Bruxelles fermi la Francia o l' Europa tornerà indietro
Il protezionismo è un rischio mortale. Da anni predico le fusioni, ma Fazio ha ignorato i cambiamenti: con lui il potere si è trasformato in orgia.
ROMA - Ministro Giulio Tremonti, la guerra tra Enel e Suez sancisce la fine dell' Europa? «Siamo all' agenda europea di Napoleone: un unico sistema di pesi e misure, un' unica moneta, un' unica Corte di giustizia, un unico codice. Dopo due secoli abbiamo le prime tre voci dell' agenda, rischiamo di perdere la quarta. Perché la Francia sta fabbricando un suo nuovo codice. Il codice unilaterale del protezionismo nazionale. La Francia produce più storia di quanta riesce a consumarne. Il referendum popolare francese sulla Costituzione europea ha bloccato il passo avanti dell' Europa politica. Ora il protezionismo francese fa fare all' Europa un passo indietro». Tra voi c' è chi, come Scajola, dice che questa è solo una "vertenza" sull' energia. «Quello dell' energia è solo un casus belli. Invece dell' energia poteva esserci la finanza: banche , assicurazioni, altri asset strategici. In realtà il caso francese ha effetti estesi alla politica. Politica ad alta intensità. L' alternativa è tra due modelli. Il modello progressivo del mercato unico, con una moneta unica e con la prospettiva (per ora differita) di una politica europea comune: il modello in essere. Il contro-modello politico che rischia di arrivare è invece regressivo: la Ue che passa dallo status evoluto di mercato unico a semplice area di libero scambio. Libera circolazione delle merci ma non dei capitali. Dei prodotti, ma non dei mezzi di produzione. Le dogane che si spostano dalla geografia piana alla geografia verticale dei capitali. Per le merci apertura europea, per la proprietà chiusura nazionale. Così, per decenni abbiamo avuto in Europa un mercato comune senza una moneta comune. Ora abbiamo una moneta comune ma si sta assottigliando il mercato comune. La prima asimmetria è stata politicamente meno problematica di quanto può rivelarsi la seconda». Ma come può risolvere il caso Enel-Suez, questa Europa asimmetrica? «L' Unione può gestire il caso seguendo tre vie diverse. La prima è agnostica: in diplomazia è la logica del fin de non recevoir. La seconda via è cinica: può dire che il caso della Francia è contro lo spirito ma rispetta la lettera delle regole europee. Si dimentica in questo modo l' esprit de loi, secondo cui la lettera senza lo spirito della legge è lettera morta. La terza via è politica: ed è quella che abbiamo iniziato martedì a Bruxelles». Diciamolo onestamente: con scarse possibilità di successo. Vince sempre il più forte, con questa Commissione oggettivamente debole~ «A me sembra il contrario. La reazione della Commissione è stata molto tempestiva e molto forte. La lettera inviata venerdì al governo francese, appena due giorni dopo i nostri incontri di Bruxelles e appena un giorno dopo l' invio del memorandum dell' Enel, è molto forte e molto responsabile. Non solo nella Commissione ci sono personalità politiche molto forti e lungimiranti, ma soprattutto per la sua composizione questa è la prima commissione indipendente dai governi». Ministro, lei è troppo ottimista. Fa finta o ci crede davvero? «Le trasferisco "verbatim" quello che ho detto a Bruxelles: l' alternativa agnostica o cinica trasformerebbe l' Unione europea in qualcosa di simile alla vecchia Società delle Nazioni. Quello che dopo anni di grandi speranze era diventato il paradigma del fallimento internazionale, quello che sinistramente veniva chiamato un castello di carte controllato da un pugno di dattilografi. Il destino del Berlajmont come target per un' operazione di real estate~». Il problema vero è che, come ha ripetuto ieri il governatore della Banca d' Italia, in Europa torna ad aggirarsi lo spettro del protezionismo. «Sì, ma dalla parte sbagliata. L' Europa è liberista con la Cina e protezionista con se stessa. Non fa quello