Una finanziaria di protezione sociale
“Questo ultimo anno, soprattutto quest’ultimo anno ha messo in evidenza in Europa una fortissima asimmetria. Asimmetria tra la dimensione e la intensità dei fenomeni in atto su scala globale e la limitata capacità di governarli”.
Il ministro dell’Economia Giulio Tremonti vorrebbe fare di più, vorrebbe più margini di manovra, maggiori spazi di arbitraggio e non li ha. E come presidente di turno dell’Ecofin si trova per sovrammercato costretto a una prudenza pacificatoria che non è strutturalmente sua. La sua è una fredda e controllata intemperanza. Prosegue: “Da un lato fortissime tensioni geopolitiche, due guerre in due anni, una competizione economica che si è scatenata su scala globale quasi senza regole. Dall’altro lato i limiti progressivi che nella loro azione incontrano i governi europei: si sono ridotti gli spazi per le politiche di bilancio, dato il Patto di stabilità e crescita. Si sono ridotti i limiti delle politiche monetarie, data l’autonomia della Bce. Infine le politiche di cambio sembrano essere decise soprattutto in America. Un esempio: nel 2000 l’economia europea andava bene, i bilanci pubblici erano in ordine e l’euro era basso sul dollaro. Nel 2003 l’economia europea non va bene, molti bilanci sono in difficoltà, ma il corso di cambio p opposto, l’euro è alto sul dollaro. Isaac Newton avrebbe qualche difficoltà nel definire il rapporto fra cause ed effetti. In realtà l’Europa soffre di un deficit politico”.
Ecco, l’ha detto, ministro. A uno come lei l’Europa qualche volta sta stretta. Dunque è pessimista, per di capire…
“No, sono realista sul presente e ottimista sul futuro. La Convenzione ha iniziato la costruzione di una macchina costituzionale europea; la gestione del Patto di stabilità e di crescita è sempre più intelligente e flessibile; è appena partito un grande ciclo europeo di riforme strutturali del mercato del lavoro e del Welfare State; prima espressione dopo l’euro di una politica economica europea comune, sta per essere approvato l’Action plan for growth, il piano italiano per la crescita”.
Cosa produrrà questo “piano Tremonti”?
“Gli effetti di questo piano saranno contemporaneamente europei e nazionali, il volume di investimenti finanziabili a regime oscillerà fra i 50 e i 70 miliardi di euro; per l’Italia è ragionevolo l’ipotesi di una considerevole quota”.
Fra poche ore lei presenterà la legge finanziaria insieme al progetto di riforma del sistema pensionistico. Quali principi hanno ispirato le sue scelte?
“La cifra con cui leggere questa finanziaria, la sua chiave di lettura, la sua filosofia –la chiami come vuole- sarà come quella di tutte le finanziarie europee di quest’anno: dovrà tenere conto sia delle difficoltà che delle opportunità cui abbiamo accennato sopra. Assicurato l’obiettivo della stabilità del Paese, sarà comunque una finanziaria di protezione e di garanzia sociale”.
Cosa significa esattamente?
“L’obiettivo è quello di mantenere invariata la spesa pubblica reale in percentuale sul prodotto interno lordo. Dunque una finanziaria di protezione e di garanzia sociale.
Nessun taglio?
“Non ci sarà nessun “taglio”. La correzione sarà infatti tutta operata fuori dalla spesa pubblica. Nessun impatto sulla dimensione sociale”.
Quali capitoli verranno privilegiati su questo versante?
“Infrastrutture, innovazione e ricerca, famiglia sono grandezze e valori fondamentali per il futuro di un Paese. Concentreremo su queste grandezze e su questi valori tutte le risorse finanziarie addizionali disponibili. Risorse che saranno nazionali, ma in prospettiva progressiva e crescente risorse europee”.
Ci saranno incentivi sociali?
“Come premesso, la spesa sociale resterà invariata ed è già, mi creda, uno sforzo enorme, perché è difficile aumentare la spesa pubblica quando non aumenta la produzione privata. In ogni caso avremo incentivi per la natalità e avvieremo in forma sperimentale la Detax, ossia l’esclusione da imposta degli acquisti fatti nei negozi collegati a reti di volontariato soprattutto impegnate a sostegno di attività nei Paesi poveri”.
