Giulio Tremonti



Rassegna Stampa

- La Stampa

Sblocchiamo le riforme, una proposta sull'art. 18

E' l’ora delle riforme, il governo non deve mettere a repentaglio la sua credibilità: deve dimostrare di saper riformare il Paese.

Il richiamo accorato del ministro dell’Economia, Giulio Tremonti, giunge dopo alcuni segnali controversi sulla capacità di crescita dell’economia italiana. In questa intervista, Tremonti propone in particolare una via d’uscita dall’impasse della riforma del lavoro: alzare la soglia dimensionale delle imprese in cui le garanzie dell’ art.18 non si applicano, ma senza ostinarsi sulle altre deroghe indigeste ai sindacati. “L’economia italiana è vitale” e comincia a farsi strada anche l’emersione del “nero”. Resta il problema della crisi dell’auto, ma Tremonti assicura: il problema Fiat è sul tavolo del governo.
Il governo ha puntato molto sulla crescita dell’economia, l’impianto di politica economica, di riforma e gli stimoli alla fiducia si basano su un ritmo di crescita economica elevato. Non trova che i segnali siano contrastanti?
“Abbiamo avuto negli ultimi giorni tre indicatori molto positivi. Per ordine di importanza segnalo la promozione che Moody’s ha dato al debito italiano: si tratta di un dato fondamentale, il debito è la somma di tutti i fattori fondamentali di una società. Averne premiato il merito significa premiare l’Italia che possiamo considerare come una “grande ragione” che deve competere all’interno di una “grande area” “.
Lei sa che l’opposizione ritiene che Moody’s abbia premiato il risanamento finanziario dei governi precedenti…
“è un errore tecnico sostenere, come fa l’opposizione che il rafforzamento fondamentale, per intenderci Moody’s, sia merito loro e che l’indebolimento congiunturale sia colpa nostra: nella valutazione di Moody’s c’è ovviamente anche l’azione dei vecchi governi, tuttavia non solo non è un caso che a sei anni dall’ultima valutazione del debito italiano la promozione sia venuta proprio ora, ma soprattutto conta che il giudizio di Moody’s riguarda il futuro, il debito cioè che sarà emesso d’ora in poi, e questo certamente ha a che fare con le garanzie offerte da chi sta governando e governerà”.
Non la preoccupa la debolezza della congiuntura?
“Il dato ufficiale dell’Istat indica nel primo trimestre un aumento dello 0,3 – 0,4%, i dati differenti e più bassi sono frutto di disinformazione, credo strumentale. Sviluppato in ragione d’anno, il dato indica una crescita dell’ 1,7%. Ma c’è un terzo dato confortante: secondo l’indagine Unioncamere sulle piccole e medie aziende, quelle fino a 500 dipendenti, nel primo trimestre c’è stata una crescita del fatturato dell’ 1,4% rispetto a fine 2001. Io lo considero un vero punto di svolta per la ripresa: un modo per interpretare i dati Istat, influenzati dalla crisi della grande impresa, che indica che il profilo dello sviluppo può non essere piatto”.
Sulla crescita italiana sta pesando infatti la crisi della Fiat e del settore auto. Berlusconi ha già dichiarato che il governo sta pensando di intervenire. Qual’ è la sua opinione?
“Confermo l’impegno del governo che ha già incominciato a studiare il problema della Fiat e del settore dell’auto. Sono oggettivamente in atto studi e impegni. L’ideale sarebbe che l’intervento del governo fosse congiunto con l’attivazione di un piano industriale da parte della Fiat. L’uno dovrebbe avvenire insieme all’altro”.
Ritiene che i cittadini giudicheranno il governo soprattutto per la capacità di far crescere l’economia?
“In un’economia globale , la crescita fluttua su “onde globali”: non è nei poteri dei singoli governi determinarla, se non al margine”.
Ma il suo governo si è presentato come governo delle riforme e quindi dell’innalzamento del “potenziale” di crescita dell’economia…
“I fondamentali sono globali, l’azione dei governi è “addizionale”: possiamo assecondare la crescita, sostenerla e trasmettere impulsi allo sviluppo”.
Lo state facendo?
“L’elemento chiave finora è stato il ritardo nella politica di sostegno delle infrastrutture, un fattore di crescita molto rilevante. Il ritardo era dovuto al fatto che i cassetti erano vuoti: per fare un progetto di una grande opera ci vogliono tecnicamente dei mesi, inoltre ci sono complicanze burocratiche enormi in questo tipo di opere. Così ora abbiamo deciso di puntare su un’area in cui la progettazione è già tutta pronta: quella dell’alta velocità. Su questa pensiamo di lanciare subito il finanziamento via Infrastrutture Spa”.
