questi fattori, l’euro e la Cina, e la crisi europea, si capisce come negli ultimi 5 anni siamo passati attraverso una fase durissima che ha spiazzato il nostro sistema industriale. Eppure io in coscienza credo che noi abbiamo lavorato bene. Abbiamo fatto il possibile. Abbiamo garantito la tenuta sociale del Paese. Non ci sono state gravi crisi sociali o finanziarie. Tenga presente che abbiamo il terzo debito pubblico del mondo, ma non siamo la terza economia del pianeta. E gestire il terzo debito del mondo in recessione non è semplice. Nonostante tutto siamo riusciti a fare riforme importanti: le pensioni, la legge Biagi sul lavoro, le infrastrutture, il diritto fallimentare, il societario. In grande solitudine, ho fatto la battaglia contro Fazio per modernizzare il sistema bancario. Scoprendo quanto i poteri forti fossero davvero forti... Abbiamo sbloccato il mercato. E oggi, finalmente, cominciamo a vedere segnali di ripresa».
Ma la situazione resta complicata. Anche per Prodi non sarà facile governare. «Governare in Europa, lo scrivo da anni, è diventato difficile. La prova è che tutti i governi in carica perdono le elezioni. La politica ha cambiato dinamica. Prima si spostava da destra a sinistra e viceversa. Ora va in una sola direzione: contro i governi in carica. Negli ultimi mesi si è visto in Svezia e in Austria. Se c’è un’eccezione siamo noi, che abbiamo sostanzialmente pareggiato. Ma ovunque chi governa perde. Perché? I governi sono diventati incapaci? No. Ormai la dimensione dei problemim che un governo si trova a risolvere sovrasta i normali strumenti della politica. Se il mondo diventa globale, la politica non può restare locale e divisa. In Germania hanno inventato la grande coalizione».
La vorrebbe in Italia? «Nel 2004 ho scritto che servivano meccanismi di tregua temporanei per fare le riforme strutturali imposte dalla globalizzazione. Poi è arrivato il caso della Germania. Dopo le elezioni, visto il sostanziale pareggio, l’ipotesi fu di attuare qualcosa di simile. È stata rifiutata. Io insisto: in momenti difficili è impossibile governare seriamente avendo il 50,001 per cento. E ripeto: attenzione, abbiamo il terzo debito pubblico del mondo, ma non siamo la terza potenza. Servono riforme che questo governo non è in grado di produrre. Noi le nostre le abbiamo fatte. Adesso ne occorrono altre. D’altra parte, questa è una coalizione che dice: dobbiamo resistere, “sennò si va a votare”. Ma un governo esiste per fare, non perché “sennò si va a votare”. Questo è un governo che ha già autodecretato la sua fine».
Lei lo vorrebbe veder cadere? «Bertinotti ha detto che questo governo gli ricorda “quelle persone che sono piene di malattie, ma poi vivono a lungo”. Ecco, non mi sembra che il Paese abbia bisogno di questo, di essere governato da chi ha pessima salute. Francamente viviamo int empi che non lo consentono. Sì, mi auguro che vadano a casa. Per il bene di tutti».