Una sua invenzione, la Detax, o quasi…
“Ne parlai la prima volta su Le Monde l’11 settembre del 2001. È l’alternativa radicale alla Tobin Tax, che aveva una dinamica verticale. La Detax invece è orizzontale: supera gli aiuti statali che transitano da governo a governo e sposta il soggetto dallo Stato al volontariato. La mia speranza e con me la speranza di tanti è che abbia un ruolo crescente”.
Che novità su innovazione e ricerca nella sua finanziaria?
“Sarà prevista la detassazione degli utili investiti dalle imprese in ricerca e innovazione. Saranno attivati fondi rotativi addizionali. Sarà fatta una politica per attirare cervelli e tante altre cose a sostegno della crescita e dello sviluppo, che sono a costo zero per il bilancio dello Stato ma che hanno impatto sostanziale sull’economia. Dal potenziamento con fidi, fondamentale per la piccola e media impresa, alla trasformazione della Cassa Depositi e Prestiti in società per azioni, sul fondamentale modello tedesco della KSW, che sarà un’enorme leva di sviluppo”.
Vogliamo parlare ora di pensioni, della delega Maroni, della riforma del sistema pensionistico che lei affianca alla finanziaria?
“L’alternativa è fra massimalismo e riformismo. Massimalismo è tutto e subito, è la dottrina dell’urto. È lo scontro come tecnica politica, è l’idea della terapia d’urto. Nel caso, avremmo più urto che terapia, scontro sociale, caduta della domanda, dei consumi, ecc. il riformismo è una cosa diversa. È fare la cosa giusta”.
Ossia?
“I numeri –come mi è già capitato di dire- non sono di destra, di centro o di sinistra. Con i numeri della riforma Dini nessun governo di destra, di centro o di sinistra, politico o tecnico può garantire la tenuta del sistema sociale italiano. Dal 2008 al 2033 la Dini è insostenibile per lo Stato, troppo costosa. Dal 2034 in poi la Dini è insostenibile per il privato: garantisce pensioni pubbliche ridicole. Davanti a questa doppia insufficienza, prima per eccesso e poi per difetto di spesa pubblica, si deve agire”.
In che modo?
“Prima moderando la dinamica di crescita della spesa pensionistica, poi aggiungendo alle questioni pubbliche, che sono il primo pilastro, i fondi pensione come secondo pilastro”.
Le è costato arrivare a questa decisione?
“Non ci ho dormito la notte, per mesi e mesi. Ma per avere il consenso occorre essere onesti. E onestà vuole che si dica la verità, ossia che la portata storica di una riforma pensionistica non si misura in mesi o in anni, ma in decenni. Considerando che in parallelo crescerà anche la spesa sanitaria, inevitabilmente. Del resto non è un’alzata d’ingegno soltanto mia: la Francia farà partire la sua riforma nel 2010, la Germania nel 2012”.
Si attirerà critiche, ostilità, resistenze. Ma lei questo lo sa già, non è vero?
“Nessun governo fa una riforma di questo tipo per popolarità. Lo fa solo per moralità, intesa questa come la ragione unica dell’attività politica”:
Il mai abbastanza lodato “Common good” anglosassone?
“Sì, e se vuole una riprova esterna basta che guardiamo a quello che sta succedendo nel resto d’Europa”.
Cosa accade?
“Dall’Austria all’Olanda, dalla Francia alla Germania quest’anno è caratterizzato dall’avvio di grandi riforme strutturali del Welfare State. L’Italia non può stare fuori. La comodità e la callidità politica non possono liberarci dall’onere morale di fare come si fa negli altri Paesi. Sto parlando di riforme che non sono fatte per fare cassa, ma per produrre il bene più prezioso, che è il dovere dei governi –in un’età come questa, caratterizzata da fortissime incertezze- di dare ai nostri concittadini nel grado maggiore possibile fiducia nell’avvenire. Questo è il bene più prezioso, questa è la politica principale da cui dipendono tutte le altre, anzi, è la riforma delle riforme. Perché se non hai fiducia, se hai paura, se temi il futuro, non farai figli, non investirai, non progredirai. La fiducia si può monetizzare, ha un valore anche economico, non solo sociale”.