Ma se il governo non ha grande responsabilità sul tasso di crescita, ce l’ha sui conti pubblici in rapporto al tasso di crescita. Può far chiarezza sui timori di correzione fiscale di cui si sente parlare?
“Il governo ha già presentato a novembre nel programma di stabilità previsto dalle economie dell’euro, due scenari diversi di finanza pubblica a seconda del tasso di crescita nel 2002. Il primo scenario è quello noto, con una crescita dell’economia del 2,3% e un deficit dello 0,5%; il secondo scenario anch’esso approvato dalla Commissione prevede una crescita più lenta, dell’ 1,2%, e un deficit ovviamente maggiore, pari all’1%. Il Patto di stabilità, pur rigido, è più intelligente di quanto di creda e consente questa elasticità, cioè una tolleranza sul deficit che corrisponde al funzionamento dei cosiddetti stabilizzatori automatici in caso di crescita più modesta del previsto”.
Secondo l’opposizione sarà comunque necessaria una manovra correttiva.
“Mi lasci dire che la sinistra risente di una “sindrome di governo”:  l’unico attrezzo che ha conosciuto allora era quello delle “manovre” e delle tasse e tuttora lo brandisce. Si tratta di una tattica suicida politicamente, perché associa ancora la sinistra all’idea dei sacrifici, ma anche sbagliata tecnicamente perché aggraverebbe inutilmente un rallentamento economico attraverso un prelievo fiscale inopportuno: fa prevalere cioè la psicologia del sacrificio sulla tecnologia del Patto di stabilità. Quando lo scostamento deriva da congiuntura negativa, l’Europa non impone manovre, all’opposto prevede che non si facciano”.
Tra poco però lei stesso dovrà scegliere: nel presentare il Dpef abbasserà o no la previsione di una crescita del 2,3% del pil?
“Il Dpef recepirà gli indicatori di cui abbiamo parlato: l’Istat punta a una crescita dell’ 1,7%, i dati dell’Unioncamere, al netto del settore auto, puntano a una crescita ben più consistente. Inoltre siamo comunque al sicuro dal punto di vista dei conti anche con una crescita di solo l’ 1,2%. Non vedo ancora ragione di prendere decisioni diverse. È ancora presto per dire quali dei due scenari del programma di stabilità si realizzerà. In ogni caso il governo le sue previsioni le formula nelle sedi ufficiali: in Europa e nel Dpef, non durante seguendo le psicosi dell’opposizione”.
Lei sa che una delle critiche è proprio quella di aver formulato dall’inizio previsioni troppo ottimistiche in modo da avere più margini di deficit a fine anno?
“Ma lo hanno fatto anche tutti gli altri Paesi e solo Portogallo e Olanda hanno corretto le previsioni iniziali”.
Avreste potuto fare di più in corso d’anno?
“Tenga conto della speciale situazione in cui ci siamo trovati: a monte avevamo due anni di ciclo elettorale che avevano svuotato le casse e di fronte ci siamo trovati la crisi globale dell’11 settembre. Eppure, l’economia è vitale”.
Che cosa replica alle osservazioni della Commissione europea sulla qualità dei conti pubblici, sulle critiche al ricordo alle “cartolarizzazioni” in particolare dai proventi delle lotterie? Si dice che a luglio potrebbe venire da Bruxelles un giudizio negativo.
“L’anticipo dei proventi del Lotto rappresenta un caso che in precedenza era già stato ammesso e che presenta caratteri strutturali già riconosciuti per altri Paesi. Comunque se ne sta discutendo”.
Il commissario Solbes chiede anche un anticipo nella riforma delle pensioni.
“Stiamo seguendo appieno l’impostazione del vertice di Barcellona, che punta a incentivare i lavoratori a rimanere attivi anche in età avanzata. Sono convinto che la nostra impostazione, l’incentivo a continuare a lavorare, possa avere effetti straordinari. Perché abbia successo è però necessario che tutti prendano atto che i diritti acquisiti sono considerati intangibili dal governo: una certificazione che il chiamo la “fine della paura!”. In ogni caso nella strategia delle riforme è fondamentale il secondo pilastro, quello che si basa sui fondi pensione”.
Non le sembra che ci siano ritardi nell’azione di governo a questo proposito?
