Giulio Tremonti



Rassegna Stampa

- La Repubblica

"Chiarezza su rischi e strategia o l'opposizione voterà contro"

L'altolà dell'ex vicepremier Tremonti: dopo il sì in commissione, il nostro atteggiamento è sospeso. Finora noi del centrodestra abbiamo agito con lo spirito di Churchill: giusto o sbagliato, è il mio Paese.

ROMA - "Finora il centrodestra ha agito con lo spirito che anima l'opposizione nei grandi Paesi di tradizione democratica occidentale: My country, il mio Paese prima della mia parte politica. Abbiamo espresso alla Camera un voto positivo ma condizionato e comunque preliminare sulla missione in Libano. Conseguentemente la nostra posizione resta sospesa. Aspettiamo chiarimenti, sulla posizione dell'Europa come comunità politica, sulla "missione della missione", sulla linea della maggioranza. Dalle sedi internazionali ai vertici militari, ci pare che la "cifra" dominante sia per ora quella dell'incertezza. Un'opposizione seria e responsabile deve tener conto anche di questo". Giulio Tremonti, ex vicepremier, ex ministro dell'Economia e vicepresidente di Forza Italia, lancia un altolà al centrosinistra: in Libano si va solo se c'è l'Europa e se sono chiari la natura, gli scopi e i costi della missione.

Professor Tremonti, finora tutto si può dire, meno che il governo non vi abbia informato e, entro certi limiti, coinvolto nelle decisioni.
"Prima di esprimere anche in Parlamento la nostra valutazione finale, vogliamo conoscere nel dettaglio l'intensità dei pericoli sul terreno per le nostre truppe e lo scenario futuro. Al momento, non c'è niente di tutto questo. Due risoluzioni Onu in sette giorni, assenza di un indirizzo comune europeo: mi pare che per ora regni solo una grande confusione".

Israele, Libano, Kofi Annan, ora anche Putin: tutti concordano nel dire "l'Italia guidi la missione". Cosa c'è che ancora non vi convince?
"Prendiamo atto che oggi l'Italia, e non il governo Prodi, ha acquisito una posizione di rilievo, in ragione della sua storia, della sua tradizione, dello standing internazionale accumulato negli ultimi anni. L'impressione è ora che il governo Prodi sia stato più vittima che artefice dei processi in atto. La sensazione non è che Prodi abbia cercato un ruolo, ma che gli altri abbiano cercato Prodi per affidargli un ruolo".

Il risultato non cambia. L'Italia è in prima fila, forse con tanto di mandato conferito dalla Ue. Non è un successo, secondo lei?
"La mia impressione è che si tratti più di un insuccesso dell'Europa che di un successo dell'Italia. L'impressione è che l'Europa si muova sul quadrante mediorientale come la vecchia Società delle Nazioni. La missione non è assunta dall'Europa, ma è attribuita dall'Europa all'Italia per mandato, per "interposta nazione". La parola mandato, l'esperienza storica dei mandati non è propriamente positiva. Ha una matrice confusa, ne deriva un effetto politico confuso. La formula del "mandato all'Italia" è atipica, e mi sembra fuori dallo spirito europeo. La drammaticità della crisi mediorientale richiede una soluzione europea, non "quasi europea"".

Che intende dire? Che significa "quasi europea"?
"Non è una questione di quantità di mezzi che si inviano, e neanche di quantità che fa la qualità. È una questione di cifra politica: o c'è l'Europa in quanto Europa, con la pienezza e la titolarità delle sue funzioni politiche, come corpo politico che finalmente assume una dimensione unitaria - o non c'è l'Europa. Una parte non può sostituire il tutto. Il vuoto dell'Unione europea non può essere compensato dal super-ruolo affidato a un membro della Ue".

Per questo D'Alema ha chiesto e ottenuto il vertice straordinario di venerdì. Non le sembra una garanzia sufficiente? Le è parso anche quello un atto velleitario e avventurista, difetti che spesso la destra rimprovera al ministro degli Esteri?
"Le colpe presenti e future del governo Prodi sono e saranno diverse. Certo, si sono notati una forte volontà di protagonismo, un certo grado di superficialità nei comportamenti, un discreto tasso di improvvisazione. A un certo punto si è avuta l'impressione che si potesse equiparare Condoleezza Rice a Giovanna Melandri. È evidente che il peso della componente non occidentale, nella coalizione di centrosinistra, resta preponderante, e questo non può che accrescere le nostre preoccupazioni sull'evoluzione della missione in Libano".

