Giulio Tremonti



Rassegna Stampa

- Secolo d'Italia

E Tremonti ride, anche il Prc ha nostalgia di lui

Giulio Tremonti si mostra meravigliato, ma non troppo. «Sul serio – chiede moderatamente sorpreso, ma molto divertito – Rina Gagliardi su “Liberazione” ha parlato bene di me?».

Roma. Giulio Tremonti si mostra meravigliato, ma non troppo. «Sul serio – chiede moderatamente sorpreso, ma molto divertito – Rina Gagliardi su “Liberazione” ha parlato bene di me?». Avuta la conferma che l’editorialista comunista sul quotidiano di Rifondazione lo ha addirittura additato come esempio alle generazioni di giovani di sinistra che si “affacciano alla politica” al posto dei neoliberisti Bersani e D’Alema, l’ex-ministro sospira compiaciuto. «Questo vuol dire – spiega – che le mie provocazioni colgono nel segno».

Tutto ha avuto origine da un intervento di Tremonti alla Fondazione Nuova Italia. In quell’occasione l’esponente azzurro ha infatti detto che il «mercatismo è finito» e che la «politica non è un’azienda, ma il suo contrario». Parole ed espressioni, queste, che evidentemente hanno fatto ritenere all’attentissima Rina, di trovarsi di fronte ad un Tremonti folgorato su quella via di Damasco che porta diritta al socialismo.

«In realtà – spiega l’ex-ministro – le cose non stanno proprio così. Io sono e resto un liberale. Questo non vuol dire che non mi renda conto della crisi in cui versa quella che io chiamo l’ideologia “mercatista”. Queste tesi, del resto, io le ho espresse compiutamente ed argomentandole nel mio ultimo libro che si intitola “Rischi fatali” e che ha come sottotitoli esplicativo: “L’europa vecchia, la Cina, il mercatismo suicida: come reagire”. Nel libro – sostiene Tremonti – spiego che a mio avviso due date hanno cambiato irreversibilmente la struttura e la velocità del mondo in cui viviamo: il 9 novembre 1989, crollo del muro di Berlino, e il 15 aprile 1994, stipula dell’accordo del Wto sul libero commercio mondiale. La fine del mondo comunista e l’irruzione sul neonato mercato globale di nuovi agguerriti competitors, in particolare della Cina, hanno segnato per l’Europail passaggio dall’età dell’oro (che va dagli anni ’50 agli anni ’90) ai tempi di ferro. Ma non è tutto perduto. L’Europa deve innanzitutto capire cosa è successo, individuare i campi in cui l’intervento è ancora possibile e reagire con un programma realistico».

Non trova comunque alquanto strano che l’estrema sinistra tessa il suo elogio ora che lei è all’opposizione dopo averla letteralmente crocifissa quando aveva responsabilità di governo? Persino il segretario del Prc, Franco Giordano, le ha fatto indirettamente un elogio, quando, parlando della Finanziaria, ha sostenuto che su certe cose, se avesse avuto mano libera Rifondazione «avrebbe fatto come Tremonti». Siamo al «ridatece er Puzzone»?

«Evidentemente  anche l’estrema sinistra si è convertita al “revisionismo”. La verità è che, comunque, anche se sono critico nei confronti del “mercatismo” che, a mio avviso ha espropriato la funzione della politica, resto lontanissimo dalle posizioni della sinistra. Non a caso considero un’autentica jattura questa Finanziaria perché la ritengo ispirata a una cultura ormai tramontata, quella del ’68, e varata con una mentalità da dimenticare».

Eppure la sinistra sostiene di avere il monopolio della cultura della modernità.

«Quando ci dicono che noi non abbiamo cultura io ricordo che la Cdl in questi anni ha aperto tutti i dossier della modernità. L’unica proposta della sinistra non è fare la riforme ma le controriforme. La cultura se la tengano pure, ma siamo noi ad avere la maggiore capacità politica da mettere al servizio del Paese. Qualcuno ci dice che non stiamo facendo abbastanza. Ma se ciò è vero e siamo, stando a tutti i sondaggi, al cinquantasette per cento, se facciamo qualcosa, arriviamo al settanta».

Per lei insomma, questa è una manovra datata e antiquata nella forma e nella sostanza.

«Indubbiamente. Questa Finanziaria ha due anime: la prima è quella, classica della sinistra, che trasferisce allo Stato, o comunque alla mano pubblica, risorse per finanziarie lo sviluppo e promuovere una maggiore equità sociale. La seconda anima è quella riformista, che crede nel mercato ed è, in un certo senso, liberalizzatrice. Ebbene, questa volta, hanno clamorosamente fallito entrambe».

Fallito in che senso?

«Da che mondo è mondo, i governi di sinistra hanno sempre cercato di finanziarie lo sviluppo con l’aumento del deficit. Questa volta, invece, il governo Prodi ha fatto ricorso alla leva fiscale aumentando le tasse. Il che è un vero proprio paradosso. Un paradosso che sta ora venendo al pettine e che rischia seriamente di travolgerlo».

Lei ha comunque parlato di un duplice fallimento...

«Certo. Anche la via riformista si è rivelata un disastro. Hanno voluto liberalizzare, ma non hanno la cultura, le tradizioni, la storia e le competenze necessarie per fare questo tipo di riforme. La vicenda dei tassisti è emblematica: prima hanno voluto legiferare in un settore, quello del trasporto locale, che non è di competenza del governo, ma degli enti locali. Poi hanno dovuto consentire all’aumento delle tariffe per compensare quello delle licenze e tacitare le proteste dei tassisti. Fatta in nome degli interessi dei consumatori la liberalizzazione si è rivelata punitiva e vessatoria proprio nei confronti di questi ultimi. Se continuano così alle prossime elezioni la Cdl vincerà sicuramente con una maggioranza bulgara».