Giulio Tremonti



Rassegna Stampa

- La Stampa

Sulla UE dibattito "per" e non "contro"

L'intervista a La Stampa sul “ministero della Costituzione europea” ha avuto molte e varie reazioni: nel governo, nella maggioranza, nell’opposizione

Ministro Tremonti, la sua intervista a La Stampa sul “ministero della Costituzione europea” ha avuto molte e varie reazioni: nel governo, nella maggioranza, nell’opposizione.
“E a me fa molto piacere che l’intervista abbia prodotto dibattito, in positivo o in negativo. Credo che questo sia di per sé un dato positivo: estendere il dibattito politico da temi a volte domestici, marginali, o comunque di pura polemica, a un tema fondamentale. A prescindere dai consensi o dai dissensi, è fondamentale che un dibattito che era in qualche modo sospeso si animi e prosegua. Non è che uno va sul monte Sinai e ne discende con le tavole: che ci siano idee d’Europa diverse, ma pur sempre idee d’Europa, è parte della storia europea. Basta scorrere la storia di questo mezzo secolo per verificare che si è arricchita del confronto tra idee diverse: tutte idee sull’Europa e per l’Europa. Aggiungo che i momenti più alti sono stati proprio quelli in cui si sono prima confrontate e poi sintetizzate idee diverse: Giscard e Schmidt, Mitterrand e Kohl. È parte essenziale della cultura europea la dialettica tra idee diverse; è fondamentale censirle, analizzarle, comporle; è sbagliato demonizzare le idee degli altri. Detto questo, devo riconoscere che ho trovato particolarmente significativi gli interventi degli amici Enrico, Rocco e Marco”.
Si riferisce all’ex ministro dell’Industria Letta, al ministro delle Politiche comunitarie Buttiglione e al leader dell’Udc Follini?
“Esattamente”.
Ieri pomeriggio c’è stato anche un altro intervento, quello del vicepresidente del Consiglio, e membro della Convenzione europea, Gianfranco Fini.
“Non mi aspettavo nulla di diverso. Concordo totalmente con Gianfranco. Con lui c’è sempre stata, c’è, e ci sarà una visione comune su tanti temi importanti, e certamente su questo. Sui temi fondamentali dell’etica politica, le posizioni di Gianfranco sono forti, significative e, per quanto mi riguarda, condivisibili”.
Non ne dubito. Però la nota di Fini definisce “suggestiva ma fuorviante” la contrapposizione tra modello unionista e modello comunitario. Cosa risponde?
“Ho detto nell’intervista, e ho sempre scritto, che se l’alternativa tra modelli formalizza idee diverse, è comunque naturale che il modello empirico finale sia misto. La soluzione ottimale si trova se la si equilibra tra un modello e l’altro: è un problema di quantità che fa la qualità. Non esiste e io non ho fatto, una distinzione manichea tra i due modelli: nel modello “unionista” ci sono elementi del modello “federalista”, ad esempio la Banca centrale europea; e il modello “federalista” non è pensabile, se non come tendenza, in assenza di Stati. In ogni caso, da che mondo è mondo, da che filosofia è filosofia, da che logica è logica, la dialettica aiuta a capire i problemi. Non si risolvono i problemi senza capirli, e per capirli è utile rappresentarli dialetticamente. Esattamente quello che ho fatto e credo sia utile fare”.
Lei definisce “significativo” l’intervento di Letta. Che è però una confutazione netta del suo.
“Significativo, ma dogmatico. Non è che se demonizzi la visione di un altro, la tua diventa giusta. I ragionamenti vanno sempre fatti guardando i pro e i contro, con un inventario degli argomenti. Credo che nel mio intervento fossero evidenti i differenziali; e fosse evidente anche il rispetto per le opinioni diverse, ad esempio per quella del ministro degli Esteri tedesco Fisher”.
Letta dice testualmente: “Questa intervista segna una svolta rispetto a mezzo secolo di politica europea italiana, da De Gasperi a Ciampi”. È così?
“No. L’Italia è sempre stata circuito delle idee europee, idee sempre plurali, non singolari. Chi ha una relativa conoscenza dell’evoluzione del pensiero nel laboratorio europeo sa quanto sia stato complesso il processo; che avviene per tesi, antitesi e sintesi. È un processo dialettico, di rado dogmatico. Non fanno parte della fenomenologia europea episodi tipo monte Sinai: salite seguita da discese con le tavole. Se posso aggiungere una cosa per l’amico Enrico: l’opposizione comincerà ad avere chances quando comincerà a formulare proprie proposte, quando passerà dai girotondi ai disegni di legge, dal negativo al positivo. Tornando all’Europa, non basta dire che l’altro non è europeista per dare un contributo al dibattito”.
