Serve un'aliquota di vantaggio per attrarre nuove capitali
Dopo la Convenzione, la nuova Commissione europea. La politica prosegue con la politica. E la politica sta anche nell'economia.
Dopo la Convenzione, la nuova Commissione europea. La politica prosegue con la politica. E la politica sta anche nell'economia. é arrivato il tempo -in Europa- per pensare anche ad una politica economica nuova, diversa tanto nei mezzi quanto nei fini. Una politica economica diversa nei mezzi: servono, in Europa, più government o almeno più governance. Prima della nuova architettura costituzionale, può essere, per l'Europa, un buon principio la ristrutturazione dell'Eurogruppo, a partire da una presidenza (di Eurogruppo) più lunga del semestre di presidenza ordinario. Sarebbe, questa, una riforma necessaria, forsa non sufficiente. Ma, piuttosto che niente, meglio piuttosto. E poi una politica economica diversa nei fini. Per quasi mezzo secolo, dal Trattato di Roma (1957) ad oggi, la politica economica europea è stata -fondamentalmente- una politica di integrazione continentale: dal mercato unico europeo, alla moneta unica europea. Ora è tempo di passare ad una nuova politica economica: ad una politica di competizione globale. Ora l'Europa è fatta. Bisogna farla competere, su scala globale. La competizione non può continuare ad esaurirsi all'interno dell'Europa, come se questa fosse ancora un dominio territoriale chiuso. L'orizzone del 1957, l'orizzonte del "Trattato", era un orizzonte definito essenzilamente "Europa su Europa". A quell'altezza di tempo, questo non era un limite. All'opposto, era una visione. Mezzo secolo fa, la dimensione continentale europea era infatti di per sé tanto estesa da esaurire ogni possibile ambizione di progetto politico. Ora non è più così e non può restare così. L'Europa deve appunto passare dall'integrazione continentale alla competizione globale. Competizione è certo molto altro. Ma è anche attrazione. E, nella politica di attrazione è strategica la fiscalità. Perchè non attrarre in Europa, con una fiscalità di favore competitiva, capitali extra-europei diretti all'investimento in nuovi insediamenti produttivi? La fiscalità, per essere strategica, deve essere semplice: nel linguaggio universale (universale perchè semplice), la fiscalità di attrazione si concentra nel messaggio semplice trasmesso essenzialmente da un'aliquota di vantaggio. Al netto dei capitali extra-europei che sarebbero comunqueattratti (?), meglio -in Europa- il 10% di qualcosa che il 30% di niente! Questa politica sarebbe contro i principi di libertà di stabilimento o di libera circolazione dei capitali? Integrerebbe una discriminazione o una restrizione ingiustificata ovvero un aiuto di Stato, o altro ancora? Non credo. Ma, se così fosse, perchè non cambiare, superando regole politichescritte prima della globalizzazione e dunque superate dalla storia? La stessa politica di attrazione (invece che di esclusione o di intermediazione) potrebbe essere estesa anche ai nuovi insediamenti produttivi operati in particolari aree dell'Europa, anche infranazionali. I "vecchi" dogmi, o l' "egoismo" di bilancio degli Stati, non possono escludere "a priori" ipotesi di sviluppo, anche lungo questa linea.