L'Italia non è in declino ma ora servono riforme
Tremonti: «Dobbiamo tutelare il Paese nel commercio o vince l'Oriente senza regole» «La nostra forza economica è enormemente superiore a quanto dicono le statistiche»
ROMA - «Il futuro politico di questa coalizione ha un solo nome: riforme. Riforme costituzionali e riforme strutturali. Abbiamo tempo da oggi all' autunno». Il ministro Giulio Tremonti ha le idee chiare sulle prospettive della maggioranza che governa il Paese e su cosa stia succedendo in Europa e nel mondo. «Se Karl Marx vivesse oggi non si occuperebbe del "rapporto deficit-Pil al 3 per cento", ma della più colossale migrazione industriale mai avvenuta nella storia, quella da Occidente verso la Cina e dintorni. La difesa degli operai e dei piccoli imprenditori dei distretti italiani la fa Fassino che al Wto di Seattle apre il vaso di Pandora del "commercio mondiale" o chi - come il centrodestra - inizia a porre la sfida della protezione della produzione europea e nazionale?». Se capisco bene lei sostiene che parlare del futuro dell' Italia senza capire le dinamiche internazionali è oggi più che mai un esercizio inutile? «È così. Sul nostro cielo c' è la traccia di due grandi vettori "rivoluzionari", dentro l' Europa e da Oriente a Occidente. Dentro l' Europa c' è stato un processo politico di devoluzione senza sostituzione. Gli Stati hanno trasferito i loro poteri originari, fiscali, di bilancio, monetari, senza che ci fosse una nuova collettiva macchina politica capace di esercitarli in sostituzione. Non abbiamo politica di bilancio, perché c' è il Patto di stabilità e crescita. Non abbiamo politica monetaria perché c' è la Bce. Non abbiamo politica di cambio perché viene fatta altrove». Considera l' attuale quotazione dell' euro una iattura? «Nel 2000 economia e bilanci pubblici europei erano buoni, l' euro era "basso" sul dollaro, ora economia e bilanci pubblici europei non sono così buoni e tuttavia l' euro è "alto" sul dollaro. Newton avrebbe qualche difficoltà nel definire il razionale del legame causa-effetto, il tragitto della mela. Questa asimmetria dimostra i limiti della politica europea». Non c' è alternativa, dunque, all' euro-pessimismo? «È partita la Convenzione ed è buono perché parte una macchina politica europea. È partito il piano italiano per la crescita europea ed è buono perché è la prima forma di politica economica comune dopo l' euro, ma siamo dentro una transizione che alla Gramsci potremmo descrivere così: viviamo una di quelle fasi in cui è finita la notte, ma non è ancora iniziato il giorno. È tremendamente difficile in tutta Europa governare in questa fase. Crescono le difficoltà, i problemi, non hai più i vecchi poteri governativi, non ne hai ancora di nuovi sostitutivi. Le criticità nel fare "una legge finanziaria" sono diffuse in tutta la Ue, mai come per il 2004 è evidente che l' Europa si è integrata totalmente. La dimensione europea non è più solo limitata all' economia "finanziaria", ma estesa all' economia tout court. E da qui alla società, alla politica». In attesa che "inizi il giorno" però dobbiamo fare i conti con l' Oriente. È così? «Il secondo vettore si chiama Cina, il "declino" si chiama Cina e ovviamente dintorni del Far East. Dai rubinetti agli occhiali, dal tessile al cuoio è statisticamente e drammaticamente evidente che dove entra la Cina esce l' Italia. Non è che gli imprenditori e i lavoratori italiani sono diventati incapaci o abulici, è che sono entrati operatori che ti distruggono perché operano a costo zero. L' Italia è stata colpita per prima, sulle produzioni a bassa tecnologia ma lo spiazzamento sta investendo tutta l' Europa. Il commercio o è regole o non è commercio. Non puoi competere se tu hai la legge 626 e il tuo competitore inquina, se tu hai l' articolo 18 e il tuo concorrente non ha vincoli. Tu fai rubinetti conformi ai costosissimi standard di sicurezza europei e il tuo concorrente usa materiale di risulta con uranio impoverito. Se tu vendi un pezzo a 100 euro e il concorrente a 10, il governo può fare la più radicale delle riforme fiscali, aliquota zero sugli utili, ma se non hai utili non serve a niente». Non ha timore che la accusino di simpatie tardo-protezionistiche? «Nel lungo andare il commercio renderà certo tutti più ricchi, nel durante dobbiamo però evitare di essere morti. Né vale l' illusione che l' Oriente si fermi ai prodotti di bassa tecnologia. Salirà vertiginosamente nella scala della tecnologia e si ripeterà in