Buttiglione le fa notare che è impossibile costruire l’Europa soltanto con il metodo intergovernativo, cioè attraverso gli accordi tra premier e tra ministri.
“Mi pare di trovare negli argomenti di Rocco un penchant eccessivo sull’argomentum a contrariis. Io ho detto che il vicepresidente della Convenzione Amato, criticando in modo radicale il metodo intergovernativo, esclude automaticamente e in modo altrettanto radicale il modello dell’Unione di Stati. Questo postula e non esiste senza quello. Ma ho anche aggiunto che Amato era perfettamente libero di criticare il modello unionista e di sostenere il modello alternativo federalista. Non ho detto che il metodo intergovernativo è l’unico metodo. Quando ho detto che la moneta poteva e doveva essere un bene comune, era chiaro oltre ogni possibile dubbio che accettavo anche il metodo comunitario. La mia tesi –negare il metodo intergovernativa equivale a negare il modello unionista- non vuol dire negare la coesistenza possibile e necessaria tra metodo intergovernativo e metodo comunitario. Ripeto: quando dico che la moneta è bene comune, ovviamente accetto il metodo comunitario, o comunque l’arricchimento del modello rigorosamente unionista con una componente federale”.
Buttiglione le muove anche una critica da filosofo della politica, e contesta la sua affermazione per cui non esiste democrazia senza Stato nazione.
“Aggiungevo però: “a questa altezza di tempo”. Facendo riferimento alla democrazia liberale, che è parlamentare, non identifico la società con lo Stato; penso ci siano elementi di democrazia e di vita politica e sociale fuori da un parlamento liberale e nazionale, ma resto convinto del fatto che ancora per molti anni, pur arricchendosi ed evolvendosi la società civile, il parlamento abbia una funzione democratica centrale. Credo dunque resti valida la mia forma: ci sono Stati senza democrazia, ma per ora non riesco a configurare una democrazia senza gli Stati, e non credo che Rocco volesse dire che i parlamenti sono un optional. Credo che potremmo trovare questo accordo: il parlamento è necessario ma non è sufficiente”.
Follini invece le dice “amichevolmente” che “l’Europa non è lo sfondo dei romanzi-thriller di Umberto Eco, non è la riedizione di Bisanzio, non è una sorta di Spectre”. Con il sospetto, la ammonisce il leader dell’Udc, non si arriva a nulla.
“Ho trovato molto interessante e profondo l’intervento dell’amico Marco. Solo mi dispiace il fatto che non sia stato percepito il senso ironico del preambolo dell’intervista. Se non va bene Eco, credo che Marco di ritroverebbe a suo agio nell’idea di gioco che sta in Huizinga. La mia insufficiente chiarezza nell’esplicitare il gioco l’ha portato a formulare immagini abbastanza gotiche, come il sospetto, o la Spectre”.
Follini le rimprovera anche l’assenza di un riferimento alla sussidiarietà.
“Spero di convincerlo che non è così. La pur vasta estensione fisica dell’intervista mi  ha impedito la formulazione di un completo inventario degli strumenti politici; ma posso rassicurare Marco del fatto che la sussidiarietà è parte costituzionale essenziale di qualsiasi modello unionista, e di tutto il mio pensiero e la mia azione politica”.
Follini dissente anche sul ruolo della Convenzione, di cui fa parte. Dobbiamo scrivere una proposta definita di Costituzione, obietta; non consegnare una “bozza confusa”:
“Anche su questo punto, nessuno ha mai pensato che la Convenzione dovesse presentare una bozza confusa. Negli anno scorsi ho avuto tante occasioni per prendere parte a seminari internazionali in cui c’era anche Giscard d’Estaing, da poter escludere in radice l’ipotesi che la Convenzione da lui presieduta presenti documenti confusi, ma all’opposto cartesiani”.
La questione non è solo nella chiarezza, ma nei contenuti della bozza. Follini pare averne un’idea diversa.
“Il modello unionista postula il metodo intergovernativo, ma non esclude comportamenti federaliste e quindi il metodo comunitario. Se posso dire qualcosa a Marco, gli direi: “Non forzare ed immaginare solo il metodo comunitario. Il solo metodo comunitario alza enormemente il rischio che questioni come quelle della bioetica siano decise a Bruxelles e non a Roma. E non credo che questo sia l’obiettivo del mondo cattolico”.