che dovrebbe fare e fa quello che non dovrebbe fare. Per decenni, dal 1945 al 1994, l' Occidente e l' Europa hanno regolato i loro rapporti con il Giappone, che era l' Asia di allora, con un forte sistema di dazi e quote. Che ha marcato il progresso da entrambi i lati. Eppure nessuno ha mai sostenuto che fosse un meccanismo illiberale o anticapitalistico. Aggiungo che protezionista è chi dice 'corro da solo' o chi dice 'corriamo insieme ma per me il metro è di 90 centimetri, per te è di 100' . L' Europa invece si fabbrica da sola e ad uso interno un metro da 150 centimetri e fa competere le sue imprese con concorrenti per cui il metro è di 0 centimetri. Così non deve proteggersi solo dall' esterno, ma anche da se stessa. L' ultima scoperta, il cocktail micidiale tra liberismo esterno, eccesso di regolamentazione, e da ultimo protezionismo interno, può essere un davvero un 'rischio fatale' per l' Europa. Questo, il primo decennio del nuovo millennio, avrebbe dovuto essere il decennio perfetto. Disegnato per l' Europa direttamente dalle sue élite monetarie e bancarie. Il decennio degli economisti. E' invece il decennio dell' implosione. La dissociazione tra i popoli e le élite, che hanno perso la capacità di guardare la realtà e dunque di rappresentarla. E per questo che i popoli hanno paura delle mutazioni imposte da fuori sul vecchio ordine europeo, e diffidano delle élite di governo. Quasi sempre hanno ragione». Analisi perfetta per un euroscettico di provata fama come lei. «Chi negli anni ' 90 ha previsto la crisi di questa Europa, dall' economia alla politica, dal rallentamento della crescita al blocco della costituzione, chi denuncia il suicidio mercatista, esprime una sua idea di Europa. Un' idea diversa, ma non un' idea contro l' Europa. Ora le élite sono annichilite, come contadini a cui è stato maledetto il raccolto. Ma sono le stesse che negli anni ' 90 e ancora negli anni scorsi usavano la parola euroscettico come condanna. La prova che dell' Europa avevano un' idea assoluta. La prova della mentalità comunista trasferita in contesto europeista. L' Europa costruita come nuova chiesa laica e di qui l' anatema: "ex ecclesiam nulla salus"~». Lei la butta sull' ironia. Ma in questi anni il centrodestra al governo, e anche lei come ministro, non avete lesinato i colpi di piccone all' Europa. «Secondo lei proporre la banconota da un euro è contro o a favore dell' euro? E condurre bene un semestre di presidenza europeo? E proporre e fare approvare in sei mesi il piano di finanziamento delle infrastrutture europee? E fare in campagna elettorale una Finanziaria di rigore approvata dall' Europa?». Le devo ricordare la crescita zero e l' andamento tutt' altro che esaltante dei conti pubblici? Le devo ricordare la vostra opera di destrutturazione del Patto di stabilità? «Non mi sembrava che imporre sanzioni alla Germania fosse una buona politica. L' ultima volta che qualcuno ci ha provato si è visto come è finita. In realtà quel passaggio non solo non ha prodotto effetti negativi sulla tenuta dell' euro, ma in positivo ha portato alla riscrittura del patto di stabilità meno rigido e dunque più intelligente di prima. Invece di proporre le sanzioni in negativo, al principio dell' autunno 2003 Prodi avrebbe dovuto e potuto proporre questo in positivo. Ora gli effetti a cascata e la diffusione per orbite del protezionismo sono in atto. Nuove leggi, nuove prassi. Sta emergendo in Europa un cupo folclore di difensori, guaritori, stregoni, sciamani. Se vuole avere un' idea di quello che succederà di sciovinismo, di cinismo e di particolarismo, le suggerisco di guardare ancora a Prodi». Di nuovo? Che c' entra Prodi, adesso? «E' un uomo che ha passato dieci anni a predicare e a fare regole europee. Gli sono bastati dieci giorni per incitare a violarle. Alla fine è una politica che non è più credibile né come europeista né come protezionista». La questione vera è la posizione francese, non