“Ebbene sì, c’è un oggettivo ritardo in questo campo nell’azione del governo. Dei collegati alla Finanziaria finora è passato alla Camera solo quello fiscale. Gli altri sono fermi. Paradossalmente si tratta di una conseguenza della forza parlamentare della maggioranza che consente di proporre e approvare molte iniziative: così si è creato un ingorgo parlamentare. È invece fondamentale fissare delle priorità al più presto. In gioco c’è la credibilità del governo come attore delle riforme”.
Gran parte delle riforme economiche d’altronde si sono avviate sul tema dell’art. 18. Che cosa fare ora?
“Adesso bisogna chiudere questa questione dell’art.18. Come? Il punto di svolta secondo me è quello dimensionale, bisogna cioè alzare oltre i 15 addetti la soglia delle aziende a cui non si applica l’art. 18. Credo che questa sia la modifica più importante, più di quella di limitare la riforma al Sud e più di quella di applicarla ai lavoratori che passano da contratti a tempo determinato  a contratti a tempo indeterminato. Questa è l’opinione che cercherò di difendere. Anche in questo caso è fondamentale dare all’economia il messaggio che il governo vuole fare le riforme”.
Le sembra che l’economia stia rispondendo a questo?
“Se per economia si intende il blocco delle partite Iva, la risposta è già positiva e confermata da Unioncamere. Ma abbiamo altri due segnali molto forti: il primo è il ritorno dei capitali in Italia. Se le stime pubblicate da fonte bancaria sono vere si tratta del 4% del pil che sceglie di tornare un Italia, come se “votasse” la fiducia al sistema Italia”.
Si ma poi torna all’estero sotto forma di investimento in titoli esteri…
“Prima di tutto si tratta comunque di attrazione alla “giurisdizione italiana”, in secondo luogo, la libera circolazione dei capitali è parte del sistema europeo. Infine tutto ciò avviene comunque attraverso intermediari italiani e uno degli effetti positivi del rientro dei capitali è infatti l’internazionalizzazione e il rafforzamento della piazza finanziaria milanese”.
Il secondo segnale?
“Il sommerso sta trovando una sua strada verso l’emersione: tra novembre e dicembre c’è stata un’impennata verticale della curva delle ritenute fiscali, un aumento di dieci punti, pari a circa 20mila miliardi. Si tratta di imprese e di lavoratori che hanno deciso da sé di passare dal “nero” al “bianco”. Le cause sono due: l’ambiente politico ed economico più favorevole all’attività produttiva e il timore della futura repressione. Tra una settimana in aggiunta il Cipe (Comitato interministeriale per la programmazione economica, ndr) approverà un piano di accertamenti basato sugli incroci dei tabulati di utenze imprese e partite Iva, vengono fuori decine di migliaia di soggetti che hanno utenza-impresa, ma che non hanno partita Iva. Questi potranno usare lo scivolo previsto dalla legge sull’emersione”.
Il Governo cita spesso sua il fatto che il sommerso ha una dimensione doppia in Italia rispetto alla media europea, sia che bisogna fare le riforme per aumentare il numero di italiani che lavorano, ora di 10 punti sotto la media europea. Ma delle due l’una: o non c’è il sommerso, oppure molti italiani sono già attivi e le riforme che devono aumentarne la partecipazione al lavoro sono quelle che riguardano il sommerso, non quelle del lavoro o delle pensioni. Quale delle due anomalie italiane è davvero reale?
“Tutte e due, mi creda, la grande lezione che emerge dal governare questo Paese è la complessità della società. Da parte nostra abbiamo cominciato tentando la strada “fabiana”, dell’emersione benevola, ma ci siamo accorti che gli italiani per emergere dal sommerso hanno scelto una propria strada e hanno reagito al rischio di repressione: una grossa quota di quelli che avevano lavori sommersi è emerso ma ragionando “da sommerso”, e cioè in modo un po’ anarchico”.
Molti si sarebbero aspettati uno slancio più deciso nelle privatizzazioni.
“A fine maggio il Comitato per le privatizzazioni, varerà il calendario delle cessioni di società pubbliche per cui ci siamo impegnati in Europa. Le posso assicurare che non si tratterà di una riunione pro forma, saranno fatte scelte, fissate modalità e scadenze. Il governo ha intenzione di procedere con il suo programma. Ha davanti a sé l’occasione di completarlo potendo governare –a differenza che in passato- fino alla fine della legislatura”.