progressione esponenziale quanto è successo decenni fa con il caso del Giappone. Quando ho iniziato a parlarne, in autunno con Bossi in un convegno a Pesaro, il tema non era di quelli precisamente definibili politically correct. Eppure ci sono venuti gli applausi. Segno infallibile! Se su un tema hai gelo nei Palazzi ma applausi in "periferia", allora vuol dire che hai ragione e devi proseguire. Adesso, su nostra iniziativa, il tema ha cominciato a circolare nelle sedi internazionali più importanti. Ne ho parlato al G7 ottenendo che la formula classica "libero commercio" fosse sostituita dalla formula "commercio basato su regole". E poi da ultimo ho portato il tema in Europa». In concreto quali azioni di protezione possono essere messe in cantiere? «La dogana italiana ha scoperto che lo stesso marchio CE è stato contraffatto. Ci sono prodotti con stampigliato CE, ma dietro non c' è l' Europa, l' esportazione italiana, ma, occultato nei registri, si scopre un fantomatico China Export. La difesa della produzione può essere soprattutto europea: controlli di quantità e qualità, rapporti di cambio tra euro e renminbi (la valuta cinese, ndr). Resta comunque spazio per una difesa nazionale sul confine contro contraffazioni, frodi, abusi sul marchio, eccetera. È curioso che la difesa del prodotto d' impresa e del lavoro, tanto in Europa tanto in Italia, sia fatta da destra e non da sinistra. È assordante il silenzio del sindacato. Se Marx vivesse oggi » Il sindacato italiano ha denunciato il declino industriale del Paese e ha persino firmato un accordo con la Confindustria. «Giusto. È un patto intelligente, bisogna trovare un modo intelligente per finanziarlo. Tuttavia non basta. E comunque di declino parlano in tanti. Basta leggere un libro di storia per capire che un declino non avviene in pochi anni. Avviene in decenni e per combinazione di fattori eterogenei, sociali, culturali, ambientali e geografici. Quello che è successo in Italia è accaduto troppo di colpo per essere catalogabile come declino. È per questo che dico che si chiama Wto, si chiama apertura troppo violenta dei mercati. I tempi sono strategici, dobbiamo investire per competere ma nel frattempo dobbiamo agire per difenderci». Ammetterà però che al netto della novità cinese l' imprenditoria italiana non è più all' altezza della sua storia? «Lo scenario è complesso e certamente vanno messi in conto andamenti demografici non favorevoli, il naturale ritiro degli imprenditori ex operai, una certa assuefazione all' opulenza, il passaggio dalla produzione alla rendita. E certamente bisogna reagire: investire nella ricerca. Mi permetta però di introdurre una nota positiva: la forza economica italiana è enormemente superiore a ciò che viene evidenziato dalle statistiche. La via italiana alla internazionalizzazione non è rilevata dai dati nazionali perché fatta in forme atipiche, ma tuttavia si tratta di "ricchezza" che è in mani italiane. Quel che mi pare vero è che gli uffici studi vedono tutto tranne l' essenziale e l' essenziale si chiama Cina e il futuro si chiama capacità prima di capire e poi di gestire fenomeni internazionali così complessi». Torniamo alle prospettive del centrodestra. Lei pensa che, visti i contrasti di queste ultime settimane, la Casa delle Libertà riuscirà a essere unita sulle riforme costituzionali? «L' assetto ipotizzato "federalismo & devoluzione + presidenzialismo del premier + proporzionale" integra le tre anime dell' alleanza. Il federalismo è libertà, il premierato forte è unità e governabilità, il proporzionale è continuità repubblicana». E il bipolarismo che fine fa? «La legge elettorale regionale è un modello che funziona, è un modello a base proporzionale che garantisce pienamente il bipolarismo. Ma servono riforme strutturali». Sta dicendo che va riformato il sistema previdenziale? «Anche. La delega Maroni è necessaria soprattutto perché pone le basi del secondo pilastro, ma non è del tutto sufficiente per garantire gli effetti strutturali necessari. Ci si deve lavorare sopra sapendo che le riforme di questo tipo non servono per fare cassa ma hanno l' orizzonte lungo del patto tra generazioni». Le cronache riferiscono di un suo secco intervento nel Consiglio dei ministri di venerdì. E di un contrasto con il collega Tremaglia. Ce lo spiega? «Il senso del mio intervento, che non era in consiglio ma in privato, è che il 2004 sarà anno di semina e che il raccolto si potrà avere solo dopo la stagione delle riforme strutturali».