quella dell' Ulivo. Come risponde alle mosse del governo di Parigi? «Mi limiterò a commentare le dichiarazioni pubbliche. Il ministro degli Esteri francese ha avuto modo di dichiarare con molta diplomazia: "questo governo ama la vittoria". Espressione non nuova. Ricorda Bismarck, quando gli chiedono se vuole la guerra e lui dice "ovviamente no, voglio la vittoria". Lo informiamo sul fatto che nella tipologia delle vittorie esiste anche la vittoria di Pirro. La mia impressione è che un' ampia quota della politica francese, dopo aver perso il referendum, cerchi ora con un eccesso tardivo una legittimazione protezionista contraria. Ma così facendo, forse ottiene un successo tattico. Forse. Certo un insuccesso strategico. Quello che la Francia conserva di acqua perde di storia. Da qui in avanti, questo tipo di politica può diventare il paradigma delle politiche nazionali, ma cessa di essere politica europea, e quindi politica per il futuro». Sarà anche come dice lei. Mi chiedo però che cosa vince l' Italia. «L' Italia ha seguito e seguirà fino in fondo il percorso istituzionale. Non adotteremo una linea irresponsabile. Non ci avventureremo in ritorsioni, come suggerisce l' opposizione. Non faremo ricatti». Dichiara questo proprio lei, che ha riportato nel dibattito pubblico il colbertismo? «Le citerò Kennedy: a chi chiedeva "ma lei è un liberal" rispondeva "le do un' informazione: non sono un liberal, sono un realista". Lo stesso vale per Colbert. Da una parte si dice "facciamo squadra", dall' altra parte mi si contesta perfino una dovuta riunione del Cicr. Se si guarda bene nei veri numeri del "declino italiano", se si guardano non solo le debolezze ma anche le forze, soprattutto se si smette di segare il ramo su cui stiamo seduti, essendo l' economia fatta anche da aspettative, e se si dice che molto va fatto ancora ma se si smette di dire che niente è stato fatto finora, possiamo tranquillamente farcela». Anche Draghi, ieri, ha invitato il sistema italiano a integrarsi e a rafforzarsi. Nel frattempo, dopo il raid di Paribas su Bnl, c' è chi riabilita Fazio e la sua battaglia per l' italianità. «E' da tanti anni che predico integrazioni e fusioni. Prima in assoluta solitudine, poi da agosto dell' anno scorso tanti hanno cominciato a seguire quella strada. Lo considero un successo personale. Quanto a Fazio, è stato in questi ultimi anni come i vecchi generali tra le due guerre mondiali. Con il filo spinato e la supertrincea Maginot, ignorando la forza politica del motore a scoppio. A un deficit di capitalizzazione si sopperiva con un surplus di regolamentazione. Il fine giustificava i mezzi e il potere si trasformava in un' orgia. Come in guerra, la miglior difesa è l' attacco, così tra le banche la migliore difesa è la fusione. L' enorme stock di risparmio italiano non deve solo essere causa di attrazione dall' esterno in Italia, ma spinta di proiezione dall' Italia verso l' esterno». Come uscirà la Ue, da questa prova? «La struttura dell' Unione europea, quasi "stato federale" sta entrando in crisi. Forse regge la dialettica interna, ma non regge sotto la spinta esterna. Disappearing Europe...». E se si tornasse dal modello federale al metodo intergovernativo? «Perché ci sia il metodo intergovernativo ci vorrebbero i governi. Anche i governi sono in crisi. Con il romanticismo è finito il nazionalismo, con l' ideologia è finita la vecchia politica. Il caso della Germania lo indica. Con il debito pubblico è in crisi il Welfare State. Il protezionismo interno non è una prova di forza, ma all' opposto, di debolezza. All' alba di questo secolo non si va avanti con le politiche di due secoli fa. Gli Stati nazionali non sono una forma fissa, non sono una inesorabile gabbia meccanica che si cala sulla realtà. Dopo la guerra una élite politica illuminata ha ridotto il potere dei governi nazionali e lo ha devoluto all' Europa. Ora questo passaggio lo faranno e lo imporranno i popoli europei».