Per ora, almeno sulla missione in Medioriente, queste posizioni "non occidentali" non sono ancora emerse.
"Il rischio non marginale è che le divisioni tra le forze in campo, da una parte Israele dall'altra parte Hezbollah, si riproducano all'interno della missione italiana, come riflesso della divisione politica in essere all'interno della coalizione di governo: da una parte filo-israeliana, dall'altra parte filo-Hezbollah. Il rischio è che alla confusione esterna si aggiunga simmetricamente una confusione interna. Ma il problema di fondo, il più grave, è un altro. La sensazione è che sul quadrante mediorientale l'Italia abbia uno scenario di missioni estere, ma non abbia uno scenario di politica estera".

E invece il governo Berlusconi ce l'aveva? Per restare a Churchill, la vostra unica politica estera non era forse "giusto o sbagliato, stiamo con gli Stati Uniti"?
"La nostra politica estera, sul Medioriente, si sintetizzava e si sintetizza in una formula: Israele più Piano Marshall. Una grande politica a sostegno delle economie del mondo arabo. Piaccia o no, questa è stata la grande idea politica di Silvio Berlusconi. Oggi, al contrario, esclusi alcuni esperimenti nell'area di Gaza, uno scenario di politica economica di sostegno in quelle aree è ancora assente. Ricordo ancora un incontro con Netanyahu, che tratteggiò davanti ai miei occhi su un pezzo di carta il percorso di una ferrovia dal Mar Rosso al Mediterraneo, mirata a canalizzare il traffico commerciale tra oriente e occidente, unificando in un comune destino economico paesi diversi. Non so se quel piano era realizzabile, o era solo una generosa utopia. Ma so che quella era ed è la logica giusta. La politica dell'Occidente e dell'Europa, sul quadrante mediorientale, non può essere limitata alle missioni militari. Il vero peacekeeping non si fa con i soldati, ma con le infrastrutture".

Facile a dirsi, adesso che siete all'opposizione.
"Senta, la storia non si ripete e la scala dei fenomeni è radicalmente diversa, ma l'Italia di Moro e di Mattei aveva una politica estera per quell'area del mondo. Si può essere in accordo o in disaccordo con quella politica, ma resta il fatto che quella era una politica. Oggi, invece, è proprio la politica che manca. E la politica militare è un caso in cui l'aggettivo cancella il sostantivo".

Potevate pensarci voi, invece di dire che quella islamica era una "civiltà inferiore".
"Non l'abbiamo mai pensato. Al contrario, siamo sempre stati convinti che per uno scenario di pace futuro fosse necessario conoscere la storia e rispettare le ragioni dell'Islam. E siamo sempre stati convinti che fosse, e sia profondamente sbagliato ridurre tutto all'utilizzo di quelle regioni come aree di estrazione mineraria e di invasione commerciale e para-coloniale. Quello che manca, oggi, è una visione politica generale dei fenomeni in atto. A tutti i livelli".

Cosa intende dire?
"Libano, Londra, Lampedusa. Ma anche Padova, con l'esperimento sinistro del muro razziale. E Brescia, con la sua "casa di Atreo", versione moderna di una tragedia eterna, omicidio rituale, forma atipica di esercizio dello jus sanguinis. Infine, la nuova legge sulla cittadinanza. Tutto si tiene. Globale e locale. Esterno ed interno. Fatti grandi e fatti che non sono o non sembrano grandi, ma lo sono per quello che simbolizzano e anticipano. Segni premonitori di un futuro in incubazione".

Professor Tremonti, da cosa nasce tanto pessimismo?
"Non è pessimismo, è realismo. Abbiamo l'impressione di vivere in un mundus furiosus. Come nel '600 l'apertura degli spazi atlantici ha squassato gli equilibri secolari interni dell'Europa e ne ha fatto crollare il vecchio ordine chiuso, così in questo secolo l'apertura totale del mondo in una nuova geografia piana da un lato ha oggettivamente ridotto vecchie forme di conflitto, ma dall'altro lato ha moltiplicato fattori nuovi di contrasto. Quale sarà la somma finale? Sarà positiva o negativa?".

Lei che pensa?
"Quello che so, è che è stato inutile illudersi in Occidente, in Europa, in Italia, che tutto fosse gratis e che tutto sia colpa dell'Islam. Gratis: la possibilità di avere per sempre benzina a basso costo, manodopera a basso costo, badanti in sostituzione dei doveri familiari, opportunità nuove ed illimitate di mercato e di consumo. L'illusione che la vita sia una commodity, che tutto sia e stia nel Pil, che sia possibile fabbricarci un nostro colonialismo interno, a domicilio. Dal Medioriente all'Iraq, dal terrorismo agli sbarchi clandestini, tutto dimostra che la cambiale sta venendo a scadenza".

Quale cambiale?
"Per esempio la legge sull'immigrazione portata vanti dal governo Prodi. Tutto fa intendere che, purtroppo, si andrà ad un referendum popolare abrogativo".